L’artista rinascimentale si è concentrato sul rappresentare l’umanità di Cristo piuttosto che “solo” la sua divinitàL’inizio del Rinascimento nel XIV secolo segna un cambiamento nella produzione artistica rispetto al tardo periodo medievale. Un rinnovato interesse nel classicismo, un’attenzione alla natura e una visione più individualistica dell’uomo iniziarono a permeare dipinti, sculture, architettura, musica e letteratura, prima in Italia e poi in tutta l’Europa continentale. Una delle rivoluzioni più importanti nell’arte religiosa è la profonda enfasi sull’“humanitas” di Gesù. Gli artisti medievali e bizantini erano più interessati a sottolineare l’aspetto divino di Gesù e di altre figure religiose, mentre dall’inizio del Rinascimento in poi il fulcro dell’attenzione passa sull’umanità.
Questa nuova enfasi è particolarmente evidente nel modo in cui gli artisti rappresentavano la Crocifissione, che in linea con la filosofia francescana veniva vista come il simbolo ultimo del cristianesimo: essere disposti a dare la propria vita per abbracciare la volontà di Dio.
È per questo che i crocifissi rinascimentali iniziarono ad assumere il tono “drammatico” che si poteva già osservare in alcune opere di Giotto un secolo prima. Gli scultori erano più interessati a evocare empatia nei confronti dell’essere umano rappresentato sul crocifisso piuttosto che reverenza per il divino.
Guardando tre crocifissi dello scultore fiorentino Donatello, realizzati nel XV secolo, possiamo vedere come il concetto di “humanitas” abbia iniziato a emergere all’inizio dell’arte religiosa rinascimentale.
Crocifisso di Donatello, basilica di Santa Croce, Firenze
Risalente al 1406-1408, questo crocifisso ligneo è conservato nella cappella Bardi di Vernio della basilica fiorentina di Santa Croce. Per cogliere pienamente l’innovazione promossa da Donatello è utile paragonare il suo lavoro con un crocifisso di Cimabue, artista tardomedievale, esposto nella stessa chiesa.
Il crocifisso di Cimabue può essere considerato un ibrido di arte bizantina, più interessata al divino che all’umano, e arte rinascimentale, più interessata all’umano che al divino. Cimabue segue il canone bizantino classico dell’arte sacra. Cristo viene rappresentato più come un’“immagine di Dio” che come una persona mortale. Vediamo tuttavia qualche sforzo di “umanizzare” Gesù, ad esempio con l’effetto del telo trasparente che mostra il Suo corpo ferito.
Donatello porta questo concetto a un livello superiore. Il suo crocifisso di Santa Croce è la rappresentazione di un uomo sofferente piuttosto che un astratto divino. Cristo è mostrato come un uomo imponente e con la barba che sta sanguinando. La scelta stilistica di Donatello venne derisa da alcuni suoi contemporanei, comevene il “rivale” Brunelleschi, che lo accusò di ritrarre un “contadino” sulla croce. Ma era proprio quello che lo scultore fiorentino stava cercando di fare: suscitare profonda empatia tra i credenti sottolineando le similitudini tra loro e Gesù.
L’obiettivo venne perseguito attraverso un vivido realismo e rendendo la scultura “mobile” di modo che potesse essere tirata giù dalla croce e usata nelle celebrazioni della Settimana Santa. Donatello usò dei pioli sotto le ascelle per rendere le braccia mobili, un’innovazione che non sarebbe stata tollerata durante il periodo bizantino. In questo modo, il suo lavoro diventò non solo “figurativo”, ma anche “performativo”.
Donatello, però, non perse del tutto di vista l’aspetto divino di Cristo. Piuttosto, mescolava elementi della sofferenza umana – il sangue che sgorga dalla corona di spine – con elementi perfettamente intagliati come le braccia e le gambe. In questo modo rappresentava la coesistenza di umano e divino nella figura di Cristo.
Basilica di Sant’Antonio da Padova, Padova
Rispetto al crocifisso di Santa Croce, in questo crocifisso bronzeo realizzato da Donatello tra il 1444 e il 1447 vediamo un’“armonizzazione” maggiore tra l’agonia umana di Gesù e la sua bellezza divina.
Il crocifisso di Santa Croce presenta entrambi gli elementi, ma sottolinea più l’agonia che il divino. In questo caso, vengono rimarcati ugualmente i due aspetti. Il divino è sottolineato da elementi sia “esterni” – l’aureola – che “intrinseci” – un ritorno alla perfetta armonia delle proporzioni tipica della scultura classica. Come ha spiegato lo storico dell’arte Giulio Zennaro, l’altezza di Cristo in questa scultura è equivalente all’ampiezza delle braccia, una riproduzione dell’“uomo perfetto” di Vitruvio – un uomo le cui proporzioni entrano perfettamente in un quadrato – poi reso popolare da Leonardo. La sofferenza è evidente soprattutto sul volto di Gesù, ma è quasi invisibile nei dettagli perfettamente scolpiti del suo corpo, cosa resa possibile dalla plasticità del bronzo. In qualche modo, Donatello sembra suggerire che l’integrazione perfetta dell’aspetto umano e divino di Cristo è in sé una manifestazione della volontà di Dio.
Chiesa di Santa Maria dei Servi, Padova
Questo crocifisso è stato definitivamente attribuito a Donatello nel 2008 grazie al lavoro di Marco Ruffini, docente di Critica Artistica presso l’università la Sapienza di Roma. L’ipotesi aleggiava fin dal 1550, quando qualcuno scrisse una nota dicendo “ha anche realizzato il crocifisso della chiesa dei Servi a Padova” vicino a una sezione relativa a Donatello nel famoso volume di storia dell’arte di Giorgio Vasari. È stato Ruffini, però, a riuscire a confermare l’attribuzione incrociando documenti storici e analisi stilistica.
In quest’opera, Donatello porta avanti il suo sforzo di sottolineare la sofferenza umana di Gesù mostrando dettagli realistici come sangue, pelle ferita e corona di spine. È come se cercasse di condensare in un’unica scultura tutta la sofferenza sopportata da Cristo dalla sua cattura. Perfino la scelta di un “corpo esile” piuttosto che di uno più robusto sembra essere dettata dalla sete di realismo – è così che appariva Gesù dopo essere stato imprigionato e torturato dai soldati romani. Lo sforzo di essere realistici va oltre: Cristo sembra completamente nudo, cosa imposta ai “criminali” crocifissi dai romani. Qui Donatello sembra davvero sottolineare il paradosso dell’umiliazione imposta da umani mortali al Figlio di Dio. Questo crocifisso è anche noto come “il crocifisso dei miracoli”, perché il 5 febbraio 1512 iniziò a sanguinare per un totale di 15 giorni consecutivi. Il miracolo si verificò di nuovo il Venerdì Santo e la domenica di Pasqua, stavolta di fronte a molta gente.