Alla luce della vita di Chiara Corbella, è necessario insegnare alle famiglie che un figlio disabile non è una disgrazia o un muro, ma una porta che apre sull’infinito. Don Silvio: “La disabilità spaventa, mette in crisi i nostri progetti, ci costringe a riflettere”
di don Silvio Longobardi
Cari amici,
nei giorni scorsi è stato aperto ufficialmente il processo per riconoscere la santità di Chiara Corbella, la giovane mamma morta nel 2012 all’età di 28 anni dopo appena 4 anni di matrimonio. Una vita breve, condivisa con il marito Enrico Petrillo, ma segnata da eventi dolorosi che, invece di fiaccare i sogni ingenui e legittimi degli sposi, hanno fatto emergere una carità straordinaria che tocca tutti coloro che si accostano a questa storia.
La loro prima bambina, Maria Grazia Letizia, era affetta da anencefalia: visse solo 40 minuti, il tempo necessario per ricevere il battesimo e per essere cullata dalle braccia della mamma. La seconda gravidanza presentò subito gravi problemi di salute per il bambino. I medici consigliavano l’aborto. Tanto sarebbe morto lo stesso, sentenziavano con quell’arroganza di chi pretende di sapere tutto. Chiara ed Enrico invece lo accolsero con lo stesso amore. Quella fragile vita aveva un valore infinito e non poteva essere buttata, quel bambino aveva diritto di essere amato, anche solo per pochi minuti.
La testimonianza eroica di questi sposi impone una riflessione sulla disabilità, un tema che molti vorrebbero cancellare dall’agenda della vita e che la stessa comunità ecclesiale non affronta con tutta la necessaria determinazione. Ci sono Paesi, come Danimarca e Islanda, che attuano una rigorosa e vergognosa campagna down free attraverso l’aborto selettivo. Un vero e proprio genocidio di cui nessuno parla. L’Europa dei burocrati tace. L’Europa degli economisti applaude. L’Europa che impone di accogliere i migranti, fa finta di non vedere e di non sapere.