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Migranti, un tema ricorrente nelle relazioni dei 14 Circoli sinodali

POPE FRANCIS GENERAL AUDIENCE
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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 10/10/18
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I giornali dicono che il Sinodo sta parlando di rapporti prematrimoniali, di abusi sessuali e di lgbt, mentre a leggere le 14 relazioni dei circoli minori, raccolti e suddivisi per area linguistica, si vede che i Padri si stanno occupando (come è normale e sano che sia), di testimonianza, di celebrazione e di servizio. In tal senso colpisce che un tema trasversale fra tutte le relazioni sia quello della pro-vocazione che nella Chiesa suscita l’emergenza migratoria. Ce ne facciamo un’idea sulla scorta delle relazioni francofone.

Abbiamo cominciato a leggere le relazioni dei circoli minori sulla prima parte dell’Instrumentum Laboris: resteranno delusi (c.v.d.) i fautori delle «magnifiche sorti e progressive», dato che le parole magiche attese dal capitolo IV della I parte – gender, omosessualità, lgbt… – non compaiono affatto. Al limite il circolo germanofono chiede en passant che si tocchi il tema di “donne e sacerdozio”, mentre il quarto circolo anglofono riconosce che queste «colonizzazioni ideologiche, come Papa Francesco le ha giustamente denominate, fanno male ai giovani in modo particolare».



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I temi toccati sono molti, e per alcuni si rivela sorprendente la fecondità del procedimento per gruppi linguistici, i quali – effetto secondario degli imperialismi dei secoli scorsi – connettono in varie koinái persone di culture e luoghi anche molto discontinui fra loro. Così il primo circolo francofono osserva che al numero 34 dell’Instrumentum Laboris – dedicato a “una generazione connessa” – sembra ci si dimentichi «che numerosi giovani non sono connessi. Possiamo dire che su scala mondiale, a seconda dei paesi o del fatto che i giovani abitino in città o in campagna, sussiste una “rottura digitale”».


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E così, tra proposte migliorative e osservazioni critiche, i lavori sembrano procedere in modo promettente. Un argomento che non sembra aver lasciato indifferenti i Padri Sinodali è quello della crisi migratoria. Lo si era già avvertito giorni fa, il 6 ottobre scorso, quando il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana), si era fatto portavoce del grido di popoli di fatto costretti a lasciare (e a lasciar morire) la propria terra per farsi reprimere altrove:

Sì, a volte vengono respinti come bestie, oppure vengono accolti solo se servono a qualcosa. No, sono esseri umani, e vanno trattati come tali. Questa è la questione che abbiamo portato al Sinodo e che speriamo venga affrontata. […] Nei nostri Paesi molti giovani si chiedono: se resto muoio, se parto muoio, cosa scelgo? Spesso si tratta anche di un salto nel nulla. Ma quelli che partono hanno sempre le loro ragioni: e la Chiesa deve accompagnarli, sono esseri umani, non bestie. 

Incalzato poi sull’espressione “porti chiusi”, il cardinale Giuseppe Versaldi, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, ha esplicitamente richiamato la scelta della Conferenza Episcopale Italiana nel caso diplomatico della nave Diciotti:

I porti chiusi non sono della Chiesa: la Chiesa ha aperto le porte a chi aveva i porti chiusi. Il problema delle migrazioni è un problema complesso. Ci sono anche distinzioni da fare tra il modo in cui la Chiesa affronta la questione e il modo in cui lo fanno gli Stati. La Chiesa ha un ruolo di annuncio del Vangelo, e il Vangelo su questo punto è chiaro: “Ero straniero e mi avete accolto”. Per la Chiesa l’accoglienza è un valore irrinunciabile. La sua testimonianza è evidente, è sotto gli occhi di tutti.

Forse anche per questa declinazione, schiettamente ecclesiale ma che non ricusa di incidere sulla politica, i giornali hanno detto che le relazioni dei circoli minori si sono concentrate sugli abusi (nelle 14 relazioni il termine “abuso” ricorre 7 volte in tutto, e non sempre in riferimento agli scandali di pederastia nel clero): la posizione della Chiesa è parsa così originale che c’è stato bisogno di spiegare come e perché non sia contraddittorio lavorare per l’accoglienza nel primo mondo e al contempo per far sì che nessuno sia costretto a lasciare la propria terra. Dai tre circoli francofoni, in particolare, sono sorti diversi spunti interessanti. Anzitutto l’attenzione rivolta loro è stata flessa come attenzione culturale all’accoglienza del diverso… e del simile. I Padri sinodali hanno cioè rilevato che tanti migranti sono cristiani. Con le loro parole:

Vorremmo qui segnalare le inquietudini delle comunità cristiane del Medio e del Vicino Oriente che s’interrogano sul loro avvenire quando vedono partire i propri giovani, così come sulla complessità della questione migratoria. La migrazione, così come si svolge oggi, è un fenomeno senza precedenti. Accanto ai giovani migranti, che partono per sfuggire le guerre e le persecuzioni, ci sono quelli che si lasciano sedurre dal miraggio dell’occidente e sono incoraggiati a partire. Essi non misurano le conseguenze di una rottura con la loro terra, la loro famiglia, la loro cultura. Come la Chiesa può accompagnare questi giovani per far loro scoprire che Dio apre loro un cammino di realizzazione nei Paesi dove sono nati? Rispettivamente, quanto ai Paesi che accolgono numerosi migranti, come aiutare i fedeli cattolici a vivere l’ospitalità evangelica quando mancano le risorse e l’equilibrio sociale sembra minacciato? In modo particolare in Europa, osserviamo con inquietudine che cresce la xenofobia.

Il Santo Padre, col suo appello in favore dei migranti, ci invita ad ascoltare ciò che Dio ci dice attraverso loro. I giovani migranti sperano di fronte e contro a tutto. Non è questa una forza che la Chiesa dovrebbe vedere in maniera profetica? Sono giovani portatori di un progetto di vita, quando altri che restano a casa loro cadono nella droga, nella violenza… E allora come la Chiesa può aiutarli, nel Paese di migrazione che hanno scelto, a realizzare i loro progetti e – perché no? – nell’aiutarli a scoprire il progetto di Dio su di loro?

Anche il terzo circolo ricorda come l’Instrumentum Laboris

ci offra come criterio altro di discernimento l’urgenza dell’accoglienza dell’altro e la resistenza a ogni tentativo di esclusione. Le migrazioni, in tal senso, sono il paradigma dell’interesse che i giovani manifestano per l’impegno della Chiesa nel campo della giustizia e della politica. Su questi temi, la Chiesa ha un ruolo profetico da adempiere, e non riguarda solo Papa Francesco.

Dunque i Padri raccolgono gli stimoli dell’Instrumentum Laboris (che, lo ricordiamo, nasce dalla sintesi delle consultazioni raccolte da tutto il mondo dalla Segreteria del Sinodo) e – almeno sullo specifico tema dell’emergenza migratoria – se ne appropriano. La relazione del secondo circolo è più schematica, va per punti, ma non per questo è meno eloquente delle altre:

La Chiesa può contribuire ad approfondire la riflessione sul fenomeno migratorio e aiutare a trovare delle soluzioni che rispettino la dignità della persona umana. Il contributo della Chiesa potrebbe darsi su quattro livelli:

  • Volgarizzare la dottrina ecclesiale sul fenomeno migratorio e sulla mobilità umana;
  • Favorire incontri tra conferenze episcopali continentali o regionali toccate dalla questione dell’immigrazione per trattare insieme l’argomento;
  • Aiutare le Chiese che ricevono i migranti a mettere in opera una pastorale adatta alla loro condizione;
  • Fluidificare i rapporti con le istituzioni internazionali e presso i Paesi di partenza e di accoglienza dei migranti.

Trovo importante che faccia capolino l’idea di incaricare le conferenze episcopali di un ruolo “di mediazione” tra le parti in causa: già in altre occasioni e in tempi non sospetti mi è capitato di scrivere che la Chiesa cattolica è l’unico ente sovranazionale che disponga al contempo di capillare radicamento in tutto il territorio mondiale e degli strumenti teorici (visione dell’uomo, della società e della storia) adeguati a gestire in modo virtuoso la crisi.


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Il caso Diciotti, obiettivamente parlando, non è stato un successo diplomatico: l’immagine dei migranti fuggiti anche dalla struttura che intendeva accoglierli è meglio funzionale alla narrazione dello sciame inferocito risalente da sotto il Mediterraneo che a un progetto di integrazione pacifica. Trovo politicamente audace, in tal senso, che si abbia il coraggio di non lasciarsi intimidire dal “fallimento” del primo tentativo ma che anzi si rilanci lo schema “ingrandendolo”: non il capo della Cei o di un’altra qualsivoglia conferenza episcopale, ma delle rappresentenze qualificate delle conferenze episcopali di tutta Europa, d’accordo con analoghe assemblee di confratelli africani, potranno meglio ordinare e drenare i traffici umani indirizzandoli direttamente dove meglio sussistono le condizioni d’accoglienza (e talvolta anche un vero e proprio bisogno di supporto).



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Ovviamente quello scritto qui sopra è un commento, un commento basato sulle prime suggestioni del lavoro sinodale: nulla garantisce che le cose andranno in tal senso. Eppure sarebbe un grande segno profetico della Chiesa nel mondo, la responsabilità dei cristiani di aiutare ogni uomo a trovare una casa su questa terra. Ne risulterebbero scontenti “solo” i supremazisti e quanti intendono sfruttare la disperazione degli uomini come forza lavoro o come strumento di sostituzione etnica. Insomma, una volta di più la Chiesa – “organismo di Cristo nel mondo” – avrebbe modo di rivelarsi «segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 1, 34-35).