“Finché morte non ci separi” è la formula che ci colpisce di più forse nella celebrazione del rito. Eppure ci dimentichiamo spesso che la morte arriva a coniugi viventi: sono gli sposi stessi che feriscono il patto tra loro. Ma Dio è fedele e con la Sua forza anche un matrimonio finito può ricominciare.di Francesca Caruso:
E il sacerdote prese le mani dei due giovani che si erano appena scambiati le fedi nuziali, le strinse forte e pronunciò: «Non osi separare l’uomo ciò che Dio unisce».
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Con quella stretta, guardandoli intensamente negli occhi, volle quasi sottolineare che i due erano ormai una sola carne, che Dio si era fidato di loro e che non avrebbero mai dovuto permettere ad altri di insinuarsi nel loro legame per sciogliere il loro patto d’amore.
D’altronde, chi sarebbe così sconsiderato da mettersi contro Dio? Ma è anche vero che chissà quante volte abbiamo ascoltato storie di coppie “scoppiate” dopo anni di matrimonio oppure addirittura di tradimenti durante il viaggio di nozze…
Il punto è che chi pensa che il matrimonio sia un’isola felice, in cui “sistemarsi”, è un povero illuso. Spesse volte chi rovina il patto con Dio non è una terza persona bensì gli stessi sposi.
Due persone che vivono sotto lo stesso tetto prima o poi finiranno per litigare, a maggior ragione se sono uniti dal vincolo matrimoniale perché bisogna sempre ricordarsi che «la nostra battaglia non è contro creature fatte di carne ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6, 12). In parole povere, il diavolo – spesso giocando sulle ferite passate che i coniugi si portano dietro- ce la mette proprio tutta per separare chi è stato unito da Dio e succede così che tra gli sposi si alzano muri fatti coi mattoni dell’egoismo, cattiveria, indifferenza, silenzi carichi di rabbia, presunzione, incomprensioni fino ad arrivare ai veri e propri tradimenti.
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Eppure la soluzione c’è e ce la suggerisce san Paolo:
Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie così come Cristo è capo della Chiesa (…). E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. (…) Così anche i mariti hanno il dovere di amare le proprie mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne (Ef 5, 21-33).
Immagino già le femministe insorgere al solo parlare di “sottomissione” ma quello di cui parla san Paolo non è il piegarsi umano di fronte al più forte. La chiave reale di questo passo è nell’espressione diventeranno una sola carne.
Se io mi abbasso lo faccio per far emergere te e quindi me perché siamo una sola carne. Se io ti amo con tutto me stesso io mi amo con tutto me stesso perché siamo una sola carne.
La soluzione quindi risiede nella carità, nella complicità e nel rispetto reciproco e in tanto, ma tanto, dialogo nella verità.
…e se ciò non bastasse, nell’umiltà di chiedere aiuto.