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Sempre più miliardari: e già sono (almeno) 2.158

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Photo by Giles Keyte - © 2017 ALL THE MONEY US, LLC.

Paul De Maeyer - pubblicato il 02/11/18

Secondo un rapporto UBS e PwC, la loro ricchezza è cresciuta l’anno scorso del 19%

Nel corso delle ultime settimane sono stati pubblicati vari rapporti, che hanno descritto la povertà nel mondo o proprio il contrario, cioè la ricchezza. Il 17 ottobre scorso, la Banca Mondiale ha diffuso ad esempio ilPoverty and Shared Prosperity Report 2018, e solo pochi giorni prima, l’11 ottobre, l’ONG tedescaWelthungerhilfe aveva pubblicato l’edizione 2018 dell’Indice globale della fame.

Il 26 settembre invece, il gruppo tedesco Allianz aveva lanciato il suo rapporto globale sulla ricchezza finanziaria dei privati, intitolato Allianz Global Wealth Report 2018. E solo dieci giorni fà, il 18 ottobre, la società svizzera Crédit Suisse ha diffuso la nona edizione del Global Wealth Report 2018, nel quale ci si è soffermati anche sui grandi patrimoni dei ricchi e dei super-ricchi, miliardari inclusi.

Proprio a quest’ultima categoria, cioè quella dei miliardari, è stato dedicato il quinto rapporto Billionaires Insights stilato dalla società di servizi finanziari UBS e dalla società di consulenza alle imprese PwC (o PricewaterhouseCoopers).




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8,9 trilioni di dollari

Per il rapporto, gli analisti di UBS e PwC hanno preso in esame i dati relativi a 2.158 miliardari di 43 Paesi delle Americhe, della regione detta EMEA (l’acronimo inglese per Europa, Medio Oriente e Africa), e dell’APAC, ossia la regione Asia Pacifica, la quale include economie come Australia, Cina, India e Singapore. Secondo le stime degli autori, i dati rappresentano la quasi totalità della ricchezza miliardaria globale: approssimativamente il 98%.

Dal rapporto emerge che nel corso del 2017 il patrimonio aggregato dei miliardari è cresciuto di 1,4 trilioni di dollari, vale a dire 1.400 miliardi di dollari, per raggiungere quota 8,9 trilioni di dollari. Si tratta, così osservano gli autori, di un aumento del 19% o di quasi un quinto, «la più grande crescita assoluta di sempre» e «sostanzialmente superiore» alla media del 9% registrata nel corso degli ultimi cinque anni.

L’età media di questi oltre duemila «paperon de’ paperoni» è di 64 anni – così rivelano i dati contenuti nel rapporto –, con una ricchezza media di 4,1 miliardi di dollari. Quasi un terzo dei 2.158 miliardari, ossia 701, hanno già superato la soglia dei 70 anni, il che significa che il loro patrimonio passerà nel corso dei prossimi due decenni agli eredi o verrà devoluto in opere filantropiche.

«Il secolo cinese»

Lo studio di UBS e PwC è stato pubblicato con il titolo molto eloquente New Visionaries and the Chinese Century. Infatti, tutto indica che il mondo assiste a ciò che si potrebbe definire senza esagerazione alcuna «il secolo cinese». Fanno infatti impressione i dati relativi al più popoloso Paese del globo.

Alla fine del 2017, sottolineano gli autori del rapporto, il colosso asiatico ospitava 373 miliardari – nel 2006 erano solo 16 e nel 2004 appena 2 –, dei quali una proporzione sbalorditiva del 97% erano self-made, vale a dire che «si sono fatti da soli». Del resto, dei 332 nuovi miliardari segnalati nel 2017, più della metà, ossia 199, erano self-made, dei quali quasi la metà, cioè 89, erano proprio cinesi.

L’anno scorso il patrimonio aggregato dei miliardari cinesi è aumentato del 39% a 1,12 trilioni di dollari, una cifra equivalente alla capitalizzazione del Swiss Market Index, ossia il principale indice azionario della Svizzera, così osserva il rapporto. Sempre nel 2017, la Cina ha sfornato più di due miliardari alla settimana.


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Nuovo tipo di imprenditorialità

Anche se la Cina ha autorizzato solo nel 1988, cioè proprio trent’anni fa, le società private, il Paese ha fatto passi da gigante in tempi rapidissimi. Lo dimostra anche il fatto che quasi un quinto, cioè il 17%, dei nuovi miliardari cinesi ha fondato le proprie imprese meno di dieci anni fa. Negli USA, così sottolinea il rapporto UBS e PwC, era solo il 7%.

Secondo gli autori del rapporto, la classe imprenditoriale cinese si distingue dai loro colleghi nel resto del mondo. Lo studio descrive i miliardari del «Regno di mezzo», che hanno del resto un’età media di 55 anni, come «incessantemente innovativi», capaci di cogliere sempre «nuove opportunità» per rafforzare le loro aziende e sempre pronti a «reinventarsi».

«La cultura cinese è diversa del resto del mondo, specialmente l’UE», ha dichiarato un miliardario cinese, che viene citato nel rapporto. «In Cina le persone lavorano più sodo e sono più disposte a sperimentare per tentativi ed errori», così spiega. Questo rende gli imprenditori cinesi più flessibili e capaci di reagire con maggiore velocità alle varie sfide, rispetto agli europei, che «lavorano in modo più strutturato».

Come ricorda il rapporto, nel periodo 2016-2018 sono state create in Cina una cinquantina di aziende dette «unicorno», vale a dire società che hanno saputo conquistare un patrimonio capitale di oltre un miliardo di dollari, un numero solo di poco inferiore alle 62 degli USA.

Il resto del mondo

La Cina del resto sta trascinando l’intera regione dell’APAC, che conta oltre alle economie «sviluppate» di Australia e Giappone anche quelle emergenti di India e Indonesia. Secondo i dati di UBS e PwC, l’Asia conta attualmente 814 miliardari e nel corso del 2017 ne ha creato 177, al ritmo impressionante di tre ogni settimana. L’India conta attualmente 119 miliardari (+19 rispetto al 2016), mentre l’Indonesia è a quota 20 (numero rimasto invariato).

La cifra di 177 corrisponde ad un aumento del 14%, continua il rapporto, cioè proprio il doppio rispetto alla crescita europea (il 7%) e quasi il triplo rispetto a quella nelle Americhe: il 5%.

Nel 2017, il patrimonio netto dei miliardari della regione Asia Pacifica ha fatto registrare una crescita del 32%, quindi di quasi un terzo, per raggiungere quota 2,7 trilioni di dollari. «A questo ritmo, saranno più ricchi dei loro pari americani in meno di tre anni», così segnala il rapporto. Nell’arco del 2017 i miliardari indiani ad esempio hanno visto crescere il loro patrimonio del 36%, arrivando a 440,1 miliardi di dollari.

Mentre l’Asia conta quindi ormai già più miliardari che gli USA, nonostante ciò la maggiore concentrazione di ricchezza «miliardaria» rimane in mano statunitense, anche se risulta in fase di rallentamento: è cresciuta infatti solo del 12%, cioè ad un ritmo ben inferiore alla media globale, a 3,1 trilioni di dollari.

Mentre nel 2017 sono stati creati negli USA 53 nuovi miliardari – nel 2012 erano stati ancora 87 –, l’Europa ha registrato invece 17 nuovi miliardari (un aumento del 4%), il cui numero è salito a 414. La loro ricchezza aggregata è cresciuta del 19%, fino a quota 1,9 trilioni di dollari, grazie anche all’apprezzamento dell’euro sul dollaro.


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L’occhio vigile di Pechino

Anche se quindi i miliardari cinesi «volano», Pechino li tiene sott’occhio, suggerisce la Neue Zürcher Zeitung (27 ottobre). Lo ha sperimentato sulla propria pelle l’attrice Fan Bingbing, ricorda il quotidiano. Dopo un’assenza di tre mesi, l’attrice è apparsa nuovamente in pubblico ad inizio ottobre, chiedendo scusa per aver evaso le tasse e dichiarandosi pronta a pagare una sanzione di circa 130 milioni di dollari.

Anche il fermo a Pechino di una consulente della sede dell’UBS a Singapore sembra puntare nella stessa direzione: le autorità cinesi controllano da vicino i patrimoni dei miliardari e vogliono in particolare evitare che lascino il Paese, per essere investiti altrove, anche in attività dette off-shore. Secondo Patrick Ziltener, esperto di Cina presso l’Università di Sankt Gallen, citato dalla NZZ, «la Cina vuole impedire una improvvisa fuga di capitali».

Mentre la moneta cinese, lo yuan, ha perso in seguito alla battaglia commerciale con gli USA circa il 10% del suo valore in soli sei mesi, un altro elemento che preoccupa Pechino è la crescente disuguaglianza, così continua il quotidiano svizzero. L’1% più ricco della popolazione cinese dispone del 30% delle risorse, cioè il doppio rispetto a 20 anni fa. E mentre il 10% più ricco arriva persino a quasi il 70%, la partecipazione del 50% più povero è scesa al 6%. Cifre che senz’altro inquietano Pechino.

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