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Parolin: in Iraq ho toccato la fede di una Chiesa martire

PIETRO PAROLIN

Fabio PIGNATA I CPP I CIRIC

Le cardinal Pietro Parolin, secrétaire d’État du Saint-Siège.

Alessandro Gisotti - Vatican News - pubblicato il 29/12/18

Intervista con il segretario di Stato vaticano di ritorno dalla sua visita in Iraq dove ha celebrato il Natale con le comunità cristiane. Il cardinale si sofferma anche sull’incontro di febbraio in Vaticano sulla tutela dei minori

Una visita densa di significato ad una Chiesa che, tra patimenti e tribolazioni, testimonia la gioia e la bellezza del Vangelo. Appena rientrato in Vaticano, il cardinale Pietro Parolin racconta con emozione il suo viaggio in Iraq. Il segretario di Stato condivide la speranza dei fedeli iracheni per una visita di Papa Francesco e sottolinea l’importanza della collaborazione tra cristiani e musulmani per un futuro di pace nel Paese.

Cardinale Pietro Parolin, le immagini che abbiamo potuto ricevere dall’Iraq della sua visita davano il senso di una grande emozione. Cosa ha rappresentato per lei, celebrare il Natale con la Chiesa martire dell’Iraq?

R. – Direi che la parola che lei ha usato – “emozione” – è quella giusta: una grande emozione, una grande commozione, questo incontro con le comunità cristiane dell’Iraq, e una grande gioia da parte mia sicuramente e mi pare di aver colto anche da parte loro. Mi sono sentito proprio contento di poter portare loro la vicinanza del Papa, il suo affetto, la sua benedizione, l’attenzione con cui ha sempre seguito le loro vicende. Credo che il viaggio sia andato bene perché si è collocato in questo tempo speciale del Natale, in cui c’è un clima di festa e di gioia. Naturalmente è stata un’occasione per condividere le sofferenze degli anni recenti e anche un po’ le incertezze del presente, ma nello stesso tempo, anche le speranze per il futuro. Comunque lo definirei, veramente, un momento di grazia per il quale sono immensamente grato al Signore.

D. – Come ha trovato questa comunità che – come diceva – vive con gioia la fede in mezzo a tante tribolazioni? Che testimonianza, secondo Lei, dona una comunità come questa agli altri cristiani del mondo?

R. – Negli interventi che ho fatto, soprattutto nelle omelie, ho tanto insistito su questo punto: “Voi siete una testimonianza per la Chiesa universale. La Chiesa universale vi è grata per quello che avete vissuto, per come lo avete vissuto e deve prendere esempio proprio da voi, da questa capacità di sopportare patimenti, sofferenze, afflizioni per il nome di Gesù”. Direi che questa è un’esemplarità che loro propongono a tutta la Chiesa che – come dice il Concilio – “vive tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”. Però, quello che mi ha particolarmente colpito è stata la fierezza – nel senso buono del termine – con cui questi fratelli e sorelle vivono la loro fede: si sentono fieri di essere cristiani e di continuare ad esserlo in mezzo a tante difficoltà, a tante prove e a tanti patimenti!

D. – Un viaggio che le ha donato anche tante immagini forti, toccanti. Ce n’è una che più di altre l’ha colpita, che magari sintetizza questa sua visita?

R. – Le immagini sono state tantissime, perché ogni incontro è ben presente, fisso nella mia memoria. Certamente la distruzione di Mosul, che è stata veramente una cosa che mi ha profondamente colpito – vedere le chiese, ma anche le case, i palazzi, tutta la parte delle città che più ha sofferto per le vicende belliche – un’altra cosa che mi ha tanto impressionato erano queste chiese – sia quelle caldee sia quelle siro-cattoliche – piene di gente: piene di uomini, di donne, di bambini, di giovani. Tutti che cantavano e pregavano. Ti sentivi trasportato dal loro modo di pregare. Un’ultima immagine che mi pare anche particolarmente adatta per la situazione dell’Iraq è questa: quando eravamo a Mosul, si faceva fatica a camminare per la strada perché in mezzo c’erano le macerie. Il governatore di Mosul è voluto venire a salutarmi. Ad un certo punto mi ha preso per mano. L’ho sentito come un momento molto bello che dovrebbe essere simbolico di quella che è la collaborazione tra cristiani e musulmani: prendersi per mano e aiutarsi a vicenda. In quel momento – stava piovendo a dirotto – è apparso un bell’arcobaleno nel cielo. Che simbolismo! Anche questo, il simbolo della pace, dell’alleanza. Queste sono le immagini principali, ma ce ne sono tante altre.

D. – La sua visita ha acceso ovviamente le speranze per una visita di Papa Francesco in Iraq: cosa le ha detto la gente che ha incontrato al riguardo?

R. – La gente è stata molto contenta per questa presenza. Ha sentito anche nella presenza del segretario di Stato la presenza del Papa, perché io sono andato lì a nome del Papa per portare la vicinanza del Papa! Però tutti proprio, ad una sola voce, sperano che lui possa al più presto visitare l’Iraq e confortarli personalmente. E a questa speranza dei cristiani iracheni mi unisco anch’io: che si creino le condizioni naturalmente per cui il Santo Padre possa recarsi in Iraq e possa condividere momenti di preghiera e di incontro con questi nostri fratelli. Certamente sarebbe un grandissimo incoraggiamento per loro nelle difficoltà che si trovano ancora ad affrontare.

D. – Nel discorso per gli auguri natalizi alla Curia, Francesco ha parlato di due grandi afflizioni: il martirio – appunto – e poi gli abusi. Su quest’ultimo delicato tema, quali sono le sue speranze in vista anche dell’incontro di febbraio?

R. – Penso che quello di febbraio sarà un incontro molto importante a cui ci si sta preparando con molto impegno. Le mie speranze sono che questo incontro convocato dal Papa, di tutti i presidenti delle Conferenze episcopali, possa rafforzare, o continuare per meglio dire – perché c’è già stato l’impegno della Chiesa nella lotta contro questo fenomeno degli abusi – l’attenzione in favore delle vittime e soprattutto la creazione di condizioni di sicurezza per i minori e per le persone vulnerabili. Mi pare che è soprattutto su questo punto che si concentrerà l’attenzione dei partecipanti: cioè come creare un ambiente sicuro per minori e persone vulnerabili. Quindi, io spero che si cammini in questa strada e nello stesso tempo che ci sia un approccio che diventi sempre più comune, di tutta la Chiesa di fronte a questo fenomeno. Naturalmente poi ognuno potrà applicare, anche a seconda della situazione locale in cui si trova a vivere, ma che sia chiara la “politica” per tutte le Chiese. Che sia anche un approccio che tiene presente tutti gli aspetti del fenomeno, che sono molteplici e interconnessi tra di loro, e che poi proceda un approccio che si ispiri a dei criteri evangelici nei confronti di tutte le persone.

D. – Da ultimo, cardinale Parolin, il 2019 si presenta già ricco di impegni per il Santo Padre: tanti viaggi, tanti avvenimenti importanti. Quale augurio si sente di fargli come suo più stretto collaboratore?

R. – Direi, e lo faccio veramente alla fine dell’anno ma all’inizio anche dell’anno 2019, che il Signore sostenga il Santo Padre in questo suo donarsi continuo a favore della Chiesa, e delle comunità cristiane che si trovano in situazioni di difficoltà e di marginalità. E che possa continuare ad accendere questa speranza e questo amore nel cuore degli uomini, per cui tanti gli vogliono bene e tanti lo sentono particolarmente vicino; tanti vedono in lui veramente una speranza di un mondo più solidale, di un mondo più pacifico, di un mondo fatto a misura di uomo e della fraternità. Ecco, di fronte alle tante sfide odierne questo è l’augurio che faccio al Santo Padre per il nuovo anno.

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