Il carcere, la deportazione, poi la vita di strada nel barrio a Bogotà. Ma ecco nella vita di Jack la violenza lascia il posto all’abbraccio di Dio che da tanto aspettava di poter cambiare il suo cuoredi Matteo Invernizzi (parroco di Nuestra Señora de las Aguas a Bogotá, Colombia)
«Hey bro, how do you do?». È strano sentirsi salutare così nel centro di Bogotá, con il tipico slang degli Stati Uniti. Però Jack (nome di fantasia) è un tipo strano, come la sua storia. Nato quaranta anni fa negli USA da genitori colombiani, cerca di inserirsi nel nuovo mondo lottando per cogliere la sua opportunità. Una lotta dura, dove sopravvive il più forte e non c’è spazio per i deboli. E lui debole non è. Peccato che in tanta violenza finisca per perdere il controllo: arriva prima il carcere, poi la deportazione, rispedito in Colombia con un biglietto di sola andata. Il problema di Jack è che lui, la Colombia, non l’ha mai vista. Anche il suo spagnolo è stentato. Oltre all’inglese, dagli States si è portato un odio viscerale, profondo, per tutti i gringos (espressione tipicamente latina per definire i nordamericani).
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Come tanti disperati, finisce per essere attirato dal buco nero del centro di Bogotá: il barrio Santa Fè, e specialmente il settore soprannominato il Bronx, una zona franca del crimine che fino all’anno scorso garantiva impunità per quanti vi si rifugiavano (l’attuale sindaco ha spianato con i bulldozer l’area, anche se il problema si è semplicemente trasferito ai settori confinanti). Per raccogliere qualcosa, specialmente la domenica, Jack gira di chiesa in chiesa e chiede qualche soldo o cibo, in cambio di lavoretti.
Un giorno ero sul muretto della piazza, aspettando l’inizio della messa e lo vedo arrivare. Lui mi vede, pensa che io sia americano e inizia ad insultarmi in inglese, dicendomi di tornare a casa mia. Fortunatamente riesco a dirgli, in spagnolo, che sono italiano e che se mi parla in inglese non lo capisco. È la frase magica: si spegne di colpo, gli occhi si rasserenano e mi racconta la sua storia, chiedendomi qualche soldo per un letto dove dormire.
La storia si ripete per alcune domeniche. Vengo a sapere qualcosa di più, soprattutto mi racconta la sua frustrazione per il fatto di non poter lavorare perché è senza documenti. Propongo di aiutarlo ma lui rifiuta di passare per i servizi sociali, non accetta di essere trattato come un barbone e che questo appaia nel suo curriculum.
Una domenica mi vengono a chiamare d’urgenza, qualcuno sta creando problemi durante la messa delle undici. Mi basta entrare in chiesa per capire cosa sta succedendo: la messa è in inglese, celebrata da padre John per gli stranieri residenti in città. Quando Jack è venuto a cercarmi, si è trovato in mezzo agli americani e la sua rabbia è esplosa. Con l’aiuto di un ragazzo colombiano riusciamo a calmarlo e a farlo uscire. È affranto, scosso dalle lacrime. Non riesce a controllarsi.
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Con molta pazienza, cerchiamo di convincerlo a trovare un posto più tranquillo di questa città, a chiedere i documenti, soprattutto a riconciliarsi con Dio, accettando che il cammino tortuoso della sua vita sia accompagnato dalla misericordia del Padre che non ha mai smesso di attenderlo nella sua casa. Gli regalo un biglietto con i soldi per il viaggio e per i documenti, gli do la benedizione e lo saluto.
Nelle settimane seguenti mi aspetto di vederlo arrivare, ma non è così: Jack è scomparso dalla circolazione, tanto che mi preoccupo che gli sia successo qualcosa. Passano cinque mesi e una mattina, mentre esco dalla chiesa, me lo vedo arrivare tutto sorridente: pulito, con un vestito dignitoso e gli occhi brillanti. Mi abbraccia e mi racconta la sua storia.
Dopo il nostro ultimo incontro, aveva deciso di andarsene. Così ha cambiato città, cercando alcuni parenti che potevano aiutarlo, ma questi lo avevano cacciato. Dopo aver dormito per strada, aveva supplicato Dio di aiutarlo. In un grande parco naturale nel sud del Paese, cercavano guide turistiche e lo avevano assunto. Lì, per la prima volta, si era accorto che non tutti i gringos sono cattivi. Aveva ricevuto anche un certificato provvisorio di identità ed era tornato a Bogotá per raccogliere gli ultimi documenti e iniziare ufficialmente la sua attività.
“Vedi, padre” mi ha detto “non sono venuto solo a ringraziarti. Ho pensato che tu incontri tante persone, che ti affidano i loro problemi e poi se ne vanno. Però anche tu avrai i tuoi problemi, le tue fatiche. Così volevo che sapessi che Dio mi ha fatto un grande regalo: sono tornato a pregare, l’ho ritrovato e ti ringrazio per aver creduto in me e nella possibilità di un nuovo inizio. Domani riparto, però ci tenevo che sapessi che non ti ho dimenticato”.
Qui sono 45 giorni che piove e non si vede il sole. Molte volte mi lamento e chiedo a Dio che torni a splendere un poco. Poi però il sole brilla in una persona che incontri e allora scalda e illumina più che un giorno d’estate.