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Gli angeli insieme a San Carlo durante la peste di Milano del 1576

SAN CARLO BORROMEO

San Carlo Borromeo

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don Marcello Stanzione - pubblicato il 23/09/18
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Breve viaggio in una tradizione iconografica legata al copratrono di MilanoCarlo Borromeo nacque ad Arona ( Novara) il 2 ottobre 1538 ed essendo il secondogenito di una famiglia così importante fu destinato alla carriera ecclesiastica. Nominato a dodici anni commendatario dell’abbazia di Arona con una rendita di 2000 scudi, viene richiamato a Roma dallo zio papa che lo fa eleggere protonotario apostolico e cardinale a 22 anni pur non essendo ancora stato ordinato sacerdote e poco dopo anche segretario di stato. Nel 1560 viene anche nominato amministratore dell’immensa arcidiocesi di Milano. Nel 1562, il fratello maggiore muore ed egli torna ad essere l’erede del casato, e non abbandona l’idea di consacrarsi totalmente a Dio e si fa ordinare sacerdote rinunciando ad ogni attività mondana e sullo stemma fa mettere la scritta Humilitas.

Dopo la morte dello zio papa nel 1565 torna a Milano dove compie un’attività straordinaria circondandosi di uomini capaci ed esemplari. Muore nel 1584 a soli 46 anni di età. E’ compatrono della città di Milano e protettore dei catechisti ed è invocato contro la peste. Per molti secoli ai devoti cattolici degli angeli veniva proposta la recita delle proteste in punto di morte di san Carlo al suo angelo custode, preghiera che oggi è introvabile e quasi nessuno conosce più. Eccola.

“In nome e della Santissima Trinità, Padre, Figliuolo, e Spirito santo, io infelice, e miserabile peccatore, professo alla vostra presenza, o Sant’Angelo, che voglio assolutamente morire nella Chiesa Cattolica; Apostolica, e Romana, nella quale sono morti tutti i Santi che sono stati sin all’ora presente, e fuori della quale non vi è salute. Inspiratemi questi sentimenti nell’ora della mia morte, e fatemi vincere il Demonio mio, e vostro nemico. Protesto ancora, o Sant’Angelo, chi io sono sotto alla vostra custodia, e protezione: che voglio partire da questa vita con gran fiducia nel vostro soccorso, e una ferma speranza nella misericordia del mio Dio. Espugnate in quell’ultimo momento i nemici di mia salute: ricevete la mia anima nell’uscire che essa farà del mio corpo, e dopo la mia morte rendetemi propizio Gesù Cristo mio Salvatore. Protesto parimente, Santissimo mio protettore, che vivissimamente desidero partecipare dei meriti di Gesù Cristo nostro Signore; e che io spero d’ottenere la remissione dei miei peccati per virtù della sua morte, e passione. Detesto tutto ciò che il male ho commesso sì in pensieri che in opere, e in parole. Perdono a tutti i miei nemici, e voglio morire in braccio della Croce per dimostrare, ch’io pongo ogni mia speranza nella Passione del salvatore. Protesto altresì, o fedelissimo amico, che m’abbandono alla vostra cura, ed affettuosa carità nel gran passo della mia morte, e che sebbene ardentemente desidero di volarmene in Cielo, io son prontissimo per cancellare col partire l’ enormità de’ miei peccati, son prontissimo dico, a soffrire qualunque castigo alla divina giustizia piacerà d’impormi, ancorchè fossero le più atroci pene del Purgatorio. Io son pronto ad abbandonare i miei parenti, i miei amici, il mio corpo medesimo, e tutto ciò che ho di più caro per più prestamente godere la presenza del mio Dio, e testificargli il dolore, ch’io provo, d’averlo offeso. Protesto alla fine, o mio Angelo, sapientissimo, e vigilantissimo custode dell’anima mia, ch’io vi costituisco procuratore dell’ultima mia volontà, e esecutore di quest’atto testamentario. Nel momento della mia morte, dite a Gesù Cristo mio Salvatore ciò, ch’io forse non potrò dire: ch’io credo tutto ciò che crede santa Chiesa, ch’io detesto i miei peccati, perché a lui dispiacciono, che tutti li depongo nel misericordiosissimo cuore di lui; e che dall’infinita sua bontà ne spero perdono: che muoio volentieri, perché esso così vuole, e abbandono l’anima, e la salvezza mia nelle sue mani. Ch’io l’amo più di tutte le Creature, e lo voglio amare per tutta l’eternità”.

A livello iconografico non poche sono le tele in cui S. Carlo Borromeo è raffigurato insieme ad angeli. Citiamo qualche opera che ce lo mostra vescovo-cardinale di Milano alle prese con la terribile peste che afflisse la città nel 1576 e qualche altra che ce lo presenta, ormai morto, nella gloria dei cieli. Sono sufficienti per farci capire la straordinaria fioritura di dipinti e sculture che lo prendono come soggetto, specialmente dopo la sua canonizzazione avvenuta nel 1610. La peste di Milano del 1576 vede in prima linea S. Carlo a confortare i colpiti da questo terribile morbo. Egli è vescovo di Milano da sei anni. Incurante del contagio, scende per le strade piene di appestati e avvicina e conforta chi può. Scende con l’Eucarestia da somministrare ai moribondi come viatico, accompagnato da pochissimi sacerdoti (alcuni erano morti, altri non erano coraggiosi come lui).

Non vuole però, S. Carlo, che tutti i milanesi muoiano. Al ritorno nel desolato vescovato di Milano non smette di pregare e digiunare perché il flagello termini. Supplica Cristo per la sua Passione e organizza con i cittadini superstiti processioni penitenziali, soprattutto con la reliquia del Santo Chiodo custodita nella cattedrale, perché non gli tocchi più di aiutare ogni giorno persone a ben morire. Vuole che Milano rifiorisca. E dopo un’estenuante attesa è esaudito. Il modenese Sigismondo Caula è tra i pittori che vollero raffigurare il cardinale Borromeo mentre scendeva tra gli appestati. Gli angeli presenti nella sua tela del 1685 che ha come soggetto quest’atto di carità eroica di S. Carlo e che è alla Pinacoteca Estense di Modena, sono angeli psicopompi, accompagnatori di anime cioè. Non sono angeli del cardinale propriamente, ma…tant’è. Non accolgono ed accompagnano in Paradiso le anime delle persone che il cardinal Borromeo ha confortato, incoraggiato, le anime delle persone alle quali il sant’uomo ha dato il viatico e che sono poi spirate? Hanno quindi una qualche relazione con lui, con il suo operato.

SAN CARLO BORROMEO

Sigismondo Caula (pittore), Sailko (fotografo)/ Wikimedia Commons/CC

Antiche storie tramandavano che nel VI sec. d. C. quando a Roma, era papa S. Gregorio Magno, c’era stata già una grande pestilenza. Papa Gregorio perciò aveva organizzato una grande processione penitenziale da lui guidata perché l’epidemia cessasse. Mentre con il popolo romano era giunto nei pressi del Mausoleo di Adriano gli era apparso S. Michele arcangelo sulla sommità dello stesso Mausoleo (da allora è detto per quest’apparizione Castel S. Angelo) che gli preannunciava la fine della pestilenza col gesto di rinfoderare la sua spada. La spada dell’indifferenza; del cielo verso le sofferenze del popolo romano era rimessa nel fodero. Non abbiamo ricercato se la stessa cosa accadde al Borromeo. E’ un fatto che la stragrande maggioranza degli artisti che ha voluto raccontarci attraverso i suoi dipinti la fine della peste del 1576 a Milano, ha voluto dirci sia che la cessazione della peste di Milano fu preannunciata da Dio a S. Carlo come lo era stata a papa Gregorio, sia che gli fu preannunciata, sempre come lo era stata a papa Gregorio, attraverso la visione un angelo che riponeva la spada di cui era armato nel fodero. In un quadro del 1614 di Teodoro Vallonio che è nel Museo Diocesano di Palermo e in una grande tela di alcuni decenni posteriore di Sebastien Bourdon vediamo un S. Carlo attirato dall’apparizione dell’angelo che rinfodera la sua spada mentre è per le strade di Milano, circondato da moribondi ammalati di peste. È un angelo maestoso dalle ali candidissime quello del Bourdon ed è la sua figura a captare l’attenzione del Borromeo più che il suo gesto di rinfoderare la spada, cosa che invece accade nel quadro del Vallonio. Un Borromeo tutto intento a supplicare davanti alla croce in cui è inserita la reliquia del Santo Chiodo ma che non si accorge invece dell’angelo che sopra di lui rinfodera la spada è nei dipinti secenteschi di Guglielmo Caccia, di Andrea Comodi ed in quello che Orazio Gentileschi eseguì insieme a Giovanni Francesco Guerriero. E’ nella cattedrale di S. Venanzio a Fabriano.

In un anonimo artista lombardo del Seicento e in uno splendido dipinto di Antiveduto Grammatica del 1620, oggi al Worcester Museum di Worcester, città del Massachuttes ( U.S.A.), il cardinal Borromeo non vede l’angelo che rinfodera la spada ma un angelo che gli indica il Santo Chiodo per la venerazione del quale ha ottenuto la grazia. Nel dipinto del Grammatica l’angelo che rinfodera la spada c’è, è dietro Borromeo, vestito di una tunica gialla che non gli copre però il braccio e la spalla sinistra. E’ dolce nell’aspetto ed elegante nei gesti. Eleganti sono pure la spada ed il fodero in cui la sta riponendo. Tra i tanti artisti che hanno fatto soggetto delle loro opere S. Carlo Borromeo visto nella gloria del cielo ne citiamo qui i primi tre. Trattarono la figura del Borromeo in gloria infatti subito dopo la sua canonizzazione avvenuta nel 1610. Essi sono Giulio Cesare Procaccini, Giovan Battista Crespi detto il Cerano e Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone. Di essi abbiamo già parlato nella nostra ricerca sugli angeli dei vescovi perché raffigurarono in varie opere il vescovo Carlo Borromeo in gloria insieme ad angeli.

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Proponiamo qui qualche loro opera. Giulio Cesare Procaccini, bolognese di nascita ma operante in Lombardia, realizzò nel 1610, anno in cui Borromeo fu proclamato santo, per il Duomo di Milano, un ciclo dei Miracoli di S. Carlo Borromeo e una tela, per la chiesa milanese di S. Tomaso, in cui si vede S. Carlo Borromeo in gloria. In quest’opera si vede il santo cardinale che seduto in trono, benedice con la mano destra. Sulla sua testa ha la colomba dello Spirito santo. Lo circondano infine alcuni angeli. Sono grossi bimbi nudi, dalla carnagione morbida, immersi in un’atmosfera bruno-dorata creata dal colore bruno-dorato dei loro corpi.

In due tele Giovan Battista Crespi detto il Cerano trattò S. Carlo Borromeo in gloria. Amico di Procaccini, insieme a lui ricevette nel 1605 la commissione di 10 quadri per la Cappella dei Signori del Tribunale di Provvisione a Milano. La critica moderna lo sta rivalutando come uno dei maggiori artisti del primo Seicento, periodo non più manieristico e non ancora barocco in cui si andò codificando un’arte religiosa direttamente guidata e voluta dagli uomini della Controriforma. Pochi gli angeli presenti intorno al Borromeo nella sua tela nella chiesa di S. Gottardo in Corte a Milano. Sul santo cardinale-vescovo vola una fascia con la scritta et exaltavit humiles una frase del Magnificat. Sotto questa fascia è sospesa una corona d’oro e sotto la corona sono sospese lettere, anch’esse d’oro, che formano la parola humilitas. Humilitas = Umiltà era il motto vescovile del Borromeo. Ancora sotto le lettere ci sono due angiolini nudi, semievanescenti, dalle brune alucce seduti su semievanescenti nubi. Uno regge con la manina le lettere che formano la parola humilitas, l’altro con la manina le indica. La seconda tela è un’ edizione semplificata di questa. Al posto della fascia, della corona, delle lettere e degli angiolini sulla testa del cardinale c’è solo la colomba dello Spirito Santo. Come nel quadro del Procaccini nella chiesa di S.Tommaso.

Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone si trasferì giovanissimo a Roma ove maturò la sua prima formazione artistica, forse presso il Cavalier d’Arpino, adottando uno stile tardomanieristico arricchito da uno studio continuo del Tintoretto. Tornò in Lombardia nel 1598 e si adeguò rapidamente alle esigenze dell’ambiente locale. Di sicuro in tre dipinti il Morazzone, nel secondo decennio del XVII secolo, ha raffigurato san Carlo Borromeo in gloria circondato da angeli. Il primo è nella chiesa di S.Angelo a Milano, il secondo nella Collegiata di S. Bartolomeo a Borgomanero in provincia di Novara, il terzo nella chiesa di S. Maria della Noce ad Inverigo in provincia di Como. Gli angeli del Morazzone intorno al cardinal Borromeo raffigurati nel dipinto della chiesa di S.Angelo e in quello della Collegiata di Borgomanero sono adolescenti, ben vestiti, dai capelli per lo più biondi compostamente agitati, non scompigliati dal vento. Quelli nella tela della chiesa di S. Maria della Noce ad Inverigo sono bambini.

Negli anni 1736-1729 Johann Michael Rottmayr nella cupola della chiesa di san Carlo a Vienna realizzò un affresco in cui c’è un san Carlo Borromeo nella gloria del cielo che supplica Dio in favore degli uomini. Il Rottymar è riconosciuto dalla critica come il primo pittore barocco d’ Oltralpe. Un angelo alla destra del santo lo sostiene mentre un altro alla sua sinistra prega con le mani giunte. Hanno, entrambi questi angeli, le penne inferiori delle ali lunghe e flosce. Queste sembrano più un ornamento delle ali che un elemento funzionale. La Vergine Maria dietro il santo cardinale sostiene la sua azione di supplica. Davanti a lui appoggiati ad una spessa e bassa nuvola si vedono due angiolini amici. Uno di loro osserva quasi meravigliato il cardinale, l’altro invece è del tutto indifferente a chiunque gli stia intorno. Fissa pensieroso la mano destra del suo amico.