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Disobbedisci alla pigrizia e alla paura, non sei più schiavo ma figlio del Re!

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Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 21/11/18
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Né la paura, né il giudizio, né il senso di colpa possono essere criteri su cui fondare la propria vita, pena vedersela consumata, paralizzata, morta, vuota Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. Anche a questo disse: Anche tu sarai a capo di cinque città. Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me».
Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme. (Lc 19,11-28)

“Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l’investitura di un regno e poi tornare. Chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: “Fatele fruttare fino al mio ritorno””. Mi ha sempre impressionato molto come Gesù, che è Colui che ci ha promesso che sarà con noi fino alla fine del mondo, sappia con profondo realismo che la sensazione che tutti abbiamo è quella di sentirci invece soli a colmare l’assenza di “uno che se n’è andato lontano”. Credo che per capire questa contraddizione dobbiamo pensare a quello che fa una madre e un padre davanti a un figlio che cresce. Un buon genitore, come un buon educatore sa bene che le potenzialità di un figlio, di un ragazzo, vengono fuori solo se si ha il coraggio di sapersi fare da parte, di saper creare un’assenza che lo costringa a passare in prima fila, a prendersi le responsabilità, ad esprimersi, a tirar fuori. Un genitore o un educatore onnipresente può tirare fuori solo figli e ragazzi frustrati, insicuri e infelici. È la possibilità di una sana assenza che spinge a crescere, a far fruttificare. Certo, questo non è automatico, la storia di quell’uomo che risponde così drammaticamente a chi gli ha fatto l’atto di fiducia di affidargli qualcosa, ne è un esempio: “ecco la tua mina che ho tenuta nascosta in un fazzoletto, perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quello che non hai depositato, e mieti quello che non hai seminato”. Ma non è forse questa la più grande sfida educativa? Cioè insegnare che né la paura, né il giudizio, né il senso di colpa possono essere criteri su cui fondare la propria vita, pena vedersela consumata, paralizzata, morta, vuota. Infatti c’è sempre una conseguenza a chi davanti alla fiducia reagisce con la pigrizia o con la paura. Il messaggio è chiaro: noi possiamo disobbedire sia alla pigrizia che alla paura. E questa disobbedienza può tirar capolavori fuori di noi. Questa disobbedienza non ci rende più servi ma figli di re. (Lc 19,11-28)

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