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USA: la calamita fast food

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Goskova Tatiana

Paul De Maeyer - pubblicato il 06/10/18

Secondo un rapporto dell’agenzia federale per il controllo e la prevenzione delle malattie ogni giorno circa 85 milioni di americani mangiano fast food

I cittadini americani non riescono a fare a meno del fast food. Lo rivela un rapporto diffuso mercoledì 3 ottobre dal National Center for Health Statistics dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC, cioè l’agenzia federale per il controllo e la prevenzione delle malattie).

Dalla ricerca basata sui dati contenuti nel National Health and Nutrition Examination Survey emerge infatti che nel periodo 2013-2016 il 36,6% della popolazione adulta, vale a dire più di un americano adulto su tre, ha consumato cibo fast food in un determinato giorno. La percentuale corrisponde a circa 84,8 milioni di persone.

“Ci siamo concentrati sul fast food per questo rapporto, perché il fast food ha giocato negli ultimi decenni un ruolo importante nella dieta americana”, così ha raccontato alla CNN l’autrice principale, Cheryl D. Fryar, ricercatrice del National Center for Health Statistics.

Età e origine etnico-razziale

I dati analizzati dall’équipe della Fryar evidenziano ad esempio che il consumo di cibo fast food diminuisce con l’avanzare dell’età. Tra i giovani adulti della fascia di età 20-39 anni, il 44,9% (cioè quasi uno su due) ha infatti consumato fast food, una percentuale che scende poi al 37,7% tra gli adulti della fascia d’età 40-59 anni e al 24,1% (ovvero quasi uno su quattro) tra le persone di 60 o più anni. Questa chiara tendenza alla diminuzione si rileva tra i consumatori di entrambi i sessi.

I consumatori più assidui di cibi da fast food sono le persone adulte non ispaniche nere, rivela la ricerca: il 42,4%. Tra le persone non ispaniche bianche questa proporzione cala al 37,6%, tra quelle ispaniche al 35,5% e tra quelle non ispaniche asiatiche al 30,6%.

Uomini & donne

Nella popolazione adulta una percentuale leggermente più alta di uomini che di donne ha consumato cibi del fast food: il 37,9% contro il 35,4%. Mentre il 41,8% degli uomini non ispanici neri l’ha consumato, tra gli uomini non ispanici bianchi la percentuale era del 39,0%, tra gli ispanici adulti del 35,2% e tra i non ispanici asiatici del 31,1%.

Anche la percentuale di donne adulte non ispaniche nere che hanno consumato fast food era più alta rispetto alle donne non ispaniche bianche: il 42,9% contro il 36,3%. Tra le donne ispaniche invece raggiungeva quota 35,8% e tra quelle non ispaniche asiatiche il 30,4%.

Fascia di reddito

Dalla ricerca emerge che la percentuale di persone adulte che vanno al fast food sale insieme al reddito familiare. Secondo il rapporto, il 42% delle persone adulte appartenenti alla fascia di reddito alto hanno consumato fast food. La proporzione scende poi al 36,4% tra gli adulti della fascia di reddito medio e al 31,7% tra quelli della fascia di reddito basso. Anche in questo caso, così aggiunge il rapporto, non c’era alcuna differenza “significativa” tra uomini e donne.

“Questa connessione o correlazione è l’opposto di quello che io forse mi sarei aspettato”, ha ammesso alla CNN il dottor Lawrence Cheskin, direttore di ricerca clinica presso il Global Obesity Prevention Center della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health a Baltimora (Maryland), che non era coinvolto nella ricerca.

“Ma abbiamo bisogno di questo tipo di studi e di questi tipi di fatti e statistiche per capire meglio cosa spinge al consumo di cibi che, come esperto nutrizionista, direi non siano la prima scelta per una serie di motivi”, così ha aggiunto.

Come possibile spiegazione, Liz Weinandy, dietologa presso l’Ohio State University Wexner Medical Center a Columbus, ipotizza che le persone che non hanno problemi finanziari vanno più spesso a mangiare fuori. Allo stesso tempo, sempre più persone con un reddito basso dichiarano che il fast food costa troppo e che cucinare a casa è più economico, così spiega l’esperta al Daily Mail.  

Momento della giornata

I momenti preferiti della giornata per recarsi al fast food sono l’ora di pranzo e quella di cena. Il 43,7% degli adulti che hanno consumato fast food l’hanno fatto a pranzo e il 42% a cena. Quasi un adulto su quattro, ossia il 22,7%, è andato a fare colazione al fast food – anche in Italia la catena McDonald’s serve la prima colazione – e un altro 22,6% per fare uno spuntino o snack.

In questo caso c’è una differenza netta tra gli abitudini di uomini e donne. Mentre tra gli uomini adulti quasi uno su due, cioè il 48,3%, ha consumato fast food a pranzo, tra le donne questa percentuale è del 39,1%. Le donne sono più inclini a fare giusto uno spuntino al fast food: circa una su quattro (il 25,7%), rispetto al 19,5% degli uomini.

Alcune reazioni

La dietologa Weinandy ha accolto il rapporto con preoccupazione, in particolare per il fatto che sono soprattutto i giovani adulti a consumare fast food. “Queste persone probabilmente sono cresciute con il fast food”, così osserva l’esperta, che aggiunge che in questo modo “si predispongono a patologie come l’obesità e il diabete di tipo 2”.

Inoltre, così osserva la Weinandy, la fascia 20-39 anni è anche quella con la maggior probabilità di avere bambini piccoli, che sono quindi a rischio di copiare dai genitori i modelli alimentari malsani basati sul fast food, detto anche junk food, ossia “cibo spazzatura” (la malbouffe, come dicono i francesi).   

Secondo un sondaggio condotto dal Rudd Center for Food Policy & Obesity (un centro di ricerca dell’Università del Connecticut a Hartford), pubblicato lo scorso mese e citato dalla CNN, ben il 91% di un gruppo di 871 genitori ha dichiarato di aver comprato nell’arco della settimana precedente all’inchiesta il pranzo o la cena per la loro prole presso un ristorante fast food di una delle quattro più grandi catene, cioè McDonald’s, Burger King, Wendy’s o Subway.

“E’ buffo, quando vediamo le notizie di uno squalo che nuota vicino ad una spiaggia, questa ci spaventa al punto di non avvicinarci a quella spiaggia. Tuttavia, ciò da cui dovremmo essere spaventati è il doppio cheeseburger, le patatine fritte e le grandi quantità di bevande zuccherate”, ha dichiarato la Weinandy alla CNN, che ha anche messo in guardia dalla “sovrabbondanza di alimenti altamente lavorati che sono molto economici e facilmente disponibili”.

Carne lavorata e cancro al seno

Proprio in questi giorni, uno studio realizzato dall’équipe guidata dalla ricercatrice Maryam S. Farvid, del Department of Nutrition della Harvard T.H. Chan School of Public Health a Boston (Massachusetts), ha evidenziato il nesso tra il consumo di carne lavorata e l’insorgere di tumori al seno, così ha rivelato il Daily Mail. Secondo la nuova ricerca, il consumo di carne lavorata aumenta il rischio del 9%.

La meta-analisi, pubblicata sulla rivista International Journal of Cancer (IJC), si basa su 13 ricerche precedenti sulla carne rossa, che comprendevano in totale 1.133.110 donne, di cui 33.493 erano state diagnosticate con la patologia, e su altri 15 studi sulla carne lavorata, che coinvolgevano 1.254.452 donne, di cui 37.070 avevano sviluppato un tumore alla mammella.

La Farvid non esclude che all’origine del rischio aumentato ci siano certi additivi, come i nitrati e i nitriti, che conferiscono alle carni lavorate il loro tipico colore rosa, insieme ai grassi saturi, al colesterolo e al ferro eme di origine animale presenti nella carne rossa. Pertanto, ridurre la carne lavorata può quindi essere uno strumento per la prevenzione del cancro alla mammella, così ha suggerito la ricercatrice.

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