Smentite le accuse di sottomissione della donna nei passi biblici più contestati Teologhe, femministe ed, in gran parte, protestanti. Sono una ventina le autrici francofone di Una bibbia di donne (Labor et Fides 2018), libro presentato pochi giorni fa a Ginevra in una conferenza dal titolo “Né sante né sottomesse”. Si parla per l’appunto di Bibbia, sottomissione, misoginia, femminismo e figure femminili nella storia cristiana, coordinate dalle prof.sse Pierrette Daviau, Elisabeth Parmentier e Lauriane Savoy.
Un’occasione imperdibile quindi per rilanciare le tesi sulla misoginia biblica. Ed invece no, anche loro, rileggendo l’Antico Testamento, concludono all’opposto. E’ vero, si utilizzano vocaboli maschili per riferirsi solitamente a Dio (Padre, Figlio, Signore, Creatore, Onnipotente ecc.) ma fanno notare che lo Spirito creatore in ebraico è femminile, la Saggezza divina è sempre incarnata da donne e Dio è sovente paragonato ad una madre che mette al mondo, una levatrice. Le teologhe femministe rilevano anche «una relazione equilibrata» nella creazione divina tra Adamo ed Eva, così come non accettano la versione di chi vede le donne bibliche “sottomesse”. Se alcuni brani biblici intimano alle donne di tacere, nell’Antico Testamento troviamo numerose profetesse e messaggere di Dio. Ad esempio Debora (che è anche giudice), poi Olda, dalla quale si consulta re Giosia, Maria, Noadia ecc.
Il Nuovo Testamento, ancor di più, pullula di donne e in ruoli fondamentali. Una su tutte Maria di Nazareth, la madre del Cristo attraverso il cui sìall’angelo Gabriele la salvezza ha avuto inizio, è lei la regina della Chiesa in quanto eccelle su tutte le creature, in santità: «In lei s’aduna quantunque in creatura è di bontade» (Divina Commedia). Da considerare anche Maria Maddalena, la cui fama di prostituta è completamente falsa e leggendaria. I Vangeli la presentano come una donna ricca ed indipendente, probabilmente vedova, e mentre gli uomini scappano o si nascondono lei assiste alla crocifissione. E’ a lei che appare per prima su tutti Cristo risorto ed è lei ad essere mandata ad annunciare la buona novella ai discepoli. Una figura centrale.
Allora cosa dire delle lettere di San Paolo? Un indomito misogino secondo alcuni lettori della Prima lettera a Timoteo, in cui l’apostolo scrive che «la donna impari in silenzio, in piena sottomissione». Come abbiamo già spiegato in passato, gli studiosi non ritengono il passo autentico ma un’introduzione successiva da parte di un anonimo della scuola paolina. E vi sono generali dubbi sulla paternità di Paolo dell’intera lettera, anche se ciò non inficia in alcun modo la validità salvifica del suo messaggio.
Rispetto all’altro brano spesse volte finito sotto agli artigli delle femministe, la Lettera agli Efesini, sono le teologhe francofone a rispondere a chi si limita a considerare questo passo: «Donne, siate sottomesse ai vostri mariti!». Paolo sta comunicando ai cristiani che devono far fronte all’ostilità popolare nella città greca di Efeso, dove la legge dell’Impero romano assoggetta le donne agli uomini. Innanzitutto, scrivono, «la traduzione più precisa è “subordinata” e non sottomessa», inoltre il versetto precedente invita le coppie a rendere grazie a Dio «subordinandovi gli uni agli altri nel rispetto di Cristo». Si tratta di reciprocità. In secondo luogo si legge anche che «come la chiesa è subordinata a Cristo, così anche le mogli devono essere subordinate ai loro mariti in ogni cosa». Le mogli sono quindi paragonate alla Chiesa e questo dimostra che nelle intenzioni di Paolo in alcun modo poteva esserci un’idea dispregiativa della “subordinazione”. «Quel versetto non giustifica certo una sottomissione», annotano le autrici. Terzo appunto: la reciprocità si svela anche nel compito dato ai mariti: «Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama se stesso».
A tutto questo andrebbe ovviamente premessa la richiesta di contestualizzare storicamente e culturalmente gli scritti biblici e neotestamentari, in un ambiente in cui la considerazione della donna era molto scarsa. Come abbiamo dimostrato nel nostro apposito dossier, è stato proprio grazie all’avvento cristiano che si è iniziato a riconsiderare il valore femminile, «è la tradizione cristiana ad aver gettato il seme dell’emancipazione femminile in Occidente», ha scritto la femminista e storica Lucetta Scaraffia. «Occorre vedere i testi biblici come una risorsa nella lotta per la liberazione dall’oppressione patriarcale», le ha fatto eco la femminista Elisabeth Schùssler Fiorenza (citata in C.M. Martini, Guida alla lettura della Bibbia p. 57).
Qui l’articolo pubblicato dal sito “Unione Cristiani Cattolici Razionali”