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Ti senti “piegato” dal peso della vita? il Vangelo di oggi è per te!

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don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 29/10/18

Quando sovraccaricati da quello che abbiamo vissuto o fatto, siamo ricurvi a guardare solo i nostri piedi, perdiamo completamente la prospettiva dell’orizzonte

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.

Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».

Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute. (Lc 13,10-17)

Il Vangelo di oggi ci catapulta nella sinagoga. È sabato e come tutti noi sappiamo, le regole impongono di non fare assolutamente nulla. Ma un medico davanti alla ferita aperta e sanguinante di un uomo lo rimanderebbe al giorno dopo? Ignorerebbe la sua sofferenza e il pericolo che corre? Tranne i rari casi di malasanità penso che nessun medico considererebbe possibile rimandare al giorno dopo un uomo in pericolo di vita. Ed è così che Gesù si comporta suscitando le rimostranze e le critiche di tutti gli altri: “Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato”. Ma a Gesù poco importa di una simile miopia umana: “Egli stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio”. Il miracolo raccontato è un capolavoro di significati. È come se Gesù prendendo a cuore la sofferenza di questa donna, desse a ciascuno di noi anche un’immagine chiara di cosa ci accade delle volte nella vita quando sovraccaricati da quello che abbiamo vissuto o fatto, siamo ricurvi a guardare solo i nostri piedi, perdendo completamente la prospettiva dell’orizzonte. Si può vivere lungamente ripiegati solo su un problema, o un lavoro, o un rapporto. Diventa così un inferno, perché l’inferno è non avere più un orizzonte dentro cui ricollocare quello che facciamo e quello che siamo. Potremmo quasi dire che la fatica del viaggio la si sopporta solo a patto di avere davanti una meta, un orizzonte verso cui andare. Quando questo ci viene tolto allora tutto si ferma, tutto diventa monotono, grigio, inutile vuoto. Gesù raddrizzando quella donna non le dà solo una guarigione fisica, ma è come se le restituisse un orizzonte, una prospettiva. È da lì che nasce la nostra vera gratitudine nei confronti di Dio, perché Lui è la possibilità di questo orizzonte. (Lc 13,10-17)

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