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Jessica, la “moglie” e il battesimo negato. Molto rumore per nulla

LAWRENCE LEW

Fr Lawrence Lew, O.P.-(CC BY-NC-ND 2.0)

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 28/11/18

Si continua a parlare della donna sarda “sposatasi” a Napoli con un'altra donna secondo il rito di una sedicente “chiesa ecumenica”: il parroco le ha ovviamente negato il certificato per essere madrina della nipote, ma l'opinione pubblica fatica a comprendere che il problema di quel “matrimonio” non è “l'altra”, bensì “la chiesa”.

Difficile leggere le rimostranze di Jessica Vargiolu e trattenersi dal pensare a una personalità narcisistica in cerca di cinque minuti di attenzione pubblica: ormai è passata una settimana abbondante ma le sue parole hanno raccolto perfino la reazione – severa ma giusta – di don Paolo Farinella dalle colonne del Fatto Quotidiano.

Sintetizzando l’articolo di Paolo Rapeanu su castedduonline.it, ricapitoliamo:

  • Jessica si è vista negare il nulla osta a essere madrina di battesimo (per sua nipote);
  • la ragione del rifiuto è da lei individuata nel suo orientamento sessuale;
  • a sostegno della serietà del proprio impegno sentimentale Jessica ricorda di essere sposata (sic!) dal 2013 con Michela, quasi coetanea: le “nozze” avrebbero avuto luogo «con il rito cattolico ecumenico all’Arcigay di Napoli».
  • Jessica annuncia battaglia e promette di andare a protestare dal Vescovo – «è una questione di principio!» – e afferma che, «se le leggi della Chiesa sono queste, allora preferisco non farne parte».

La posizione di don Paolo Farinella – che ha sorpreso non pochi cattolici abituati a dipingere una realtà ecclesiale senza sfumature, bianco o arcobaleno… – è perfetta ed esaustiva: nel suo rigore e nella sua apertura.


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È stata la stessa donna però a fornire al commentatore gli elementi sufficienti per sottrarre la questione al trito ping-pong “omofobi-omomani”: del suo orientamento sessuale tutti sapevano, anche quando in precedenza un analogo certificato era stato rilasciato. Ciò che è variato da allora è non tanto il “matrimonio” con Michela, poiché per la Chiesa cattolica una tale cosa semplicemente non esiste:

Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso».

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Ciò che è variato, dunque, è lo stato di Jessica di fronte alla Chiesa cattolica, in quanto fedele: è sì per l’attentato al matrimonio che la donna si è posta fuori dalla comunione con la Chiesa cattolica, ma non per il fatto che la stessa pretenda di “sposarsi” con una donna – relativamente al matrimonio, una tale unione difetta anzitutto di materia –; bensì per l’adesione, implicita ma formale, a una sedicente “chiesa” che può essere riconosciuta dalla Chiesa cattolica meno di quanto possa esserlo lo stesso “matrimonio” tra persone dello stesso sesso.




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Ciò permette a don Farinella di rimettere a tema il vero cuore della questione, ovvero quella appartenenza alla Chiesa che in un padrino di battesimo dovrebbe essere esemplarmente viscerale. Sullo sfondo sta un altro tema, cui il prete di Genova fa rapido cenno:

La figura dei padrini non è pleonastica o coreografica, ma essenziale, fino al punto che, in caso di necessità, il battesimo può essere celebrato senza i genitori, ma non senza il padrino e la madrina. I quali si chiamano così perché per la Chiesa il bambino è così importante, sul piano della fede, che necessita di un supplemento di paternità e di maternità per essere accompagnato nell’educazione nella fede cristiana. In altri termini, un padre e una madre non bastano per educare un figlio alla fede, ma accanto a loro occorrono un piccolo padre e una piccola madre che all’occorrenza – se i genitori naturali o adottivi venissero meno agli impegni che si assumono all’atto del battesimo, in quanto responsabili della crescita e della vita del figlio – hanno l’obbligo morale e il diritto ecclesiale di sostituirsi a essi.

Seguono altre importanti considerazioni di teoria del diritto canonico che chiunque potrà approfondire con frutto. E ha ragione don Farinella nel dire che «ridurre una questione così forte e delicata a un problema di sessualità mi pare fuori luogo – vi scorgo una certa superficialità». Anche a voler concedere a Jessica tutti i distinguo e le sospensioni di giudizio che si vogliano, per principio di cautela, è davvero difficile escludere che il caso esprima una volta di più un tentativo di cinica strumentalizzazione di ordinarie frizioni su piani fittizi e funzionali ad altra causa.




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Uscendo però dai generi della lamentazione e dell’invettiva, il fatto stesso che simili strumentalizzazioni abbiano luogo invoca una seria riflessione, diremmo pure un esame di coscienza ecclesiale:

Oggi si scelgono i padrini – scrive don Farinella – molto superficialmente, senza alcuna riflessione, spinti più dagli equilibri parentali o amicali che dal vero interesse del bambino.

Se questo è stato possibile nel caso di Jessica… anzi, se è stato possibile che l’ovvio diniego del parroco abbia innescato un caso… è perché avviene continuamente, senza strepito ma piuttosto come un brusio di sottofondo: non i divorziati risposati, non i conviventi che diventano “padrini dei figli dei fratelli”… ma moltissima “brava gente” che fa lo stesso senza essere assalita da un brivido al pensiero della responsabilità che si assume.




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Richard Elmann lo ha ricordato al mondo, pare che Oscar Wilde abbia detto:

La Chiesa cattolica è solo per i santi e per i peccatori. Per la gente rispettabile va benissimo quella anglicana.

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