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Lo tsunami di solidarietà per il piccolo Alessandro Maria

NAPLES QUEING

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Annalisa Teggi - pubblicato il 29/10/18

Code di centinaia di persone a Milano, Napoli e altre piazze italiane per aiutare il bambino di un anno e mezzo che rischia la vita e può essere salvato con un trapianto di midollo

Lo hanno definito uno tsunami di solidarietà, quello che ha invaso le piazze di Milano, Napoli e altri centri in tutta Italia. Centinaia e centinaia di persone in coda per aiutare un bambino di un anno e mezzo la cui vita ha i giorni contanti, ma forse no.

Lo 0,002 per cento

Si chiama Alessandro Maria Montresor, vive in Inghilterra ma è di famiglia italiana, è nato prematuro alla 30 settimana; ha lottato come un leone e un’altra battaglia gli sta chiedendo tutte le risorse che ha.


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E’ forte lo stridore tra il suo cognome, che se letto in francese significa “mio tesoro“, e il destino scritto nel corpo: è affetto da linfoistiocitosi emofagocitica – nome quasi impronunciabile e perciò comunemente conosciuta in medicina come HLH – malattia genetica rarissima che colpisce solo lo 0.002 per cento dei bambini e non lascia speranze di vita a meno che l’ammalato non subisca un trapianto di midollo osseo. Lui è figlio unico e la sua famiglia ha cercato, invano, un donatore di midollo nella banca dati mondiale.

Il 50 per cento dei bambini colpiti da questa malattia muore entro il primo mese dalla manifestazione dei sintomi e un terzo degli altri presenta problemi spesso permanenti al sistema neurologico-celebrale – spiegano i genitori Paolo e Cristiana sulla pagina Facebook dedicata ad Alessandro Maria, seguita da oltre 3700 persone – In ospedale stanno somministrando a nostro figlio un farmaco sperimentale. È il primo bambino in tutta l’Inghilterra a riceverlo e non sappiamo quanto dureranno gli effetti. Secondo i medici, molto probabilmente ci restano solo cinque settimane per poter trovare una persona che abbia il midollo compatibile. Il termine quindi è il 30 novembre. (da Corriere)

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Una percentuale così infinitesimale, risibile apparentemente, sembrerebbe quasi un niente; siamo convinti che solo i grandi numeri spostino l’asse delle questioni importanti. Ognuno di noi, anche se non malato, è uno 0,002: siamo una presenza microscopica da parere ininfluente. La malattia di Alex incide pochissimo sulla realtà, ma ha colpito lui. A questa percentuale piccolissima, si è contrapposta una marea umana, non appena il papà del piccolo ha diffuso un appello su Facebook.

Il suo tesoro è parso a tantissimi sconosciuti una vita preziosa.

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Con pazienza

All’appello del padre è seguito un tam tam mediatico che ha coinvolto anche personaggi famosi, insomma tanti altoparlanti hanno preso a cuore questo 0,002 per cento. L’effetto si è trasformato in una catena di solidarietà da Nord a Sud.

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Per il il 24 e il 25 ottobre era prevista in piazza Sraffa a Milano una campagna di sensibilizzazione organizzata da Admo (associazione donatori midollo osseo) dal titolo #seipropriotu: l’evento è stato letteralmente invaso da persone desiderose di aiutare Alessandro Maria.




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Hanno fatto una lunga fila per procedere al prelievo di un campione di sangue per effettuare la cosiddetta “tipizzazione tissutale” ed essere inseriti nel registro dei possibili donatori.

Hanno atteso con pazienza: prima bisognava compilare un modulo di cinque pagine con domande dettagliate sulla persona e poi attendere di essere chiamati per il colloquio e il prelievo di un campioncino di sangue. In coda c’erano soprattutto studenti delle università Bocconi, Statale, Cattolica e Bicocca, ma anche lavoratori che hanno chiesto un giorno di permesso. (da Corriere)

I quotidiani nazionali hanno documentato file altrettanto lunghe a Napoli in piazza del Plebiscito, anche a Verona e in molti centri italiani. Nella serata di giovedì è giunta una flebile speranza:

[…] il Centro nazionale trapianti, Centro nazionale sangue e il Registro italiano dei donatori di midollo osseo hanno reso noto che, anche se la ricerca nel registro italiano donatori di midollo osseo ha avuto esito negativo, «è stata individuata una sacca di cellule staminali emopoietiche da cordone ombelicale che potrebbe essere adatta al trapianto ed è stata subito messa a disposizione dell’equipe inglese che sta seguendo il caso di Alex». (da Messaggero)

In attesa per?

Siamo ben strani, noi. Se penso a code e file, mi vengono in mente il semaforo e le casse del supermercato. Allo scattare del verde il primo della fila deve avere un tempo di reazione davvero infinitesimale per non beccarsi uno strepito di clacson maleducati a sollecitarlo. Muoviti, devo andare non posso stare qui. Muniti di carrello e spesa non siamo meno intolleranti: non appena si sente il messaggio “Apre cassa 5” un’orda di primatisti mondiali scatta per accaparrarsi il posto senza coda. Passare davanti, che goduria.

La Posta, gli aeroporti, gli ospedali; altri luoghi di estenuanti attese.

Per entrare ai concerti siamo disposti a tollerare le code, ma che spintoni. All’ingresso di un museo possiamo concederci di aspettare a lungo, ma guardando le corsie preferenziali ci diamo degli sciocchi per non aver provveduto a essere anche noi tra quelli che entrano senza aspettare.

GENTE, CODA
Shutterstock

Dove s’incontrano code pazienti, di questi tempi? Credo fuori dalle discoteche famose e anche fuori dalle librerie dove i VIP firmano autografi sul loro ultimo libro o CD. Questo la dice lunga su cosa siamo disposti ad attendere, senza sbuffare.


GRAVIDANZA, DOTTORE, MAMMA

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Non mi scandalizza, semmai ci faccio un sorriso e penso a quanto sono brava anche io a travisare il valore; anche io aspetto con pazienza per cose da niente e poi faccio sorpassi spericolati per risparmiare una manciata di secondi di attesa agli incroci. Eppure, come il soldato nell’accampamento, siamo capaci di metterci sull’attenti se suona la tromba dell’adunata. Lo credo davvero.

Può essere sepolto sotto chili di pigrizia, ma il richiamo della gratuità ci attira e attirerà sempre: è un modo di dire comune, ma vero, constatare che fare un dono ci rende più felici che riceverlo. Chissà perché. Forse perché siamo fatti a immagine di Dio. C’è in noi il DNA dei pastori che presero su le loro cose e si misero in attesa pazienti per vedere e adorare un piccolo bimbo in una capanna.

Aspettare non è un verbo facile da far digerire all’umano. Attendere racconta qualcosa di diverso? Forse che la meta è degna di tempo.

In effetti, Alex ci ha permesso di anticipare un po’ le meditazioni sull’Avvento; file lunghissime di pastori moderni hanno atteso di portare il proprio dono a una famiglia che abita la notte della malattia. Io avrei tanto voluto essere una mosca e ascoltare le chiacchiere che tutta questa gente ha fatto nella lunga attesa per il prelievo di sangue: chiacchiere banali, condivisioni semplici, magari racconto di sofferenze personali. Voglio immaginare che il riverbero di quello 0,002 per cento di crudele destino sia diventato un centuplo umano di piccoli guadagni reciproci, illuminati dal guizzo di un dono gratuito.

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