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Sto amando troppo o facendo più di quanto mi spetta?

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 26/10/18

Se amo in Dio, questa esagerazione ha senso e il mio amore non è mai eccessivo

Desidero che l’allegria sia la caratteristica della mia anima. Come una costante nascosta dietro giorni non troppo felici.

Come quella pace che scende dall’alto coprendomi con la sua ombra e sostenendomi quando mi manca la terra sotto i piedi.

Non voglio che la tristezza annuvoli il mio cammino, e ripeto nell’anima: “Il Signore è stato grande con noi, e siamo felici”.

Sono felice perché Dio mi ha fatto vedere nella vita quanto mi ama, ma a volte dimentico il peso della sua voce e la solidità delle sue parole. Come se tutto ciò che ho vissuto non valesse nulla. Come se all’improvviso Dio avesse smesso di guardarmi.

Mi unisco alle parole del profeta: “Gridate di gioia Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: Il Signore ha salvato il suo popolo, un resto di Israele”.

Il Signore è stato grande con me e sono felice. Guardo la mia storia e ringrazio per il potere della sua mano. Per la sua presenza misteriosa in mezzo alle mie debolezze e alle mie cadute. Il Signore è sempre lì a sostenere i miei passi.




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Guardo la mia vita e penso a tante gioie che Dio mi ha donato. Credo che la gioia che ho vissuto mi abbia riempito il cuore. “Per questo san Tommaso diceva che si usa la parola “gioia” per riferirsi alla dilatazione dell’ampiezza del cuore” [1].

L’amarezza cresce forse nell’anima per la tristezza vissuta. L’amarezza avvolge lo sguardo e mi rende meschino. Per questo devo curare le fonti della mia gioia.

Ma dove risiede la mia gioia? Dove sono le fonti a cui devo attingere per essere allegro?

Giorni fa un sacerdote di 88 anni mi diceva: “Di me stesso posso dire solo che sono stato un sacerdote felice, e che la felicità nella mia vita non è derivata dal fatto di fare la mia santa volontà, ma dallo scoprire la volontà di Dio e aderirvi”.

È il salto di fede che mi costa tanto fare. E a volte penso che la mia gioia risieda nel seguire i miei desideri, nel fare solo ciò che voglio e rifiutare di seguire altre vie prescritte da chi mi circonda. Sbaglio.

Penso alle fonti della gioia a cui attingo. Quali sono? L’amore umano è una fonte di gioia? È vero che l’amore, il legame, è così fragile… Posso ferire amando. Posso amare male e non suscitare né vivere la gioia.

Guardo il mio cuore malato quando ama creando dipendenze. L’amore è la fonte della mia gioia. Lo so. Ma se non me ne prendo cura può essere fonte di amarezze, di ferite, di rancori.

Diceva San Francesco di Sales: “Che gioia amare senza timore di esagerazione! Ma quando si ama in Dio non c’è nulla da temere” [2].

Si può amare in modo esagerato? Posso amare troppo una persona? Se amo in Dio, quell’esagerazione ha senso e il mio amore non è mai eccessivo.

Se amo bene trovo la pace e l’anima si rallegra. L’amore la riempie. Rischio vivendo la gioia dell’amore, della dedizione e della comprensione, della misericordia. Un cuore che ama è più felice di uno che non ama.

Anche se amare fa male. Quanta amarezza mi capita spesso di constatare! Cuori feriti che non sono capaci di amare in libertà. Sono feriti. Sentono di non essere amati né accettati. Hanno tastato con mano il rifiuto e sprigionano disprezzo. Mi ferisce.

Chi sa di essere amato ha l’anima in pace. Dio mi ama con legami umani. Mi lascia vedere il suo volto nell’amore imperfetto di chi mi ama. E attira a Lui, attingendo a quei legami umani.

Dio usa anche me. Fa lo stesso con il mio amore goffo, quando voglio amare in modo esagerato e non lo faccio bene come vorrei. In quel momento Dio usa le mie corde rotte per legare chi amo al suo cuore. Per far sì che possa arrivare a Lui.


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Sì. Sono felice amando. Voglio essere felice sempre, non solo quando sperimento l’approvazione del mondo.

Voglio esserlo nella mia barca in mezzo alla tormenta sul punto di capovolgersi. In mezzo alle mie tempeste esteriori e interiori.

Voglio avere pace in mezzo alla vita ferita. In mezzo agli eventi che turbano la mia anima idealista.

Mi confronto con la realtà della vita umana in cui si nasconde Dio. E da lì vuole che guardi più in alto, che guardi le stelle.

Voglio avere un’allegria che si sovrapponga a tutte le disillusioni. Che attinga alle fonti da cui sgorga un’acqua che placa le mie paure e le mie ansie.

Perché non so molto bene che direzione seguirà la barca della mia vita. Non temo nulla. Il cammino incerto a volte mi sconcerta, turba la mia anima. Non voglio perdere l’allegria.

Come diceva Santa Teresa d’Avila nel Cammino di perfezione, “anche se mi stancassi, anche se non ci riuscissi, anche se scoppiassi, anche se morissi”.

È l’atteggiamento del cuore che desidera seguire Gesù là dove va. Un cuore che lotta e non si scoraggia mai. Non voglio perdere la gioia in questa sequela fedele. Lo faccio passo dopo passo.

[1] Papa Francisco, Esortazione Amoris Laetitia
[2] J. Kentenich, Un paso audaz: El tercer hito de la familia de Schoenstatt, Rafael Fernández

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