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Notizie dal mondo: venerdì 28 dicembre 2018

SYRIA-CONFLICT

Les Syrian Democratic Forces sont composées de Kurdes, d'Arabes et de chrétiens syriaques © DELIL SOULEIMAN / AFP PHOTO

Fighters from the Syrian Democratic Forces (SDF), which includes Kurds, Arabs and Syriac Christians, chat as they guard a post on the outskirts of the northeastern town of Al-Hol, in the Syrian Hasakeh province on November 7, 2015, after they reportedly re-took three villages from Islamic State (IS) group fighters. AFP PHOTO / DELIL SOULEIMAN

Paul De Maeyer - pubblicato il 29/12/18

Siria: i curdi chiedono all’esercito di Assad di prendere il controllo di Manbij

Una svolta importante sulla scacchiera siriana. Le milizie curde delle Yekîneyên Parastina Gel (YPG o Unità di Protezione Popolare) hanno chiesto venerdì 28 dicembre all’esercito di  Bashar al-Assad di prendere il controllo della città di Manbij, situata a metà strada circa tra Aleppo e la città di Kobane. Mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha definito l’iniziativa dei curdi siriani un «passo positivo», l’U.S. Central Command (Centcom) ha smentito in un tweet l’eventuale ingresso di soldati siriani a Manbij.

L’iniziativa delle YPG, che in un comunicato citato dal quotidiano El Mundo dichiarano di ritirarsi da Manbij «per combattere lo Stato Islamico ad est dell’Eufrate», arriva solo pochi giorni dopo l’annuncio da parte del presidente statunitense Donald Trump di ritirare le truppe americane dalla Siria. La mossa a sorpresa della Casa Bianca ha costretto i curdi impegnati nella lotta contro l’IS a cambiare strategia e cercare nuovi alleati per evitare un nuovo assalto da parte dell’esercito turco e dalle milizie pro-turche, come quello lanciato nel gennaio scorso contro Afrin, conclusosi con la caduta della città curda. Ankara considera i miliziani curdi siriani dei «terroristi» e ha iniziato ad ammassare truppe nei pressi di Manbij.

UNICEF: anche nel 2018 il mondo non ha saputo proteggere i bambini

Duro è il giudizio emesso dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, cioè l’UNICEF: anche nel corso del 2018 la comunità internazionale non ha saputo proteggere i piccoli. «I bambini che vivono in zone di conflitto attraverso il mondo negli ultimi 12 mesi hanno continuato a subire livelli estremi di violenza e il mondo ha continuato a deluderli», così ha dichiarato il direttore dei programmi di emergenza dell’organismo, Manuel Fontaine, in un comunicato stampa pubblicato venerdì 28 dicembre. «Nel 2019 ricorre il 30° anniversario della storica Convenzione sui Diritti dell’infanzia e il 70° anniversario della Convenzione di Ginevra, ma oggi un maggior numero di Paesi è coinvolto in conflitti interni o internazionali più che in ogni altro momento degli ultimi tre decenni», constata Fontaine.

«I bambini che vivono nei Paesi in guerra sono sotto diretto attacco, sono stati usati come scudi umani, uccisi, mutilati o reclutati per combattere», sottolinea il comunicato, il quale aggiunge che «stupro, matrimonio forzato e rapimento sono diventati tattiche standard nei conflitti dalla Siria allo Yemen, dalla Repubblica Democratica del Congo alla Nigeria, al Sud Sudan, al Myanmar». Mentre nella Repubblica Democratica del Congo si stima che circa 4,2 milioni di bambini siano a rischio di malnutrizione acuta grave (SAM), in Afghanistan l’89% delle vittime civili causate da ordigni esplosivi residuati bellici sono bambini, così ricorda il comunicato UNICEF.

Venezuela: il Paese più violento dell’America Latina

Il Venezuela del presidente Nicolás Maduro detiene il poco invidiabile primato di essere il Paese più violento di tutta l’America Latina. Il dato emerge da un rapporto dell’Osservatorio Venezuelano sulla Violenza (OVV). Secondo il rapporto, che viene citato da varie fonti, fra cui il quotidiano El País, con almeno 23.047 persone assassinate nel 2018 il tasso di omicidi nel Paese ha raggiunto quota 81,4 ogni 100.000 abitanti.

«Nel 2017 eravamo al secondo posto, ma i nostri colleghi ricercatori in Honduras ci hanno detto che il tasso quest’anno sarà la metà di quello del Venezuela, e quelli di El Salvador dicono che si aggirerà intorno a 60 omicidi ogni 100.000 abitanti. Saremo chiaramente il Paese più violento dell’America Latina e quello con il maggior numero di omicidi al mondo», ha detto il direttore dell’OVV, Roberto Briceño León, giovedì 27 dicembre in occasione della presentazione del rapporto.

Altrettanto preoccupante è il fatto che oltre ai 10.422 omicidi, 7.523 casi di morte violenta  risultano classificati dalla polizia venezuelana sotto la categoria «resistenza alle autorità». Questo implica che quasi un terzo delle 23.047 persone uccise nel Paese sudamericano ha trovato la morte per mano di rappresentanti delle forze dell’ordine, «in molti casi in episodi di esecuzioni extragiudiziali», spiega El País. I rimanenti 5.102 casi sono ancora «sotto il fitto velo dell’indagine».

Francia: cresce la popolazione dei grandi centri urbani, tranne a Parigi

Cresce in Francia la popolazione dei grandi centri urbani, ma scende nei piccoli comuni isolati. Dai dati resi pubblici giovedì 27 dicembre dall’INSEE, cioè l’Istituto Nazionale della Statistica e degli Studi Economici, emerge però anche una «sorpresa», scrive il quotidiano Libération: Parigi perde infatti abitanti. Secondo l’INSEE, il 1° gennaio 2016 i 35.340 comuni francesi (esclusa la Regione d’oltremare di Mayotte) avevano una popolazione di 66.362.000 abitanti, un aumento annuale dello 0,4% per quanto riguarda il periodo 2011-2016. La Francia detta «metropolitana» contava 64.468.792 abitanti, mentre i DROM (i dipartimenti e le regioni d’oltremare) ne avevano 1.892.866. Proprio in due regioni d’oltremare, cioè Guadeloupe e Martinique, si registra un calo, rispettivamente dello 0,5% (su base annua) e dello 0,8%.

Per quanto riguarda la Francia metropolitana, a spingere la crescita demografica sono in particolare i grandi centri urbani, come Bordeaux (+1,5% su base annua), Lyon (+1,1%), Montpellier (+1,7%), Nantes (+1,4%) e Toulouse (+1,4%). In 24 dipartimenti invece della Francia «métropolitaine» i dati evidenziano un calo di almeno lo 0,1% su base annua, e questo per vari motivi, fra cui meno nascite ma anche meno nuovi arrivi. Tra questi 24 dipartimenti spicca quello di Parigi (il cui perimetro corrisponde con quello della città di Parigi): dal 2011 al 2016 ha perso su base annua in media lo 0,5% della sua popolazione, cioè 11.900 abitanti in meno all’anno.

È morto lo scrittore israeliano Amos Oz

È morto all’età di 79 anni, nel giorno di venerdì 28 dicembre in seguito ad un tumore, il noto scrittore e saggista israeliano Amos Oz. Ad annunciare la scomparsa dell’autore di capolavori come «Michael mio» (1968), «La scatola nera» (1987) e «Una storia di amore e di tenebra» (2002) è stata la figlia Fania Oz-Salzberger. Nato Amos Klausner il 4 maggio 1939 a Gerusalemme, Amos Oz aveva lavorato come giornalista ed era stato docente di Letteratura all’Università Ben Gurion del Negev. Per molti israeliani il pluripremiato Amos Oz era «una voce di coscienza e coraggio morale», scrive il Jerusalem Post.Dopo aver perso all’età di 12 anni sua madre per suicidio, Amos Klausner decise all’età di 15 anni di andar a vivere e lavorare in un kibbutz, cambiando anche il suo cognome in Oz, che significa «forza». Prestò servizio nelle forze armate israeliane e partecipò sia alla «Guerra dei Sei giorni» (1967) che alla «Guerra dello Yom Kippur» (1973). Amos Oz era noto come sostenitore degli «Accordi di Oslo», della «Soluzione dei due Stati» e dei negoziati di pace con i palestinesi. Era anche co-fondatore del movimento «Peace Now». Negli ultimi anni aveva criticato la politica del premier Benjamin Netanyahu e denunciato il «crescente estremismo» da parte del governo, così ricorda Le Figaro.

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