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Perché i giovani abbandonano la Chiesa e cosa possiamo fare al riguardo

Young people standing against each other

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Young people standing against each other

Catholic Link - pubblicato il 11/10/18

di Isaac Withers

All’inizio di quest’anno, Isaac Withers era una delle 300.000 persone che hanno assistito al pre-sinodo vaticano sui giovani, parlando con Papa Francesco delle questioni che affrontano la sua generazione e quella più giovane. Ispirato da questo incredibile viaggio, ha scritto una serie di articoli sottolineando queste sfide e condividendo come possiamo, come Chiesa, sostenere e “nutrire” questa giovane generazione. Ecco uno dei suoi contributi.

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Perché i giovani abbandonano la Chiesa e cosa possiamo fare al riguardo

“La definizione di pazzia è fare continuamente la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi”. Questa frase è stata attribuita a Albert Einstein, Benjamin Franklin e Mark Twain, ma risulta che non è affatto la definizione di follia (in base ad aule di tribunali o dizionari), e probabilmente non è mai stata pronunciata da nessuno di questi stimati gentiluomini. Semplicemente, fluttua in Internet ispirando la gente che consulta Facebook. Ad ogni modo, è un elemento interessante per iniziare a parlare di quanti giovani abbandonano la Chiesa cattolica. Quest’anno ho sentito un’amica usarla nel contesto di una storia che ha raccontato sulla preparazione alla Cresima in una delle classi che seguiva:

“Allora una ragazza ha detto forse la cosa più onesta che aveva pronunciato in tutto l’anno: ‘Sapete, non sono nemmeno sicura di credere in Dio’. Mi ha colpito come tuffarmi nell’acqua ghiacciata – mi ha tolto il fiato. Ho apprezzato il fatto che quella ragazza avesse finalmente detto con onestà cosa pensasse, ma sono rimasta colpita rendendomi conto che avevamo profuso tanto tempo e tanti sforzi in un corso, settimana dopo settimana, solo per produrre… questo: un’adolescente che non era sicura di credere all’esistenza di Dio nonostante avesse un vestito bellissimo pronto per la cerimonia della Cresima della settimana successiva” (A Handbook for Catechists, Hannah Vaughan Spruce)

È un buon aneddoto per illustrare il punto in cui ci troviamo. Come stiamo formando i giovani nella Chiesa? Perché le cose che prima funzionavano sembrano non funzionare più? Tutte grandi domande, e le domande che immagino abbiano spinto a realizzare un Sinodo sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Ma cosa sta accadendo?

Qual è la portata del fenomeno?

Le statistiche più dettagliate relative ai cristiani che abbandonano la Chiesa sono probabilmente quelle del rapporto del 2015America’s Changing Religious Landscape, del Pew Research Center. “Il nuovo studio principale su più di 35.000 americani da parte del Pew Research Center ha verificato che la percentuale di adulti (18 anni e più) che si descrivono come cristiani è crollata di quasi otto punti in appena sette anni, passando dal 78,4% di un’altra ricerca Pew del 2007 al 70,6% del 2014. Nello stesso periodo, la percentuale di americani che si definisce senza affiliazione religiosa – descrivendosi come atei, agnostici o ‘niente in particolare’ – è schizzata di oltre sei punti, passando dal 16,1% al 22,8%”. Questo porta avanti un trend di cui si parla molto, il declino dei cristiani e l’aumento delle persone non affiliate alla religione. Il declino indicato dal rapporto è evidente soprattutto “tra i protestanti delle principali denominazioni e i cattolici”.

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Vi chiedete quale sia la generazione più priva di affiliazione? Probabilmente avete già indovinato: i giovani. “Se molti gruppi religiosi statunitensi stanon invecchiando, le persone senza affiliazione sono invece giovani – e stanno diventando in media sempre più giovani nel corso del tempo. Visto che un gruppo sempre più numeroso di millennials poco affiliati alla religione raggiunge l’età adulta, l’età media degli adulti senza affiliazione è scesa a 36 anni dai 38 del 2007, ed è ben più bassa dell’età media generale della popolazione adulta, che è di 46”. Il rapporto prosegue sottolineando che “attualmente negli Stati Uniti ci sono circa 56 milioni di adulti senza affiliazione religiosa, e secondo la nuova ricerca questo gruppo è più numeroso dei cattolici o dei protestanti delle principali denominazioni. I non affiliati sono oggi secondi solo ai protestanti evangelici, tra i gruppi religiosi principali degli Stati Uniti”.

Perché accade questo? E dove va la gente?

Questo cambiamento fa emergere tutte le domande difficili che ho posto all’inizio, e la risposta alla domanda “Cosa sta succedendo?” dev’essere il fatto che il mondo ha vissuto negli ultimi 50 anni un periodo di rapidi cambiamenti. Il sacerdote canadese padre James Mallon lo spiega così nel suo libro Divine Renovation:

“Anni Sessanta, rivoluzione sessuale, mass media, nuovi media, postmodernismo, materialismo, relativismo, individualismo, edonismo e ogni altro ‘ismo’ a cui riusciamo a pensare e all’improvviso le fratture emergeranno chiaramente. Centinaia di migliaia di cattolici fedeli e credenti che portano il peso tremendo di figli e nipoti che hanno abbandonato ‘la fede’. Questi cattolici fedeli portano su di sé anche il peso supplementare di biasimarsi per questa situazione, non sapendo cosa sia andato storto: dopo tutto, hanno fatto per i loro figli quello che i genitori hanno fatto per loro. Puntare il dito è inutile. Il fatto è che le regole sono cambiate. Non abbiamo più le basi culturali che avevamo in passato, e la corrente sociale si è rivoltata contro di noi”.

L’ispirazione per questa serie di articoli è stata quella di voler offrire un quadro accurato di questo cambiamento in ogni direzione – tecnologia, sesso, rapporti, famiglia, verità, fiducia… – e di come abbia influito sui giovani. Si tratta di un cambiamento culturale di ampia portata, e gli adolescenti che vanno in chiesa la domenica tornano poi a tutto questo per il resto della settimana. Sull’onda di tutto ciò, la Chiesa è diventata chiaramente meno efficace nell’evangelizzare anche tra le sue stesse mura, con le generazioni più giovani che trovano sempre più irrilevante la religione della propria infanzia. In primo luogo dobbiamo quindi vedere cosa stiamo già facendo per “ricalibrare”, per portare lo stesso Vangelo e lo stesso Salvatore in un nuovo panorama sociale.

Educazione, educazione e ancora educazione

Cosa ricevete oggi voi giovani cattolici in termini di formazione nella fede? Sherry Weddel ripercorre la storia di tutto questo in modo assai adeguato nel suo libro Forming Intentional Disciples.

“Dalla fine del XVI-inizio del XVII secolo, la strategia cattolica di mantenimento è stata (a) catechesi infantile e (b) iniziazione sacramentale. Quattrocento anni fa, la Confraternita della Dottrina Cristiana (CCD) e il sistema scolastico cattolico sono stati una risposta all’avanguardia alla crisi della Riforma protestante. Decidere di offrire a ogni bambino cattolico un solido background catechetico è stata un’idea straordinaria mai proposta in precedenza. Questo sforzo è stato profondamente influenzato dall’ottimismo rinascimentale relativo al potere dell’istruzione. L’idea era che un’identità religiosa accuratamente promossa acquisita nell’infanzia sarebbe durata per tutta la vita. Il motto gesuita diceva tutto: ‘Datemi un bambino fino ai sette anni e vi darò l’uomo’”.

Non so voi, ma la maggior parte dei problemi che ho avuto nella vita è emersa dopo i 7 anni. La Weddel afferma chiaramente che “le prove suggeriscono che ciò che ha funzionato nel XVII secolo non funziona nel XXI. I ricercatori dell’istituto Pew hanno verificato che partecipare a CDC, gruppi giovanili e scuole cattoliche faceva ben poca differenza nel fatto che un adolescente cattolico americano finisse per rimanere cattolico”. È chiaro che l’educazione relativa alla fede da bambino e i sacramenti come rito di passaggio all’adolescenza non sono sufficienti – dopo tutto, è dopo il momento adolescenziale della Cresima che appaiono le vere minacce, ed è lì che la fede deve diventare personale.

Dove vanno le persone che abbandonano la Chiesa, e perché?

Per rispondere a questa domanda, la Weddell propone ancora una volta degli spunti davvero acuti. Discutendo il rapporto Pew del 2008 U.S. Religious Landscape Survey: Religious Beliefs and Practices, delinea il comportamento di chi abbandona la Chiesa proponendo alcuni risultati interessanti:

“Ci sono due strade fondamentali intraprese dalla grande maggioranza delle persone. Il 15% che alla fine diventa protestante (A) – che include il 9% che si unisce alle comunità evangeliche – ha una motivazione diversa dall’85% che diventa ‘non affiliato’ (B). I cattolici che diventano protestanti affermano che il loro motivo principale è stata la mancata soddisfazione delle loro necessità spirituali. È interessante notare che anche chi è protestante da sempre e si unisce a un tipo diverso di fede protestante e coloro che sono stati allevati senza una fede ma ne hanno scelta una da adulti hanno detto ai ricercatori Pew che questa è stata la ragione principale per il cambio di religione. Tutti e tre i gruppi condividono quindi una motivazione di base simile per il proprio percorso spirituale: ‘Le mie necessità spirituali non venivano soddisfatte’”.

Non è una frase affascinante? ‘Le mie necessità spirituali non venivano soddisfatte’. Mi piace leggerla perché mi sembra piena di speranza. Perché? Perché la Chiesa è perfettamente capace di soddisfare le necessità spirituali! Ma chiaramente è una parte della fede che a molti cattolici manca.

Quando al percorso B, la via per diventare non affiliati ad alcuna religione, la ricerca Pew ha mostrato che la maggior parte della gente “si è allontanata gradualmente” e “ha smesso di credere negli insegnamenti religiosi”. Anche in questo caso è una situazione a cui la Chiesa può rispondere, perché c’è una graduale perdita di interesse per una Chiesa che non è riuscita ad tenerli stretti. Ci sono anche molte persone che lottano con gli insegnamenti cattolici, e la Weddel scrive che nella maggior parte dei casi si tratta di quelli relativi ad “aborto, omosessualità, controllo delle nascite, divorzio e nuovi matrimoni”.

Ecco allora due gruppi, uno che abbandona dopo aver trovato la Chiesa spiritualmente carente e uno che si allontana gradualmente per argomenti dolorosi. Nella nostra formazione ecclesiale dobbiamo sapere che gli argomenti principali sono questi, e se li affrontiamo di petto vedremo il cambiamento. Lo stesso rapporto ha affermato che i cattolici che hanno perso qualsiasi affiliazione sono per la maggior parte giovani.

Cosa vogliamo formare?

Avendo stabilito la portata del fenomeno e perché molti se ne vanno, ora possiamo parlare dell’ideale. Cosa vorremmo che diventassero le persone che formiamo? Qual è l’obiettivo? Com’è questa Chiesa ideale, fiorente e giovane? Ancora una volta, padre James Mallon ha una splendida sezione al riguardo. Inizia con quella che viene chiamata la Grande Commissione, le ultime parole di Gesù ai suoi discepoli nel Vangelo di Matteo, l’obiettivo che delinea chiaramente per la Sua Chiesa:

“E Gesù, avvicinatosi, disse loro: ‘Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo’” (Matteo 28, 18-20).

Padre Mallon fa poi un test interessante. Sopportate la lezione di grammatica, vi assicuro che sarà divertente. “Gesù ha dato alla sua Chiesa nascente quattro compiti: andare, fare, battezzare e insegnare. Di questi quattro imperativi, troviamo nel greco originario un “verbo finito” e tre participi. Un verbo finito è sempre il cardine di una frase, mentre i participi, anche se qualificano una frase, alla fin fine hanno senso solo in riferimento al verbo finito. È così con la Grande Commissione. Uno di questi verbi è il centro grammaticale della frase, e quindi anche il centro teologico. Ho chiesto a dei gruppi di scegliere quale dei quattro verbi sia il cardine della Grande Commissione, e quindi il fulcro del nostro obiettivo, il vero compito che ci dà l’identità. Ho interpellato gruppi di laici, sacerdoti e perfino vescovi… La risposta giusta è sempre scelta da pochi, e non solo da pochi, ma da una minoranza incredibilmente esigua”.

E allora, cosa pensate?

“Il verbo finito è ‘fare’ – letteralmente, ‘fare discepoli’”, dice padre James. “Questo compito è al cuore della Grande Commissione, ed è intorno al fatto di fare discepoli che ruotano tutti gli altri aspetti missionari della Chiesa: andare, battezzare e insegnare. Pensate a questo: negli ultimi secoli, la Chiesa cattolica si distingueva per il fatto di essere una grande Chiesa missionaria. Andavamo. Abbiamo una ricca tradizione didattica e siamo rinomati per le nostre scuole e università. Insegniamo. Sappiamo sicuramente come battezzare e celebrare tutti gli altri sacramenti, ma la nostra unica debolezza pastorale, il compito con cui lottiamo di più, è quello alla base dell’indicazione data da Cristo alla Chiesa: fare discepoli”.

Sono rimasto stupito. Non avevo mai letto il nostro obiettivo come Chiesa articolato in modo così chiaro. Il centro dell’energia della Chiesa e quello di cui ha bisogno è una vita di discepolato, che al momento non è la cultura che troviamo in molte delle nostre parrocchie. Dobbiamo quindi definire bene il termine “discepolo”. Padre James sottolinea anche questo.

“Nella cultura ecclesiale, usiamo spesso termini come ‘discepolo’ o ‘apostolo’ senza comprendere il significato di queste parole, ma ‘discepolo’ è così fondamentale per il mandato che abbiamo ricevuto da Gesù che dovremmo conoscerne bene il significato. Il termine greco per ‘discepolo’ è ‘colui che apprende’. Essere discepoli di Gesù Cristo vuol dire impegnarsi in un processo di apprendimento da e su Gesù, il Maestro, che dura tutta la vita. Il termine ‘discepolo’ deriva dal latino ‘discipulus’, e offre la connotazione per la quale il processo di apprendimento non è casuale, ma intenzionale e disciplinato. Diventare un discepolo è impegnarsi in un processo di crescita di questo tipo”.

Penso che sia alla base della questione anche per tutti coloro che se ne vanno perché le loro necessità spirituali “non vengono soddisfatte”. Se la Chiesa cattolica sembrasse davvero un popolo unificato intorno al fatto di imparare intenzionalmente sempre di più su Gesù e di impegnarsi apertamente in questo processo che dura una vita, cambierebbe la nostra cultura e interpellerebbe le persone. Alla fin fine, è quello che vogliamo per i giovani nella nostra Chiesa – che diventino non solo cattolici credenti, ma discepoli.

Il problema del “Gesù alla Disney”

Come abbiamo stabilito, però, la Chiesa non sembra questo, e la confusione tra il nostro obiettivo principale, le nostre convinzioni e il fondatore è piuttosto profonda.

Quest’anno in Inghilterra e Galles la Catholic Youth Ministry Federation ha pubblicato un rapporto intitolato Complex Catholicism, un’indagine su 1.005 cattolici tra i 15 e i 25 anni, comprendendo quelli che si identificano cone cattolici e quelli che non lo fanno. È risultato che il 38% di coloro che si identificano come cattolici crede che Gesù fosse solo umano. È stata dura leggere un risultato di questo tipo, ma mostra chiaramente che siamo ben lontani dal formare i giovani in un apprendimento che dura tutta la vita sulla persona di Gesù, visto che molti non condividono nemmeno il motivo per cui vale la pena di ascoltarlo, la Sua divinità. Come ha affermato C.S. Lewis, “Dovete fare la vostra scelta: o quest’uomo era, ed è, il Figlio di Dio, oppure era un pazzo o qualcosa di peggio”. La Weddel presenta una statistica simile nel suo libro, riprendendo la ricerca Pew del 2008. “Solo il 48% dei cattolici era assolutamente certo che il Dio in cui credeva fosse un Dio con cui poteva avere un rapporto personale. Quanto della nostra fede può avere un senso per milioni di cattolici quando la base – il fatto di credere in un Dio personale che ci ama – è fuori discussione?”

Questa confusione sulla persona di Gesù e la natura del Dio cristiano potrebbe derivare dal fatto di non passare dalle idee sulla fede dell’infanzia ad altre adulte o teologiche man mano che si cresce. Brian Holdsworth, un popolare commentatore online cattolico, si esprime in questo modo nel suo video “Perché i giovani abbandonano la Chiesa”:

“Quando siamo piccoli, ci viene insegnata una versione di cristianesimo adatta alle storie prima di andare a letto… Dipingiamo questo ritratto di Dio e di Gesù che ha più in comune con la fatina dei denti o Babbo Natale che con l’incarnazione della verità, della bontà e della bellezza. E quando sento questi pensatori atei pop dire che adoriamo un vecchietto tra le nuvole mi viene ricordato che non stanno pensando al Dio di Tommaso d’Aquino o C.S. Lewis, ma denunciano una versione scolastica di Dio. Quando rendiamo il cristianesimo infantile per il bene dei bambini, rischiamo che finiscano per accantonarlo come tutte le altre cose dell’infanzia che hanno scartato man mano che crescevano e diventavano più maturi”.

È stata questa la conclusione di Jonathan Morrow, direttore per il Cultural Engagement presso l’Impact 360 Institute e guida del progetto Gen Z del Barna Group. “Con le migliori intenzioni, mettiamo i nostri figli in una bolla d’aria e creiamo per loro ambienti disneyani nelle nostre chiese, e poi ci stupiamo del fatto che non abbiano capacità reattiva nella fede o nella vita. Gli studenti sono intrattenuti ma non preparati. Si sono divertiti molto, ma non sono pronti a guidare. Quando la pressione aumenta e si fa strada la tirannia della tolleranza, gli adolescenti cristiani tendono ad appassire se non hanno la fiducia che viene solo dal fatto di sapere perché credono in quello in cui credono”.

Una volta presentata questa chiara immagine di Gesù va fatta una scelta: voglio essere un discepolo? Voglio seguire? A un certo punto i giovani devono essere sfidati a rispondere a questa domanda, e culturalmente dovremmo incoraggiare un coinvolgimento profondamente personale per ogni individuo. Per altre Chiese è una norma.

“Un vecchio detto coglie bene la nostra situazione come cattolici: Dio non ha nipoti… Una delle convinzioni più profonde della cultura evangelica è che ogni persona, cresciuta all’interno di una tradizione cristiana o meno, deve prendere una decisione personale sul fatto di vivere o no come discepolo di Gesù Cristo. Non dovrebbe quindi sorprendere che il 49% degli adulti americani che è ora evangelico sia stato allevato fuori da questo ambiente, e il 18% al di fuori del protestantesimo in generale. Di contro, la pratica pastorale cattolica assume ancora che l’identità religiosa sia ampiamente ereditata e stabile nel corso della vita di una persona”.
Sherry Weddel, Forming Intentional Disciples

Ritorno alle basi

Se non viene offerta una comprensione più matura di Gesù – un Gesù che cambia la vita, che offre il perdono dei peccati, che dimora nella Sua Chiesa e nei sacramenti –, i giovani non saranno evangelizzati, e se lo saranno ovviamente se ne andranno. Dobbiamo tornare alla basi e promuovere una chiara visione di Gesù, per non continuare a portare alla Cresima ragazzi che non credono in Dio.

La Chiesa ha bisogno di un cambio di cultura per coinvolgere i giovani. Deve agire e non solo parlare, articolare chiaramente che il suo obiettivo è fare discepoli, portare le persone a un rapporto personale con Gesù. Questo cambiamento di cultura è essenziale per il 38% dei giovani cattolici britannici che pensa che Gesù sia solo umano e il 48% dei cattolici americani adulti che non crede in un Dio personale. Perché il punto è proprio questo, ed è fondamentalmente quello che vogliamo per i nostri giovani – che si impegnino a imparare su Gesù per tutta la vita. Tanti non colgono il centro della questione, tanti vedono le proprie necessità spirituali non soddisfatte. Torniamo alle basi.

Pregate perché il Sinodo dei giovani in svolgimento in questo mese di ottobre porti grandi frutti!

Qui l’originale.

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