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Sono cattolico, ma cosa c’entro con gli abusi?

MŁODY MĘŻCZYZNA

Mikail Duran/Unsplash | CC0

padre Carlos Padilla - pubblicato il 04/10/18

Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui, dice San Paolo...

Per Gesù i piccoli sono i più preziosi. Sono oggetto della sua predilezione. Per questo mi incoraggia a non scandalizzare i piccoli:

Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare” (Matteo 18, 6).

I piccoli, i deboli, i vulnerabili, gli abbandonati, quelli che soffrono la solitudine e il disprezzo… Sì, quelli che nessuno vuole e di cui nessuno si preoccupa. Gesù ha un’attrazione speciale per chi soffre.

E io non posso scandalizzarli, né far loro alcun danno. Quanto danno provocano gli abusi nella Chiesa! Quanto dolore in cuori innocenti!

Chi abusa, chi scandalizza, chi usa il debole… L’autorità mal esercitata. Quella ferita nel cuore della Chiesa. Quel grido degli innocenti che fa male all’anima.

Diceva Papa Francesco: “Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione… «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme», ci diceva San Paolo”.

Di fronte a tanti casi di abuso e danno a innocenti mi fa male l’anima. Sono Chiesa. Parte di una Chiesa che soffre. Quando un membro soffre soffro con lui.

E forse contribuisco con il mio peccato. Forse non sono quello che provoca il danno, ma sono colui che sta dietro senza aspirare alla santità, senza sognare le vette, conducendo una vita comoda e borghese.

Con le mie omissioni posso far danno. E anche con i miei silenzi. Con i miei peccati. Non me ne dimentico.

Sono unito come Chiesa a tanti che soffrono. A tante persone innocenti che soffrono. In una società che abusa dei più deboli, che approfitta di chi non ha protezione e rende omaggio ai potenti.

Quanto è pericoloso il potere che mi tenta e mi seduce! E smetto di curare e di proteggere il debole. L’innocente e il derelitto che non mi dà nulla.

Gesù mi chiede di non scandalizzare, di non girare la testa allontanandomi da chi è ferito. Vuole che nel mio cuore si risveglino la misericordia, la compassione, la solidarietà. Quello sguardo che si volge a chi è soffre, solo, disprezzato e ferito.

Di fronte agli abusi di autorità, di coscienza, sessuali, l’anima si ribella. Non lo voglio. Non posso restare in silenzio. È il grido che nasce nel cuore di Cristo.

E verifico la mia debolezza, per il mio peccato. La mia umiliazione che dovrebbe rendermi più umile.

Non so se capita sempre. A volte mi ripiego su me stesso e mi proteggo. E dico che mi attaccano, che attaccano la Chiesa, Cristo.

L’umiliazione che è unita all’espiazione dei peccati. La necessità di pregare e di rinunciare per amore dei più deboli. Ed essere per loro un luogo di riposo, di incontro. Guarire le ferite essendo io stesso ferito.

Papa Francesco mi invita ad “assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti”.

Uno sguardo che nobilita, che rispetta, che non giudica e non condanna. Uno sguardo che eleva e resistuisce a chi è ferito la dignità perduta.

Riconosco che il complimento più bello che mi possano fare è dirmi che non giudico chi mi si avvicina. Che apro la porta e lo aspetto.

A volte non è così. Il mio cuore ha bisogno di cambiare. Mi serve una conversione profonda che mi faccia guardare ogni uomo con benevolenza.

Quanto mi costa! Quanto è facile lasciarmi tentare dal potere e disprezzare chi non può darmi nulla!

Diceva Jean Vanier: “Come ci poniamo di fronte alla sofferenza e alla vulnerabilità?” Mi parla del mio atteggiamento di fronte alla mia sofferenza, alla mia vulnerabilità.

Ma anche di fronte a quella di chi mi circonda. Mi allontano da chi è vulnerabile perché non so come accoglierlo, amarlo e servirlo.

Non so come avvicinarmi a chi non mi può dare potere in cambio del mio affetto. A chi non ha nulla da offrirmi.

E spesso mi sento impotente nel sollevare chi è caduto e nel perdere tempo accanto al ferito. È come se avessi altre priorità.

Gesù mi invita a prendermi cura dell’innocente, a salvare il derelitto, a proteggere il vulnerabile. Voglio cambiare il mio sguardo. Voglio iniziare ad essere più bambino per guardare con innocenza e verità.

Per scoprire nel più povero e derelitto il volto ferito di Gesù. E cambiare i miei progetti. Placare la mia fretta. Allontanarmi dai modi sicuri e prepotenti.

Abbassarmi per parlare partendo dalla mia piccolezza. Io stesso sono piccolo e lo dimentico. È come se le lodi mi facessero credere di avere un valore aggiunto.

Non è vero. Sono d’argilla, sono ferito, sono fragile. Quella consapevolezza della piccolezza mi rende più solidale con chi è vulnerabile. Mi trasforma nel protettore di chi non ha nulla.

Ascolto le grida di chi soffre. Mi soffermo davanti a lui. Gli apro la mia anima.

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