È tornata a farsi sentire la voce di Sangheeta Bonaiti, così ricca di profondità e sfumature. Non vuole insegnare nulla sull’adozione ma solo riflettere sulla sua storia di figlia, moglie, madre fin nelle radici più profonde.
Quella piccola bambina indiana l’ho incontrata, finalmente. Bella e vivace con i suoi occhi grandi e profondi, velati di tristezza. Mi è corsa incontro e mi ha teso la mano. Titubante mi sono lasciata portare. Ho esplorato un mondo apparentemente nuovo. Ma più scoprivo e più sentivo che qualcosa di quel mondo già mi apparteneva. Insieme a lei ho annusato, toccato, osservato, assaggiato ed assaporato, sentito, ascoltato tante cose che mi sembrava aver già vissuto. La contraddizione potente ed inspiegabile del sentirmi familiare un mondo così lontano dal mio, in tutti i suoi aspetti, ha scatenato un turbinìo di emozioni che ancora risuonano in me. Quella bambina mi ha portata ad incontrare l’India, non l’India turistica, ma l’India che è dentro di me. Ero io quella bambina. Là a Solur, all’istituto mi stava aspettando da anni. «Vieni, ti porto a vedere un mondo che ti appartiene perché è dentro di te!Lo devi solo riscoprire!».
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Allora il salto, il tuffo dentro a quel mondo. Come mi è piaciuto per tanti aspetti e come ho sofferto per altri. Gli occhi della bambina erano velati da una tristezza che mi era familiare. Le domande di senso nei suoi occhi erano e sono le stesse di oggi. Domande profonde alle quali sto imparando a non dover dare io una risposta. Non più cerotti, soluzioni definitive e risposte bastevoli. Non più: so io come fare a stare meglio. Non più: sensi di colpa e silenzi. Il coraggio di essere io. Quella bambina me lo ha mostrato. Tu sei anche indiana. E sei bella per questo. Sei tutta la tua storia. I nove mesi nella pancia della tua mamma indiana ed i due anni di vita in India, nell’istituto qualcosa ti hanno lasciato. Il corpo fin dai primordi memorizza, acquisisce, si forma e l’ambiente circostante lascia impronte indelebili (che sia l’utero materno o che sia l’ambiente esterno). Ecco ho scoperto questo. Per me, su di me, in me. Quella bimba me lo ha mostrato. Con il ritorno a casa è iniziato il cammino più duro.
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Come mettere insieme questi pezzi di me? Chi sono io? Sono indiana? Sono italiana? A chi appartengo? In tanti amici mi hanno chiesto di raccontare loro di questo viaggio come pensando che per me sia stato un viaggio turistico. Il viaggio di ritorno alla mia terra, mi ha cambiata. Tantissimo. E no, non è stato leggero. Non è un viaggio che si può raccontare davanti ad un caffè. Risuonano in me le emozioni provate e quelle che continuo a sentire ora dopo mesi. Si sono riaccese domande e ferite, ma anche il desiderio di conoscermi in profondità, di esplorare ed abbracciare le mie ombre e le mie paure, senza timore, perché parte integrante del mio essere. Abbracciare le mie fragilità, le mie imperfezioni, le mie debolezze e contraddizioni. Abbracciare la mia storia tutta, fin nelle pieghe più dolorose. Sto camminando. Accanto a me quella bambina, che con passo ingenuo e baldanzoso mi precede perché lei sa dove andare. Mi tiene per mano e mi tira verso la scoperta di me stessa, che credo sia il più bel viaggio che debba concedermi nella vita.