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Il “medico di Hiroshima” sulla via della santità

ARRUPE

jesuits.org

Macky Arenas - pubblicato il 18/11/18

Ad appena 500 metri dal luogo, miracolosamente illesi, i Gesuiti sotto la sua direzione salvarono centinaia di vite

Il Padre Generale dei Gesuiti, Arturo Sosa SJ, ha confermato alla Compagnia di Gesù, a 111 anni dalla sua nascita, l’inizio del processo di beatificazione di Pedro Arrupe, gesuita di Bilbao che è stato Superiore Generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983.

Il Padre Generale lo ha annunciato in una lettera in cui ha scritto: “Ho il piacere di comunicare a tutto il corpo religioso e apostolico della Compagnia di Gesù che è iniziato ufficialmente il processo per una possibile beatificazione di padre Pedro Arrupe, 28º Superiore Generale della Compagnia di Gesù. Da ora, quindi, è già considerato ‘Servo di Dio’”.

Padre Arrupe è stato l’artefice del rinnovamento conciliare della Compagnia di Gesù ed è una figura rilevante nella storia della Chiesa del XX secolo. Ufficialmente la sua causa verrà avviata nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma il 5 febbraio 2019, 28° anniversario della sua morte.

Padre Arrupe è ammirato da intere generazioni, ed è stato il “Papa Nero” più carismatico tra quelli che sono passati per la sede di Roma.

È andato in missione in Giappone come San Francesco Saverio, uno dei fondatori della Compagnia di Gesù. Arrivato nel Paese asiatico nel 1938, si mise immediatamente a imparare la lingua e i costumi giapponesi. L’8 dicembre 1941, qualche ora dopo l’ingresso del Giappone nella II Guerra Mondiale, venne arrestato e incarcerato dalle autorità locali con l’accusa di essere una spia.

Fu liberato dopo qualche settimana, e poco tempo dopo venne nominato maestro dei novizi a Nagatsuka, una piccola località situata a 7 chilometri da quello che sarebbe poi stato l’epicentro dell’esplosione nucleare nel centro di Hiroshima.

Padre Arrupe si trovava nel noviziato gesuita di Hiroshima il 6 agosto 1945, quando alle 8.10 si verificò un’esplosione ad appena 500 metri dal luogo in cui si trovava. Era in una casa con 35 giovani e vari Gesuiti e vide “una luce potentissima”. Aprendo la porta “sentimmo un’esplosione formidabile, simile al fragore di un terribile uragano, che si portò via porte, finestre, vetri, pareti mobili… che fatti a pezzi ci cadevano sulla testa”. Furono tre o quattro secondi “che sembrarono mortali”, anche se tutti i presenti rimasero in vita. Non c’era traccia del fatto che fosse caduta una bomba lì vicino.

“Correvamo nei campi di riso che circondavano la nostra casa per trovare il luogo in cui era caduta la bomba quando, dopo un quarto d’ora, vedemmo che dalla città si alzava una nube densa, nella quale si distinguevano chiaramente grandi fiamme. Salimmo su una collina per vedere meglio, e da lì riuscimmo a distinguere dov’era stata la città, perché quella che avevamo davanti era una Hiroshima completamente rasa al suolo”, riferì padre Arrupe.

Era “un enorme lago di fuoco”, che col passare dei minuti lasciò Hiroshima “in macerie”. Chi fuggiva dalla città lo faceva “con difficoltà, senza correre, come avrebbe voluto, per fuggire da quell’inferno quanto prima, perché non poteva farlo per via delle terribili ferite che aveva riportato”.

Padre Arrupe descrisse “una luce molto forte” e un rumore che sembrò durare secoli. Come riferiscono i Gesuiti, “il sacerdote lasciò subito posto al medico” – Arrupe aveva studiato Medicina –, e trasformò rapidamente il noviziato in un ospedale da campo per assistere i feriti. Le persone arrivavano con ustioni che paragonava a quelle prodotte dal sole o dai raggi infrarossi.

L’équipe improvvisata, saggiamente diretta dal sacerdote, riuscì a salvare centinaia di vite assistendo tutti con rapidità e perizia. 80.000 cadaveri e 100.000 feriti rappresentavano il panorama che si trovavano davanti. Arrupe e gli altri Gesuiti riuscirono ad alloggiare nell’ospedale improvvisato nella sede del noviziato più di 150 feriti, riuscendo a salvarli quasi tutti, anche se la maggior parte di loro subì gli effetti devastanti delle radiazioni atomiche sull’essere umano.

A tratti pensavano che la situazione li avrebbe schiacciati, confessò, ma lavoravano instancabilmente e confidando nel fatto che Dio li avrebbe guidati nonostante le esigue possibilità che avevano di fronte a una tragedia simile. Il giorno dello scoppio della bomba morirono più di 70.000 persone e altre 200.000 rimasero ferite. Alla fine del 1945, i morti erano saliti a 166.000.

Per 50 anni non si è potuto vivere a Hiroshima, tanto era tutto contaminato dalle radiazioni.

Il sacerdote gesuita ha plasmato in un libro, Ho vissuto la bomba atomica, le sue esperienze relative al giorno della tragedia e ai mesi successivi.

Quella di Nagatsuka era la seconda casa che la missione gesuita aveva in Giappone, erede di quella fondata da San Francesco Saverio un altro 15 agosto, stavolta del 1549, quando era arrivato a Kagoshima, all’epoca capitale del fiorente Regno del Sud. Da lì padre Arrupe ascoltò quel giorno come l’imperatore, dopo gli effetti devastanti delle bombe atomiche gettate su Hiroshima e Nagasaki, oltre all’attacco con armamenti incendiari su Kumagaya il 14 agosto, accettava la resa incondizionata. La sconfitta non avrebbe potuto essere più evidente, osservò Arrupe, quando il 1° gennaio 1946 l’imperatore riconobbe che era un’“idea immaginaria” che egli fosse un dio sulla Terra.

Lo storico francese Jean Lacouture testimonia che il dolore umano a cui assistette padre Arrupe è qualcosa che schiaccia un essere umano. “Era formato nella carità, ma quello che vide a Hiroshima lo trasformò”.

Arrupe intraprese la marcia verso Hiroshima alla ricerca di altri membri dell’ordine, e racconta quello che vide: “La città rasa al suolo, mutilati moribondi, il fiume pieno di disperati che erano rimasti intrappolati nel fango mentre saliva la marea, le grida dei bambini, il silenzio dei cadaveri inceneriti, la gente arsa ma senza fuoco”… e qualcosa che non avrebbe mai dimenticato: un gruppo di giovani sui vent’anni, una delle quali “aveva una vescica che le occupava tutto il petto. Aveva anche la metà del volto bruciata e un taglio provocato dalla caduta di una tegola che, avendole lacerato il cuoio capelluto, lasciava vedere l’osso, mentre una gran quantità di sangue le inondava il volto”. Un olocausto. Era circondato da un vero inferno.

Il libro autobiografico di Arrupe ha visto la luce molto dopo l’intervista che concesse nel 1955 a Gabriel García Márquez, che all’epoca aveva 22 anni e che 27 anni dopo avrebbe ricevuto il Nobel della Letteratura. “L’esplosione della prima bomba atomica – gli disse all’epoca – si può considerare un evento al di sopra della storia. Non è un ricordo, è un’esperienza perpetua che non cessa con il tic-tac dell’orologio (…) Hiroshima non ha rapporto con il tempo: appartiene all’eternità”.

Padre Arrupe è rimasto altri vent’anni in Giappone, prima come maestro dei novizi e poi come primo Provinciale del Paese. In quel periodo ha viaggiato per tutto il mondo raccogliendo aiuti per Hiroshima e Nagasaki. Si è immerso completamente nella cultura giapponese, facendola propria.

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