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Cara mamma, consola sempre il tuo bambino che piange: da adulto sarà più sicuro

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BenEssere - pubblicato il 16/11/18

In età adulta le persone che hanno avuto un rapporto positivo e consolatorio con i genitori nei primi mesi di vita sono più forti, ma in caso contrario non tutto è perduto. I consigli dell’esperta...

di Maria Teresa Antognazza
in collaborazione con Gloria Attili professore emerito di Psicologia sociale
e direttore dell’Unità di ricerca “Sistemi sociali, strutture mentali e attaccamento” all’Università La Sapienza di Roma

Da quando è nata Gloria, per Michela e Antonio la vita è diventata un inferno. Notti insonni, rapporti tesi, tanto nervosismo e la stanchezza che si accumula. Pianti disperati si susseguono ininterrotti. «La bambina urla in continuazione e non capiamo perché; non sappiamo più cosa fare. Ogni intervento sembra sbagliato», racconta in lacrime la mamma alla pediatra durante la visita di controllo dei tre mesi. I due genitori non sanno che pesci pigliare: cercano di consolare la piccola, le massaggiano il pancino, la cambiano, la nutrono, la ninnano, la portano a fare giri in auto… Insomma, niente sembra porre ne alla disperazione di Gloria e l’angoscia è enorme.

Poi ci si mettono parenti e amici, ognuno con i propri consigli: «Non fare così perché la vizi»; «Lasciala piangere un po’, che poi smette da sola…»; «Ha fame, ci vuole il biberon»; «Cambia latte, ha le coliche…»; «Non essere ansiosa… non essere questo, non fare quello…».

I due genitori si sentono sempre più insicuri ogni giorno che passa. E la bambina sembra risentirne. I suoi pianti lo dimostrano costantemente. Una convinzione che poggia su solide basi scientifiche. «Il tipo di attaccamento che si instaura fin dall’inizio è una cosa importantissima», spiega Gloria Attili, una delle prime in Italia ad aver studiato espressamente questa materia. Professore emerito di Psicologia sociale, ha appena dato alle stampe il libro Attaccamento e legami. La costruzione della sicurezza (Edizioni San Paolo, 160 pagine, 15 euro). «Avere genitori, e in particolare una madre, che già nei primi mesi di vita si mostri pronta a confortare, a consolare quando si ha paura e a dare coccole, fa sì che i piccoli formino un’immagine di se stessi come di individui degni di essere amati, così che tutta la personalità verrà plasmata da queste prime esperienze. In età adulta, le persone che hanno avuto questo tipo di accudimento saranno in grado di affrontare le difficoltà in quanto avranno sempre la sensazione che potranno essere aiutate in caso di necessità, esattamente come accadeva con la loro mamma».




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BenEssere, Luglio 2018, pag. 95, San Paolo

Quello che Gloria prova quando sta sicura tra le braccia della mamma, non solo le consentirà di interrompere il pianto, ma influirà sulle relazioni e il benessere futuri. «Le relazioni con gli altri, con il partner, con gli amici, con i propri figli, sono fortemente influenzate dalla qualità delle prime relazioni di attaccamento. Se si è avuta una madre affettuosa si tenderà a darsi degli altri, a riconoscere e a condividere le emozioni di chi sta accanto, si darà valore ai rapporti affettivi e si risponderà alle richieste dei figli con la stessa prontezza e sollecitudine di cui si sia fatta esperienza con la propria madre».

Quando la pediatra prova a farsi raccontare da Michela quali sono le sue reazioni con la bambina e le spiega quanto è importante trasmettere cura e coccole, diventa subito chiaro che le cose non stanno come le avevano raccontato amici e genitori. «Quando Gloria piange», le suggerisce il medico, «è fondamentale che senta accanto a sé la presenza di una madre che è subito disponibile ad accorrere per consolarla». Michela si fida e a casa prova a cambiare atteggiamento. La piccola pian piano si tranquillizza. Con il tempo, invece di essere più capricciosa, sembra limitare i suoi pianti a bisogni specifici: strilla se ha fame o se si è sporcata, oppure quando ha paura del buio. E la mamma arriva subito. «I piccoli che fanno questo tipo di esperienza», spiega la psicologa Attili, «diventano sicuri, ovvero chiedono conforto se sono a disagio, ma riescono a esplorare l’ambiente con tranquillità se stanno bene: giocano, sorridono ad altri adulti, manipolano i giocattoli. Sanno, in pratica, che la mamma è il loro “porto sicuro”, che se, per qualche ragione, li lascia soli non li ha abbandonati. Hanno l’aspettativa che, nel caso non ce la facciano a sopportare il suo allontanamento, potranno contare sul suo ritorno e sulla sua disponibilità a confortarli».

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BenEssere, Luglio 2018, pag. 95, San Paolo

Certo, per Michela non è così facile. Non sempre si sente in grado di riconoscere i segnali della piccola Gloria. Ma adesso capisce che era proprio la sua incertezza, l’alternarsi di risposte contraddittorie (un po’ la prendeva in braccio, un po’ la lasciava piangere, non sapendo bene cosa fare) che rendeva la figlia insicura, costantemente a disagio e quindi sempre pronta a pianti interminabili. «Effettivamente», continua la docente della Sapienza, «il nostro modo di rispondere ai segnali dei neonati fa sì che i piccoli si sentano coinvolti in legami affettivi che hanno caratteristiche profondamente diverse e che poi saranno alla base del tipo di legami che sapranno instaurare con il proprio partner o con gli altri adulti della loro vita futura».




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Qualche esempio? «Una persona che abbia sperimentato un attaccamento sicuro nell’infanzia, sarà in grado di capire subito le difficoltà del proprio partner e sarà pronto a consolarlo; costruirà un legame di coppia basato sull’accettazione dell’altro per come è, sulla fiducia, su un darsi reciprocamente conforto e comprensione, sulla disponibilità a perdonare eventuali errori e sulla tendenza a risolvere gli inevitabili conflitti che possano emergere attraverso la negoziazione o il compromesso. In altri termini, farà di tutto per evitare che la relazione si rompa».

La Attili, nel suo saggio, propone una sorta di classificazione di questi diversi tipi di “legami di attaccamento”: «Possono essere sicuri, se voi mamme vi siete mostrate sensibili e responsive; ambivalenti, se lo siete state in maniera intermittente e imprevedibile; evitanti, se siete state sensibili ma di certo non responsive; disorganizzati se siete state in maniera discontinua sensibili e responsive e se, nello stesso tempo, siete state spaventanti attraverso forme di maltrattamento o semplicemente assentandovi mentalmente mentre stavate interagendo con il vostro bambino»

Ma per i due spaventati e incerti genitori di Gloria, alla prima esperienza educativa, essere consapevoli delle proprie reazioni non sempre adeguate può generare frustrazione. Come uscirne e provare a migliorare le relazioni? «Intanto, c’è un ruolo fondamentale da giocare per il padre. Occuparsi dei neonati non è certo impresa per una persona singola. L’appoggio del compagno alla sua donna in questo delicato momento della vita è fondamentale, sia per darle aiuto psicologico che per compensare in parte le eventuali fragilità della relazione madre-bambino. L’appoggio di un padre, anche laddove una madre sia tendenzialmente poco sensibile e responsiva ai bisogni del suo bambino, può riuscire a modificare in positivo le sue reazioni in virtù della presenza, accanto a lei, di un partner attento e affettuoso. Il padre potrà poi diventare lui stesso fattore di protezione nel percorso del bambino verso la sicurezza».

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BenEssere, Luglio 2018, pag. 97, San Paolo



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Ma per la serenità di Michela e del marito c’è un’altra buona notizia. Se anche la partenza è, per così dire, “andata storta”, non tutto è perduto. Nella vita c’è modo di recuperare e correggere i legami impostati in modo insicuro o negativo. La professoressa Attili ne parla di usamente nel suo libro proponendo esercizi e percorsi concreti di miglioramento. «Il mio scopo è proprio quello di aiutare a modi care i propri stili relazionali o di accudimento che siano emersi da legami primari non soddisfacenti. Avere avuto cure distorte o carenti è un fattore di rischio per una vita adulta felice ma si può cambiare! Il mio libro si pone come uno strumento che possa aiutare a costruire la propria sicurezza così da trasmetterla ai figli o da utilizzarla nel rapporto di coppia in modo da renderlo soddisfacente».

Ma è un percorso lungo e impegnativo. Si può fare da soli o è necessario avere degli aiuti esterni? E da chi? «In alcuni casi le persone ricorrono a una psicoterapia per risolvere il loro dolore e per realizzare rapporti affettivi che funzionino. Ma la consapevolezza del proprio modo di agire può essere raggiunta anche da soli. Gli esercizi che io propongo aiutano ad auto-osservarsi così da arrivare a rendersi conto delle proprie modalità relazionali e cambiarle. Attraverso esempi di come si comportano le madri, i padri, i partner di una coppia nella loro vita di ogni giorno, a seguito del modo in cui sono stati allevati, si può arrivare a capire come è strutturata la propria personalità così da non reagire più in automatico».

Sono “esercizi semplici”: «Per cambiare si può anche far leva sui propri ricordi. Cercare di rammentarsi come reagiva la propria madre quando si era piccoli e si chiedeva conforto e cercare di capire perché lei si comportava in quel determinato modo, può aiutare a dare un senso alla propria storia a affettiva così da avere addirittura compassione per un genitore che magari non sapeva amare che così! Capire che il proprio genitore era imprevedibile o freddo e distanziante non perché non si era degni di essere amati, ma perché la madre o il padre avevano delle condizioni di vita che li spingevano a comportarsi a quel modo o perché loro stessi erano stati trattati così nella loro infanzia aiuta a recuperare un’immagine di se stessi come di individui degni di essere amati. Non avere ricevuto amore può non essere più visto come l’esito di una propria mancanza di valore. In questo modo da insicuri si può divenire sicuri».




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