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Nadia Mourad, dall’inferno dell’Isis al Nobel per la pace. E in mezzo il Vaticano

NADIA MURAD

ServizioFotograficoOR/CPP

Paul de Dinechin - pubblicato il 09/10/18

Vittima dei peggiori orrori dello Stato islamico, Nadia Mourad ha ricevuto venerdì scorso, il 5 ottobre, il premio Nobel per la Pace per l’anno 2018. In quello precedente, la giovane aveva incontrato Papa Francesco.

Appena rientrato dall’Egitto, il 3 maggio 2017, Papa Francesco ha riassunto in poche parole il viaggio durante l’udienza generale in Piazza San Pietro. Quel giorno evocò il sangue dei cristiani e i martiri degli attentati che avevano appena dissanguato la Chiesa copta.


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Ma sapeva che in fondo ai gradini del sagrato un’altra martire, non cattolica, l’ascolta con attenzione? Si tratta di Nadia Mourad Basee Taha, una yazida sulla ventina d’anni, anch’ella vittima delle violenze islamiste. Alla fine dell’udienza si avvicina all’uomo in bianco per salutarlo e scambiare qualche parola con lui.

Sapeva poi, come alcuni si augurano, che la giovane fosse già in odore di Nobel per la pace? Quando fu giunta all’altezza del Capo della Chiesa cattolica, un intermediario la presenta: «Santo Padre, ecco Nadia, ambasciatrice Onu contro la droga e la tratta degli esseri umani». Un anno dopo, eccola ricompensata dal comitato norvegese che riconosce la sua lotta per mettere fine alle violenze sessuali, che ella denuncia essere devastanti quanto le armi belliche più potenti.

Il lungo calvario di una schiava sessuale

Nadia Mourad ha oggi 26 anni, ma ha già conosciuto le peggiori atrocità che si possano immaginare. Questa yazida irachena è passata per le grinfie degli islamisti, che l’hanno schiavizzata nelle peggiori condizioni: una schiavitù sessuale al capriccio dei guerriglieri del gruppo jihadista dello Stato islamico e dei loro amici.


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Vittima di ogni sorta di abusi, la giovane donna è stata trascinata di proprietario in proprietario. Quando il suo calvario sembrò essere giunto al termine la giovane donna curda è riuscita a liberarsi e a fuggire a gambe levate.

Da allora, le Nazioni Unite ne hanno fatto un’icona della scelta di lottare contro lo schiavismo. La sua storia dolorosa, spiega ella stessa, è un’arma efficace per lottare contro il terrorismo. «Ho tutta l’intenzione di servirmene fino a che quei criminali siano tradotti in giustizia», aveva scritto in un’opera pubblicata con la ferma volontà di essere l’ultima ragazza al mondo a dover raccontare una simile storia.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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