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E ci sentiamo così piccoli, ma non siamo soli, in mezzo alle tempeste

FULMINI; RAGAZZA; SPIAGGA

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Il peso specifico delle parole - pubblicato il 25/10/18

Le nostre certezze crollano di fronte alla tragicità dell’esistenza, ma è proprio quando il fulmine colpisce che una luce nuova entra prepotente a chiedere: chi sei davvero?

Spesso scrivere mi viene automatico, d’istinto. Questa volta ho lasciato che qualcosa maturasse dentro di me prima di gettarlo su un foglio bianco. Mi sono posta le domande che il teatro e l’arte ci fanno silenziosamente, e solo se si è molto attenti si possono percepire, come tutte le cose importanti in questa vita.

Tragico cioè potente

Perché dobbiamo guardare qualcosa dal di fuori per poterlo identificare come reale? Perché osservare uno spettacolo o un’opera? Ora, visto che sento il teatro maggiormente nelle mie corde rispetto all’arte, farò riferimento al palcoscenico del teatro della nostra vita.

“Lo spettatore della tragedia greca veniva e conosceva qualcosa di più sulla natura della vita, perché veniva contagiato dall’interno, investito da una contemplazione – cioè da una conoscenza – che già esisteva prima di lui, che saliva dall’orchestra e suscitava la sua contemplazione, si confondeva con essa.” 

Cito dall’introduzione del libro La Nascita della Tragedia di Nietzsche, a cui farò riferimento nella citazione successiva. Il significato di “tragedia” non è facile da definire. Di primo acchito si potrebbe pensare che “quando la storia finisce male si tratta di una tragedia”, ma come in tutti gli usi impropri degli aggettivi “male” e “bene” c’è molto altro dietro e non possiamo cavarcela facilmente con questa definizione.


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La tragedia è quando qualcosa di sconvolgente, profondo, distruttivo e vivificante avviene. Innanzitutto accade qualcosa. Ma non qualcosa come lo staccarsi di una foglia da un albero, ma qualcosa di più simile ad un fulmine che si scaglia sulla terra, alle onde indomabili dell’oceano, all’abbattersi della grandine sul tetto, allo scorrere dell’acqua di una cascata. Qualcosa di potente, di grande. Come si fa a dire se una tempesta sia bella o brutta? Si può davvero definire ciò che sia bello o brutto? Esiste qualcosa che sia totalmente bello o totalmente brutto? Questa è la tragedia: l’indefinibile accadere di qualcosa di potentemente sconvolgente e potenzialmente bello o brutto.

VANGELO, NIETZSCHE, TRAGEDIA

Siamo un dramma, non siamo soli

Allora ho pensato alla nostra minuscola vita di esseri umani all’interno di una galassia infinita. La tragedia della vita ci sorvola, ci atterra, ci sfinisce, ci sorprende, ci incuriosisce, ci avvilisce, ci pone delle domande. Spesso per non sentire il tragico dentro la nostra vita ci nascondiamo, ovattati dalle chiacchiere di un mondo artificiale dove regnano solo il nostro ego e i nostri bisogni. Quando restiamo chiusi in noi, è allora che dentro di noi lo scompiglio e la confusione diventano sovrani. Quando ci apriamo all’esterno riconosciamo dentro di noi alcuni elementi: le nostre paure, i nostri desideri, le domande e i dubbi. Ecco perché abbiamo bisogno di guardare fuori“vedere se stessi trasformati davanti a sé e agire poi come se si fosse davvero entrati in un altro corpo, in un altro carattere. Questo processo sta all’inizio dello sviluppo del dramma”.

Non possiamo proprio stare da soli. Abbiamo bisogno che qualcosa ci stimoli, che qualcuno ci faccia visita, che qualunque cosa ci si palesi di fronte per far luce dentro di noi. E questo ci interroga come esseri umani, perché se è vero che gli altri ci fanno da specchio, che un quadro può stimolarci, che uno spettacolo può interrogarci, è altrettanto vero che ognuno di noi è responsabile per il proprio “altro” che, se la vogliamo dire in termini evangelici, è il nostro prossimopiùprossimo. In quest’ottica la vita di tutti diventa fondamentale. Nelle opere teatrali non c’è bianco o nero. Buono o cattivo. Bravo o scapestrato. Tutto può trasformarsi, un eroe può diventare un vile, o viceversa. Ci sembra così bello da osservare perché nella nostra vita e nella realtà non riusciamo ad essere così clementi. Non riusciamo a pensare che possiamo darci un’altra possibilità, che l’altro può migliorare, perché tutto per noi è bianco o nero. Bello o brutto.




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Se ritorniamo però all’immagine del fulmine o della tempesta, il nostro programmino secondo cui tutto è bianco o nero crolla. Crolla di fronte alla tragicità dell’esistenza. Di fronte allo scompiglio che provoca nel nostro cuore un fatto, un evento, una persona, un sentimento. Nulla è da scartare. Il nostro prossimopiùprossimo potrebbe essere brutto, bello, stupido, fanfarone, vigliacco, ma vorrà dire che paleserà quel determinato aspetto che è celato dentro di noi. E poi, davvero pensiamo che ciascuno di noi ha attaccato un’etichetta che lo definisce in maniera definitiva? Oppure, è chiaro e palese a tutti che possiamo passare dal bello al brutto con estrema facilità e che nel mezzo ci sono molte più di sole due sfumature di colore?

Gesù smentì i farisei

Pertanto non solo la tragedia greca, ma anche il Vangelo viene in nostro aiuto. Gesù lo sapeva bene che il cuore dei farisei non era più vero di quello di un pubblicano o di una prostituta. E sapeva bene che la testimonianza della propria vita fa venir voglia agli altri di vivere sul serio, li stimola e li può cambiare.


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Come quando guardiamo un film che ci ispira ad essere migliori, ad indagare un aspetto della vita, oppure un discorso di un amico o di un padre che ci indirizzano a cambiare rotta. I santi stessi non erano proprio bravissimi sin dalla nascita, non erano “un pacchetto bravura e santità” di default e non erano persone sempre “bianche”. Persone che vivono il bianco e il nero della vita con la stessa intensità e con la stessa luce che naturalmente irradia tutti e tutto ciò che li circonda, ecco i santi. Allora sì che per loro non era importante tanto se la realtà fosse bianca o nera, ma piuttosto come viveno all’interno delle sfumature della loro vita.

WOMAN,STANDING IN THE DARK
Dmytro Khlystun | Shutterstock

Ci fa paura però, perché ammettere che niente è bianco o nero abbatte con forza le mura di sicurezza entro le quali viviamo. Ammettere l’esistenza di più sfumature significa ammettere di avere delle responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Ma è così che si scopre ciò che abbiamo dentro il nostro cuore. I Greci l’avevano capito bene, andare a teatro era un processo di catarsi, non un semplice svago. Era un momento per affrontare ciò che non sempre nella vita di tutti i giorni troviamo facile tirare fuori. E anche se fa male scavare dentro perché si ha paura del vuoto che si può trovare, non è vero che ciò che rimane nel fondo è il nulla assoluto. Scavando non rimane il nulla, ma forse la parte più vera di noi. Vivere la tragicità della vita significa vivere il reale e non nascondersi nella finzione.

Ciò che è bello o brutto attende solo di essere svelato e vissuto.

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