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Kaleb è vivo e passerà il Natale a casa! (Anche se per i medici era già cerebralmente morto)

NEWBORN INTENSIVE CARE

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Paola Belletti - pubblicato il 13/12/18

Siamo nel Regno Unito, di nuovo, e di nuovo alle prese con la vita del più fragile tra i nati: un bambino appena venuto al mondo, in sofferenza da parto. Kaleb, a causa di una prolungata anossia perinatale, è stato dichiarato cerebralmente morto. Ma lui non era d'accordo.

Non so se citare S. Agostino o William Hurt di Un medico, un uomo. Forse meglio il medico interpretato dall’attore americano nel ’91 perché non riesco a risalire alla citazione del santo di Ippona che rincorro nei meandri della memoria e Google non è onnipotente, ancora.

Terminale? E che cos’è, un computer? Il paziente è vivo o è morto? (citazione mia, a memoria)

Ecco, anche Kaleb era vivo, in condizioni oggettivamente gravi ma vivo. Certo esiste quel percorso misterioso ma sempre più studiato della fase di avvicinamento alla morte; esistono diversi livelli fino ad ora misurati di coscienza, e addirittura non si contano i casi di esperienze di premorte dove il paziente racconta di una coscienza staccata dal corpo; esistono pure danni biologici oggettivi che non si possono negare.

Eppure contra factum non valet argumentum, ci ricorda il piccolo Kaleb, che ora ha 15 mesi, una sorella di 4 anni che lo adora, due genitori con sale in zucca e amore in quantità da riversare su di lui.


COUPLE HOSPITAL

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Evento traumatico perinatale: Kaleb nasce ma non respira

Becki Crook, 30 anni e suo marito Phil di 33, hanno detto che il loro bambino ha riportato estesi danni cerebrali dopo essere rimasto senza ossigeno poco prima o poco dopo il parto. (Mirror.co.uk)

Ovvero il loro bimbo che aveva attraversato magnificamente tutta la vita intrauterina a ridosso della nascita o appena dopo ha subito una prolungata anossia. Il parto è avvenuto a casa e in fretta per l’avviarsi imprevisto e precipitoso del travaglio. Ogni parto è a sé, mai luogo comune è stato più vero.

L’ossigeno serve eccome ai tessuti corporei e in particolare al cervello che ne utilizza la percentuale più alta. La privazione anche solo di pochi minuti è sempre foriera di conseguenze, salvo miracoli. Per questo una volta portato il piccolo di corsa in ospedale, il Rainbow Hospital for Children and Young People di Loughborough nel Leicestershire, il personale medico lo ha collegato alla ventilazione assistita ma fin subito ha anche comunicato ai genitori che le sue condizioni sarebbero state catastrofiche.

Dopo soli 10 giorni i medici convincono i genitori che Kaleb sia cerebralmente morto: accettano il distacco dai supporti vitali

I due genitori, straziati, heartbroken – dicono sempre in questi casi gli inglesi – si sono arresi alle valutazioni dei medici e al protocollo che sempre i medici prospettavano come unico sentiero possibile (ricordate il Liverpool Care Pathway? Certo non più legale ma ancora praticato. Reso meno impugnabile contro i medici dalle nuove linee guida del Royal College, per cui forse andiamo di male in peggio). Portatelo in un hospice e avviate le procedure di fine vita. Che modi grotteschi per aggirare i fatti: procedure che sono omissioni o azioni che hanno la diretta intenzione di procurare il decesso.


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Il baby è in condizioni di brain death, e dove c’è lei, la morte, non c’è più vita. E’ ovvio.

I genitori dunque si sono convinti (non esiste uno strumento per misurare questo tipo di dolore, nessuna scala condivisa accettabile. A meno che non finisca con il simbolo ∞) e il 10 settembre del 2017 i supporti vitali che sostenevano le funzioni vitali di Kaleb sono stati sospesi.

“Dopo dieci lunghi giorni” commenta il Mattino che riporta la notizia. Lunghi? Per la sofferenza forse, per lo strazio di vedere il proprio meraviglioso bimbo nato da poco già così prossimo all’altro limitare, la morte. Quello che di solito si immagina lontano, anzi impossibile. E’ così ingiusto declinato sulla vita dei nostri figli. Sono belli, li amiamo, saranno eterni!

Interrotta ventilazione assistita, Kaleb si mette a respirare da solo!

Staccano la spina, dunque. Espressione quasi naif ormai e parecchio odiosa che nei fatti significa che gli è stato sfilato il respiratore: via il tubo dal naso, via il tubo più grosso dalla bocca. Forse qualche analgesico, non troppo forte crediamo perché sentite qua: Kaleb estubato si mette a respirare da solo.

Stiamo pensando ad Alfie e Isaiah e a Charlie e ai tanti altri per i quali non siamo nemmeno riusciti ad indignarci, vero?


THOMAS EVANS WEB3 - THOMAS EVANS ALFIE G. K. CHESTERTON

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Orbene, dottori nostri carissimi: che dite, si sfoggiano le virgolette per bofonchiare qualcosa circa un eventuale “miracolo” o si torna a studiare, si rivedono definizioni e protocolli?

Se respira da solo è vivo, non privo di danni cerebrali e alcuni forse resteranno tali per tutta la vita forse no.

Ma esiste un altro ritornello che sentiamo spesso anche noi come genitori di un bimbo cerebroleso e cerebropatico ed è “il cervello ha una plasticità incredibile”. Bene, lavoriamoci. Cioè voi, lavorateci.

Noi, il nostro bimbo (ora parlo come fossi Becki e Phil e la dolce sorellina che si bacia il suo fratello con dolcezza angelica) ce lo portiamo a casa e ci dedichiamo ad amarlo. Nutrirlo, vestirlo bene, stimolarlo in molti modi.

Festeggerà il S. Natale con la sua famiglia amato e coccolato: e questa non è eccellente qualità di vita?

Da diversi mesi questo bimbo paffuto è a casa sua, seguito nelle sue complesse necessità, e si appresta a festeggiare il Natale coi suoi. Di lui dicono loro, che lo conoscono piuttosto bene, che ami soprattutto sorridere e di preferenza al suono della voce della sorella. Dicono anche che è un vero miracolo vivente e che ha disatteso tutte le attese dei medici.

Vogliono che sappia quanto è amato e che sono tanto orgogliosi di lui.


MAURIZIO CERUTTI

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Il bimbo è seguito e la famiglia “è in carico” allo stesso Hospice che avrebbe avviato le mortifere procedure. Stanno anche raccogliendo fondi per sostenere le tante spese che la cura di un bimbo così complesso richiede. Ma è vivo, è amato, ed è molto bello per giunta.

Se la vita torna ad essere considerata sacra, stiamo tutti meglio e migliora anche la medicina

Nessuno sa cosa riservi il futuro a Kaleb ma al momento sceglie la” vita “ogni giorno e sfidando le avversità. (Mirror)

Così osserva Becki, la mamma, e i medici dovrebbero essere d’accordo con lei e con la famiglia intera di questo piccolo guerriero; dovrebbero incamminarsi su un altro sentiero, quello avventuroso di stare a vedere cosa sarà, dandosi da fare in ogni modo e attingendo a tutta la loro competenza medica e capacità umana. Anche queste sono di dimensioni ben più larghe e profonde di quel che attualmente sospettiamo: se crediamo che la soluzione ci sia, attiviamo molti più pensieri creativi ed è decisamente più probabile che la troviamo; magari non quella definitiva, la guarigione completa, ma qualcosa di tanto bello lo stesso: il benessere, la gioia condivisa con la famiglia, un dolore alleviato. Di sicuro qualcosa di molto meglio di quanto favorisca l’attitudine mentale “la sua vita è devastata, non ha senso darsi da fare”.

La vita è piena di possibilità

Potrebbe essere utile tornare a studiare concetti come potenza, possibilità e sorpresa. Potrebbe essere bello, per i medici innanzitutto, rispolverare il caro vecchio concetto di limite: quello che noi tutti abbiamo nel circoscrivere la vita e la sua reale potestà. Di riaffermare il primato della coscienza (del paziente e del medico) e di quella tornare a parlare come di un fenomeno non solo biologico, che trascende, sfugge, meraviglia. Si può anche usare il termine anima, non è una parolaccia!

E forse sarebbe anche il caso di rendersi conto che una scienza sganciata dal sacro, non quello dei baciapile ma anche quello naturale di chi si inchina davanti alla maestà stessa della vita, non diventa la dea libera e potente che ci si immaginava ma la zelante serva di altri poteri; e se questi non sono a servizio della vita servono la morte, o il denaro. Che, a volte, le assomiglia.


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