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Su quali pilastri poggeranno le vite, non solo le strade, dei nostri figli?

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Pexels/Daniel Spase

Il blog di Costanza Miriano - pubblicato il 19/09/18

"Ad un mese dalla disgrazia che tutto il mondo ha commentato ci siamo fermati, qualcuno di noi ha pregato, qualcun altro ha mandato un pensiero verso l’alto, alcuni si sono arrabbiati perché è passato un mese ma nulla è cambiato, altri hanno sospirato ..."

di Sara Nevoso

Il ponte Morandi collegava una parte della città all’altra. Era necessario, per alcuni era anche bello perché sullo stile di quello di Brooklyn, per tutti noi Genovesi significava un po’ casa.

Ognuno di noi in partenza per la vacanze se lo è lasciato alle spalle con entusiasmo, tutti al ritorno delle vacanze, alla vista di quel ponte, abbiamo pensato: “siamo arrivati” e con fiducia, con leggerezza, lo abbiamo attraversato.

Alzare lo sguardo fa ancora male, vedere quel vuoto è ancora assurdo, dobbiamo abbassare gli occhi e ripeterci che è successo davvero, poi riprendere il controllo e cercare di spostarci nel traffico sempre più asfissiante.

Oggi ad un mese dalla disgrazia che tutto il mondo ha commentato ci siamo fermati, qualcuno di noi ha pregato, qualcun altro ha mandato un pensiero verso l’alto, alcuni si sono arrabbiati perché è passato un mese ma nulla è cambiato, altri hanno sospirato sperando di tornare indietro per cancellare il 14 agosto.

Uno dei sopravvissuti oggi ha potuto conoscere il suo bambino, si chiama Pietro, nato un mese dopo il crollo che ha sconvolto la vita del suo papà; per loro le sirene e le campane che hanno risuonato in città avranno avuto il sapore di un ricordo terribile, ma anche quello di una promessa meravigliosa.

Le risposte mancano un po’ a tutti, le domande invece affollano la mente di ciascuno.




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Non è questo il luogo dove parlare di come la politica, l’ingegneria, la burocrazia abbia gestito e gestirà una catastrofe così “troppo umana” come questa; la domanda che risuona nella mia mente è un’altra.

Come siamo arrivati ad avere così poca cura dei nostri figli? Siamo davvero così stanchi di pensare a costruire per loro un mondo solido nelle sue infrastrutture ma anche nei suoi valori? Quanto crediamo che potremmo poggiare le nostre vite su pilastri che qualcuno ha costruito molto prima di noi? E le vite dei nostri figli, dei nostri nipoti potranno ancora poggiare su quei pilastri?

Se coloro che dovevano occuparsi della manutenzione di quel ponte non lo hanno fatto, rimandando col pensiero che “per qualche anno dovrebbe ancora reggere”, mi chiedo come hanno potuto? Chiunque avrebbe potuto trovarsi su quel ponte alle 11:36 dello scorso 14 agosto. Come possiamo continuare a camminare ignorando dove poggiamo i piedi, come possiamo cascare nell’inganno che quello che conti è solo il presente?

Quando si hanno figli, quando si ama qualcuno, non si pensa forse al suo futuro? Non si ha la paura che le scelte che noi compiamo oggi condizioneranno il suo domani?

Forse è di questo che ci stiamo dimenticando, abbagliati dalla convinzione che la realtà sia dentro uno scatto, dentro un’istantanea che ci ritrae sorridenti, poco importa se la nostra vita è incompleta, se le nostre prospettive sono abbarbicate su un burrone che dà sul vuoto. Quello che conta è il presente, è l’attimo su cui puoi credere di avere il controllo.

Ma se non abbiamo più le forze per costruire il nostro futuro e per raccontare ai nostri figli che il futuro è quanto di più meraviglioso può nascere dalle radici del presente, con che coraggio attraverseremo i nostri ponti? Se coloro che si occupano delle nostre scuole, delle nostre strade, delle nostre case non penseranno al domani, domani che succederà?


NATALIYA YELINA

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I miei bambini stanno crescendo e i momenti in cui mi fermo a pensare a quello che saranno sono tanti, a volte immagino quando avranno le loro vite, le loro case, le loro famiglie e io aspetterò che la domenica vengano a pranzo da noi. Immagino che mi piacerebbe passare la settimana in attesa di quella domenica, magari comprando ingredienti per un pranzo speciale, pensando a come apparecchiare la tavola, a come accontentare i gusti di ciascuno.

Forse dovrebbe essere così, in fondo dovremmo cercare di preparare la migliore tavola possibile per i nostri figli, loro poi lo faranno per i nostri nipoti e la catena di amore incondizionato e di cura dell’altro non si spezzerà.

Dovremmo ritrovare il coraggio di raccontare ai nostri figli che il presente di questa vita non può distoglierci dal futuro di quella che speriamo di vivere per sempre.

Allora i ponti non crolleranno più.

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