La frontiera e i centri di detenzione sono un calvario. Trump non intende fermarsi: avanti con il muro. Intanto nuove violenze e morti subite da minori indifesi
Felipe Alonzo Gomez è morto alle 23 e 48 minuti della notte di Natale. Aveva 8 anni e il 18 dicembre scorso era stato arrestato dallo US Customs and Border Protection, dopo aver attraversato illegalmente il confine Usa-Messico con il padre nella zona di Paseo del Norte.
Il bambino si era sentito male dopo qualche giorno di detenzione ed era stato trasferito in ospedale dove tuttavia non era stato considerato in pericolo di vita. Una volta rientrato nel campo di detenzione i farmaci prescritti non avevano sortito gli effetti sperati ed era stato di nuovo male.
Come Jakelin
Lunedì 24 dicembre, intorno alle dieci di sera era stato riportato in ospedale. All’arrivo i medici hanno tentato di rianimarlo, ma non ci sono riusciti, e dodici minuti prima della mezzanotte lo hanno dichiarato morto. I suoi sintomi sono stati simili a quelli di Jakelin Caal, altra bambina guatemalteca di 7 anni morta l’8 dicembre scorso sempre mentre era detenuta dalle autorità americane, e questo fa nascere il sospetto di una possibile epidemia, o di una mancanza di assistenza ripetuta (Secolo XIX, 27 dicembre).
Le storie di Felipe e Jakelin hanno fatto il giro del mondo, dopo i recenti scandali legati alle carovane di migranti al confine tra Usa e Messico, tra cui la prassi di marchiare con numeri il braccio dei bambini in attesa di asilo.
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“Non ci proverebbero neppure”
«Se ci fosse un muro, non ci proverebbero neppure», ha twittato di recente il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (in realtà Trump vuole potenziare lo sbarramento già esistente in molte aree del confine). «I due bambini in questione erano molto malati prima di essere consegnati agli agenti della polizia di frontiera. Il padre della ragazzina ha detto che non è stata colpa loro, lui non le ha dato acqua per giorni. La polizia di frontiera ha bisogno del muro ed esso farà finire tutto», ha aggiunto.