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“Ho perso mio figlio e non ho più fede”

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Catholic Link - pubblicato il 11/10/18

4 riflessioni dal cuore di un padre che è rinato

di Andrés D’Angelo

Perdere un figlio è perdere tutto. La sensazione che si prova quando il proprio figlio muore è che il mondo finirà presto e nulla sarà più sopportabile dopo una perdita così grande.

Quasi tutte le morti di stretti familiari hanno un nome: il coniuge che perde l’altro diventa vedovo, il figlio che perde un genitore diventa orfano, ma un padre che perde un figlio non ha nome. È come se il linguaggio stesso facesse marcia indietro terrorizzato di fronte a un dolore incommensurabile, un dolore che sembra non avere alcuna spiegazione logica – niente basi razionali, nessun appiglio umano. Il nostro intelletto fugge atterrito quando si cercano delle spiegazioni o il colpevole, o si prova a trovare un senso a qualcosa che sembra del tutto irrazionale.

Nessuno può augurare un dolore simile

Noi che lo abbiamo sperimentato, non importa quanto tempo sia passato, continuiamo a provare la lacerazione dell’anima ogni volta che si verifica una di queste tragedie senza nome. Possiamo comprendere l’impotenza, la rabbia, e fondamentalmente il dolore dei genitori che soffrono come se fossero nostri. Sappiamo dove si trovano perché ci siamo stati anche noi. Anche se sappiamo che se ne esce, non possiamo sapere come.

La reazione dei genitori dopo una perdita tanto dolorosa, assurda e incredibile, pur variando in base al temperamento di entrambi, è quasi sempre la stessa. Sorgono le stesse domande: perché è dovuto capitare a me? Cosa ho fatto per meritare un castigo simile? Perché mio figlio e non quello di qualcun altro, di un ladro, di un politico o di una delle tante persone cattive che infestano il mondo? Quando finirà questo dolore? Come fa un padre che ama il figlio a superare questa sofferenza? E molte altre domande, che in misura maggiore o minore riflettono uno stato di perplessità assoluta: cosa faccio ora? Come potrò andare avanti dopo questo?

Arrivano altre persone che hanno vissuto lo stesso dolore

Si presentano con le migliori intenzioni del mondo e ci danno “consigli”, consigli che non cerchiamo e non chiediamo, che non ci interessano. Cercano di aiutarci a modo loro, e a volte sentiamo perfino sciocchezze che non fanno altro che alimentare la voglia di uccidere chi viene a consigliarci.

Ad esempio, pochi giorni dopo che aveva perso sua figlia hanno detto a mia moglie di “approfittarne, di uscire e andare a fare shopping”. È incredibile che qualcuno che ha vissuto lo stesso dolore possa dire un’assurdità del genere.

Molti anni dopo, e avendo parlato con tanti genitori che hanno perso i propri figli, abbiamo iniziato a capire il motivo di questi consigli. Il dolore è così grande che si desidera solo che passi in fretta, e allora si cerca di dire delle cose che pacifichino l’anima, che riescano ad allontanare chi soffre dal suo dolore.

A volte le cose che ci vengono dette anziché consolarci aumentano la nostra sofferenza o la peggiorano, perché NESSUNO è in grado di provare REALMENTE empatia in questo dolore. Come ho detto all’inizio, ogni genitore vive questa situazione in modo diverso, perché noi genitori siamo diversi, i figli sono diversi, le circostanze della morte e la sofferenza sono diverse. L’elaborazione del lutto è una cosa così personale così intima e complessa che i consigli sembrano sempre insufficienti o inadeguati.

1. Dobbiamo smettere di soffrire?

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“Smettete di soffrire!”, ci dicono i pastori evangelici. Dobbiamo smettere di soffrire? Che fare di quella sofferenza? Quando è morta nostra figlia, un fratello mi ha raccomandato di essere forte per sostenere mia moglie, che avrebbe sofferto di più. È stato uno dei consigli peggiori che ho ricevuto in vita mia.

La sofferenza è inerente alla perdita terribile che abbiamo subìto. Se rimaniamo “forti”, l’unica cosa che stiamo facendo è rimandare il dolore, e più lo rimandiamo, più danno ci farà in seguito. Diciamocelo forte e chiaro: la perdita di un figlio è senz’altro il dolore più lacerante che possa provare un essere umano.

Rimanere forti di fronte a quel dolore non è stoicismo, né stupidità: è essere palesemente disumani.

Nessuno può “non soffrire” di fronte a un dolore del genere, e ostinarsi a rimanere forti può portare quasi automaticamente a un’insensibilizzazione artificiale, che fa tacciare di debolezza chi soffre. Lo dico perché è successo a me, e poco tempo dopo ho iniziato ad assillare la mia povera moglie perché “lasciasse alle spalle la sofferenza” o “superasse” la questione.

Soffrite, piangete, gridate. Ne avete tutto il diritto. È sano farlo, e fatelo per tutto il tempo che riterrete necessario e opportuno. Molte cose vi ricorderanno il figlio che non c’è più, e molte rinnoveranno il vostro dolore.

Come dice mia moglie, “perdere un figlio è come andare in giro con una scarpa di due numeri più piccola: si riesce a camminare, ma fa male”. Non giudicate il vostro coniuge per il modo in cui elabora il lutto. Non giudicate voi stessi per quello che provate. Non lasciatevi giudicare da nessuno per quello che state vivendo. È una cosa così personale che qualsiasi giudizio va sospeso.

Permettetevi di piangere, permettetevi di essere tristi, permettetevi di affrontare le cose come vi viene, senza pressioni da parte di nessuno e senza sentirvi obbligati a passare per le tappe del dolore (negazione, rabbia, negoziazione, dolore e accettazione) in un ordine o in un modo determinato. Nessuno vi può costringere a sentirvi in un certo modo, e se vi sentite male va bene così. Se in qualche momento arriva una consolazione, o un momento di pace o di divertimento, o qualsiasi cosa che allevi momentaneamente il dolore, va bene anche quello.

2. Ricordate il figlio che se n’è andato

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Chi se ne va senza essere stato cacciato torna senza essere chiamato. Il figlio che muore non è con noi, ma non deve “andarsene”. Ricordatelo. Ricordate tutto quello che ha fatto, che non ha fatto, che voleva fare, che avrebbe potuto fare.

Vedrete tanti suoi amici che ve lo ricorderanno. Vedrete ragazzi della stessa età che ve lo ricorderanno. Qualsiasi cosa, anche cose che non hanno nulla a che vedere con lui, ve lo ricorderanno costantemente. Noi ricordiamo nostra figlia Cecilia ogni volta che dobbiamo parcheggiare, per quanto possa sembrare ridicolo.

E anche se l’anima soffre quando accadono queste cose, è un bene che succedano: chi se n’è andato vive ora nei ricordi, e non verrà mai dimenticato per quanto si provi a farlo. L’oblio è la morte definitiva, e un padre non dimentica neanche un secondo condiviso con il figlio. Va bene che lo si ricordi com’era, con le cose buone e quelle cattive.

Ricordatelo nei discorsi in famiglia, quando mangiate, quando andate a dormire, cercate ricordi che lo rendano più vivo, chiedete ai suoi amici di parlarvi di lui, conoscetelo di più, scrivete su di lui, parlatene ai suoi fratelli, se ne ha, perché siano orgogliosi di lui (senza schiacciarli presentandolo come “il figlio perfetto”), e vedrete che a poco a poco sentirete la sua presenza tra voi.

Andate a trovarlo al cimitero o nel suo posto preferito. Parlate con lui, raccontategli le vostre cose, chiedetegli consiglio. Non importa se oggi la fede in Dio o nella religione è un po’ indebolita – anche questo è normale, ma non perdete MAI la fede in vostro figlio. Se sta in un luogo migliore di quello in cui siamo noi, sicuramente si preoccupa e si occupa dei suoi familiari, e quindi tenetelo presente in modo permanente. La sua assenza è soltanto fisica, e nella sua dimensione spirituale è sempre con voi, anche se in un altro modo.

Cercatelo, e lasciatevi trovare da lui. Chiedetegli aiuto per imparare a stare senza la sua presenza fisica. Vostro figlio vi ama, perché gli avete dato la vita e gli avete offerto l’amore e tutte le gioie che ha avuto in questa vita, e si occuperà sempre di chi gli ha dato tutto, anche se non credete che questa dimensione spirituale sia reale.

Noi inseriamo nostra figlia nelle nostre preghiere quotidiane, e le chiediamo ogni giorno delle cose specifiche, che spesso non vediamo realizzate o che altre volte si realizzano in un modo strano che ci fa capire che qualcuno ci ama e si occupa di noi in modo personalizzato.

3. Non dimenticate mai vostro figlio

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Abbiamo mille aneddoti al riguardo, ma in definitiva vorrei dirvi di non dimenticare il figlio che non c’è più e di ricordarlo come vorrebbe essere ricordato: con nostalgia, ma con gioia. Al di là del fatto che crediate o meno nel Cielo, pensate che in questo stesso momento in cui voi soffrite in modo così incommensurabile vostro figlio è felice, più di quanto chiunque potrebbe immaginare.

Aggrappatevi a questa idea: ora gode di una felicità che va al di là di qualsiasi spiegazione umana, è felice, immensamente felice, eternamente felice, e senza ombra di sofferenza. Prima comprenderete questa idea, meglio sarà.

Se non avete fede o la vostra fede è morta come conseguenza della partenza anticipata di vostro figlio, pensate a lui come a una persona che non soffrirà più. Noi dobbiamo ancora affrontare la decadenza e la morte, lui se n’è già andato e non soffre più, non ha più paure né dispiaceri. Già solo per questo, la sua vita fino al momento della sua partenza è stata cento volte meglio di quella della maggior parte dei mortali.

Sembra una consolazione sciocca, ma il desiderio di ogni genitore per suo figlio è che sia felice, e se definiamo la felicità come assenza di sofferenza è felice. E se abbiamo fede e ci basiamo su questa tanto meglio: nostro figlio è già più felice di quanto avremmo mai potuto renderlo felice noi in TUTTA la vita, più felice di quanto saremo mai anche noi.

4. Non preoccupatevi di chi se n’è andato, ma di chi resta

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I ragazzi sono molto più saggi di noi nell’elaborare il lutto: quando è morto un mio cugino anni fa, i suoi fratelli, poco dopo la sepoltura, riuniti in cerchio, si sono chiesti come prima cosa: “A cosa giochiamo?”

È un atteggiamento sano, cercare di capire cosa si deve fare, non solo con voi stessi, ma anche con gli eventuali fratelli. Sono in un punto di inflessione nella vita, in cui avranno bisogno di tempo per riflettere e riformulare molte delle cose che hanno fatto e che faranno.

L’aspetto più duro del dolore è che il mondo continua a girare, e che il sole sorge sul nostro dolore e nulla sembra cambiare. Ma sono molte le cose che cambiano dopo la morte di un figlio. Forse si diventa iperprotettivi nei confronti di chi è rimasto, e questo non va bene. Forse si decide di avere altri figli, forse si decide di non pensarci per, il momento… Tutto viene comunque visto in un altro modo.

Quello che prima ci sembrava importante ora pare una sciocchezza, e cose che prima ritenevamo secondarie diventano decisive. Pensate a questo tempo di riflessione e maturazione del dolore come a un tempo di crescita, e pensate fondamentalmente a cosa vostro figlio vorrebbe che faceste.

Stabilite cosa sarà prioritario da questo momento e cosa sarà secondario. Usate questo momento per crescere, per conoscervi più intimamente come coppia, e soprattutto per sostenervi in modo incondizionato. Abbiate pazienza, cercatevi e trovatevi tra voi, curate i figli rimasti, ma senza schiacciarli o proteggerli eccessivamente, lasciando che riempiano la vostra vita con la loro gioia e le loro avventure.

Cercate sostegno e consolazione nella famiglia e negli amici. Quello che sto per dire può sembrare un po’ egoista, ma in questo momento conta una cosa sola: chi è rimasto. E allora dedicatevi a voi stessi e ai vostri figli.

Qui l’originale.

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