di Gianluigi Veronesi e Lara Tampellini
Ricorre quest’anno il 70° anniversario dell’uccisione del Servo di Dio Giuseppe Fanin, giovane sindacalista cattolico brutalmente assassinato in una fredda e nebbiosa sera di novembre nelle campagne del bolognese ad opera di tre braccianti su mandato del segretario locale del partito comunista. Stava facendo ritorno a casa in bicicletta, recitando come suo solito il rosario, dopo aver trascorso il pomeriggio con la fidanzata.
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Il 1948 fu un anno di incertezza, speranza ed accese contrapposizioni tra le forze politiche e sociali italiane. Lo scontro ideologico ebbe però il sopravvento sulla discussione dei programmi e delle proposte concrete, in un clima ogni giorno più teso ed arroventato. A grandi speranze per un futuro migliore facevano purtroppo da contraltare forti rancori non ancora sopiti. In questo clima, la componente cattolica del sindacato unico si prefisse di creare un’organizzazione libera estranea a influenze di partito e ciò fu contrastato fortemente dalle forze di sinistra. Giuseppe Fanin, cofondatore dei sindacati liberi nella zona, fu vittima di questa lotta.
In questi giorni a San Giovanni in Persiceto, sua città natale e teatro del tragico agguato, sono in programma una serie di importanti eventi commemorativi: tavole rotonde, eventi musicali (con l’esecuzione di un brano ad hoc scritto e interpretato dal gruppo rock-cristiano dei “Maddalen’s Brothers”), l’apertura di una mostra permanente e la prima visione di un docufilm girato nei luoghi di Fanin, che ha visto il coinvolgimento di giovani attori locali e la partecipazione straordinaria di Paolo Cevoli. Il tutto culminerà con la Santa Messa presieduta da Mons. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna.
Desideriamo porre qui l’accento su un importante aspetto della sua esistenza, ben evidenziato dal Card. Carlo Caffarra dieci anni or sono, di cui riportiamo le parole:
[Fanin] fu un uomo dalla profonda vita di orazione. Secondo quella spiritualità solida e semplice, che ha caratterizzato quella grande generazione: una profonda devozione mariana (la pratica del Rosario era quotidiana); una grande fedeltà ai sacramenti della fede, Confessione ed Eucarestia; la pratica annuale degli Esercizi Spirituali secondo il metodo ignaziano; una sincera ed affettuosa devozione al Papa. È questa spiritualità che ha nutrito uomini e donne nel loro quotidiano, faticoso e non raramente pericoloso cristianesimo.[…] La sua spiritualità non lo portava fuori dal mondo, in vacue evasioni spiritualistiche. Al contrario. Egli era pienamente consapevole che la sfida che la nuova stagione rivolgeva ai cristiani, doveva essere raccolta in primo luogo dai laici cristiani.[…] Essere dentro la società. Certamente il fedele laico non può non esserci, a causa della sua vita familiare e del suo lavoro e non raramente di impegni civili. Ma il problema è di esservi come cristiani; di non lasciarsi vincere dall’insidia di separare l’esperienza della fede dall’esperienza umana; di separare ciò che si celebra alla domenica da ciò che si vive il lunedì. Circa questa unità, il messaggio che giunge a noi dal Servo di Dio è limpido: è a causa di questa unità che è stato ucciso.
Un’unità di vita che l’ha reso un cristiano solido, non in balia delle mode culturali o della ricerca a tutti i costi del consenso sociale; un cristiano che ha saputo interpretare tutto ciò che accadeva alla luce del Vangelo; un “esempio alto e prezioso si testimonianza evangelica”, come sottolineò il Card. Giacomo Biffi in occasione dell’apertura solenne del processo di beatificazione. Ecco perché, proseguì il Cardinale, “i persecutori non ci hanno interessato più: la nostra attenzione è stata tutta presa dalla figura luminosa che dalla Provvidenza ci veniva indicata come un modello” per i giovani, per i lavoratori e per tutti i laici decisi a seguire le orme del Signore.
Un cristiano autentico, tutto d’un pezzo, capace di andare contro corrente, educato in famiglia ad una visione completa dei valori della vita e che ben conosceva la forza del perdono. A chi gli consigliò di armarsi, a seguito delle minacce ricevute, Fanin rispose semplicemente mettendo la mano in tasca ed estraendo il rosario: “Questa è l’unica arma di cui ho bisogno”.
E ancora, rivelando un senso umano e cristiano superiore, quasi un’accettazione generosa di un possibile martirio:
Se mi dovessi trovare un giorno nella necessità di difendermi e difendendomi uccidessi qualcuno, forse avrei tutti gli anni che mi rimangono amareggiati da un rimorso; potrei rovinare una povera donna, dei bambini innocenti. No, no; non voglio avvelenarmi la vita; nei guai io lascio gli altri, perché in Dio e nel Paradiso io ci credo!Leggi anche:7 insegnamenti di 7 grandi santi che vi cambieranno la vita
Ripercorrendo la vita di Fanin, in modo particolare soffermandoci a riflettere su questo punto, ci vengono in mente le celebri parole di San Josemaria:
Che la tua vita non sia una vita sterile. – Sii utile. – Lascia traccia. – Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore. Cancella, con la tua vita d’apostolo, l’impronta viscida e sudicia che i seminatori impuri dell’odio hanno lasciato. – E incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore.
Giuseppe, Pippo come era comunemente chiamato, amava in modo particolare la famiglia. Ricorda il suo primo biografo:
Era fiero della mamma ed era felice d’uscire con lei. Allora le sceglieva l’abito, l’aiutava a pettinarsi, la voleva giovane e bella, le offriva il braccio e ci teneva a farsi vedere con lei. […] Quando era libero lavorava nei campi insieme ai fratelli e al padre. Coltivava il suo giardino del quale era molto geloso poiché amava i fiori ed era sensibilissimo alla loro grazia e bellezza. Quanti fiori! Ce n’erano per tutti: per l’altare, per la fidanzata, per la casa.