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Jean Vanier: «Il mondo va a rovescio: il mondo che va dritto è il Vangelo»

JEAN VANIER

Stéphane OUZOUNOFF/CIRIC

Domitille Farret d'Astiès - pubblicato il 21/09/18

In occasione del novantesimo compleanno di Jean Vanier, Aleteia è andata a incontrarlo. Nel salone della sua casetta a Trosly-Breuil, il nonagenario dallo sguardo frizzante, fondatore delle comunità de L’Arche [L’Arca, N.d.T.] e di Foi et Lumière [Fede e luce, N.d.T.], si è raccontato con semplicità evocando gioie e speranze.

Domitille Farret d’Astiès: Buongiorno Jean. Oggi ha festeggiato i suoi novant’anni. Che bilancio fa degli ultimi trascorsi?

Jean Vanier: Quando ho compiuto 75 anni ho cessato di stare nel consiglio internazionale de L’Arche. Ma ho continuato ad accettare conferenze in giro per il mondo. Poi, verso l’età di 83 anni, ho capito che non avevo più la forza di viaggiare. Durante lo scorso mese di ottobre sono stato vittima di una crisi cardiaca. Oggi la mia vita è fantastica: al mattino prego e leggo. Pranzo presso l’associazione che ho fondato due volte a settimana e cammino 40 minuti al giorno. La vita passa molto velocemente. Questa crisi cardiaca è stata uno choc… ma in senso buono. Ormai devo fare attenzione perché sono più fragile. Ma credo che la testa non funzioni ancora troppo male. E so che questo indebolimento continuerà, che io lo voglia o no.

E questo non la preoccupa?

Il mio principio è che oggi non ho più un futuro, ma sono felice nell’istante presente. In ogni momento. Questo non mi preoccupa. Forse il giorno in cui io sia fisicamente del tutto spogliato troverò la cosa difficile. Per ora sono molto fortunato. Trovo che le nostre comunità de L’Arche vadano bene.

JEAN VANIE
Domitille Farret d'Astiès | ALETEIA

In che momento ha avuto l’evidenza di quanto sia essenziale la fragilità?

Penso che il vero senso della fragilità sia venuto quando ho cominciato l’avventura de L’Arche con Raphaël e Philippe. Raphaël aveva una meningite e non parlava. Philippe aveva un’encefalite con una gamba paralizzata… e parlava troppo. Era tutto un mondo di fragilità… però eravamo così felici [esclama]!. La loro gioia, quella di tutti e due, mi portava a trovare la mia gioia. Vedo in questo due cose. Anzitutto, essi hanno saputo attrarre il bambino che stava in me. Ci divertivamo, ridevamo, facevamo festa. E poi, con loro ho trovato un home [dice col suo incancellabile accento canadese], un “casa-mia”, un luogo in cui mi sentivo bene e in cui avevo voglia di restare. Raphaël e Philippe avevano bisogno di me e io avevo bisogno di loro, della loro gioia e del loro modo di essere. Il cuore è essere amati. Se lei visita regolarmente una persona sola, allora per quella persona lei diventa il messia. La relazione è il luogo della felicità. Ma talvolta la sofferenza fisica è troppo grande. Non bisogna pretendere che tutto si facile. La fragilità ha bisogno di essere amata.

La fragilità può salvare il mondo?

La fragilità sta là, al cuore del mondo. Si traduce talvolta nella paura, nell’insicurezza. Alle volte incontriamo delle fragilità che fanno molta paura. Alcune persone rigettano ogni forma di relazione e non sappiamo come avvicinarle. Ci vogliano allora persone che sappiano in quale maniera approcciarle. Durante un viaggio a Calcutta mi hanno presentato un malato mentale che gridava di continuo. Gli infermieri lo evitavano un poco. Col mio poco di esperienza sono andato verso di lui a mani aperte [apre le mani]. E lui è venuto e ha messo le sue due mani nelle mie. Si può vederlo con la Samaritana. Gesù l’ha toccata perché aveva bisogno di lei. Quando si può cominciare una relazione avendo bisogno dell’altro, quello cambia. Se Gesù avesse cominciato a predicare, quella sarebbe scappata. Invece è venuto umilmente dicendo “ho bisogno di te”.

Oggi si parla molto di sconvolgimento climatico, di dibattiti sull’eutanasia… Che ne dice? Stiamo camminando a testa in giù?

Sì, tante cose vanno male. Quello che si può fare di fronte a queste cose è essere sé stessi. Essendo sé stessi si diventa dei modelli. E il solo modo di essere sé stessi è di essere molto umani. Ci possono essere momenti in cui siamo in depressione. Questo fa parte della nostra realtà. Ma l’importante è che ciascuno di noi stia in piedi, felice, e che possa trascinare gli altri. Io sono colpito dal vedere che ci sono sempre più persone che fanno piccole cose: si prendono cura del loro giardino, di cercare di essere essi stessi i più umani possibile. Occuparsi del proprio giardino, consumare meno elettricità, creare nella propria famiglia un luogo d’amore… Perché il pianeta vada un poco meglio, tutte queste piccole cose che possiamo fare da noi sono importanti. Ciascuno faccia quanto può. Abbiamo Papa Francesco che è straordinario: di una bellezza, di una chiarezza… Ha il sentimento che la Chiesa debba muoversi, e io lo trovo molto bello. Egli sa che sono i più poveri a riportarci all’essenziale – l’essenziale è amare.

Quando c’è uno sconvolgimento generale, c’è una fecondità?

Questa è la mia speranza. La verità verrà come un sottile filo d’acqua che a poco a poco crescerà. Io vedo persone che si organizzano per aiutare i rifugiati o la gente della strada, o per mettersi al servizio di un movimento ecologico. Al giorno d’oggi si avverte un movimento. A L’Arche ci sono sempre dei giovani che vengono. Abbiamo avuto degli assistenti meravigliosi. Avverto un desiderio di aiutare: prima si serviva il caffè ai poveri; adesso, in certe parrocchie, si imbandiscono tavolate e sono le persone di strada che si occupano del servizio. Anche se qualcuno ha paura, si vedono cose che cambiano.

Maison de Jean Vanier
© Domitille Farret d'Astiès I Aleteia
« Lazare », le nom de la maison de Jean Vanier. Un nom qui rappelle l’ami de Jésus qu’il a ressuscité d’entre les morts, ou le pauvre couvert d’ulcères « porté par les anges dans le sein d'Abraham ».

Non ha paura di essere santo?

La santità non mi interessa. La sola cosa che mi interessa è di essere l’amico di Gesù [silenzio]. Voglio essere con lui da qualche parte, non so dove. Gesù è povero, umile. Io spero di essere con lui nella povertà. Sempre nella povertà. È la sola cosa. Il segreto è sempre nella discesa, non nella salita. È accettare di essere fragili. Non siamo sempre quel che vorremmo essere, nemmeno con Gesù. Abbiamo sempre bisogno di un Gesù che ci riacchiappi quando ci allontaniamo. Egli è straordinario nella sua capacità di amare. Il più grande pericolo, al giorno d’oggi, è il fenomeno del bisogno di realizzazione, che comincia nelle scuole. C’è un problema di lotta tra il successo e l’accettazione di quel che si è, con la propria missione. Vediamo una sorta di contraddizione tra la società e la vita cristiana. Gesù, da parte sua, è così umile e così piccolo… Il mondo va al contrario… È il Vangelo il mondo che va per il verso giusto. È una rivoluzione copernicana.

Qual è il segreto per una vita realizzata?

Abbi fiducia in te e ascolta la vocina del tuo cuore. Che cosa cerchi, nel più profondo di te? Ascolta quello che io chiamo “la tua vocina interiore”. Ama la realtà e non immaginarla.

La sua parola d’ordine per i prossimi dieci anni?

Essere felice in ogni istante.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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