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Ma come funzionerebbe il nuovo affidamento condiviso?

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 18/09/18

Il ddl Pillon sbarca in Senato e più di qualcuno ha segnalato possibili criticità

Tempo diviso a metà tra mamma e papà, salvo diverso accordo, contributo diretto alle spese del figlio, mediazione familiare per le coppie ad alta conflittualità e contrasto alla cosiddetta ‘alienazione familiare’, cioè quando un genitore allontana il figlio dall’altro. Questo è sinteticamente il cosiddetto ddl Pillon, per via del primo firmatario, il senatore leghista Simone Pillon, avvocato e mediatore familiare. Ma cosa comporterebbe nei fatti l’approvazione di questa modifica al codice civile? In sostanza molte cose (qui per approfondire) ma in particolar modo sia come si calcola l’assegno di mantenimento (niente più forfait), sia per quanto riguarda i ruoli genitoriali, sia – infine – per l’obbligo di passare per il mediatore familiare. Ed è qui che iniziano alcune perplessità.

Luci e ombre del provvedimento

Alcune di esse vengono proprio dal Forum nazionale delle Associazioni familari, che in una nota a firma del suo responsabile giuridico, Vincenzo Bassi, spiega che:

“Il disegno di legge sull’affido condiviso, in esame in questi giorni al Senato, è mosso da principi condivisibili: consentire a entrambi i genitori di essere presenti nella vita dei figli, anche dopo una separazione, evitando di ridurre uno dei due in povertà. La proposta, tuttavia, appare gravemente fragile, perché crea un non meglio specificato diritto individuale alla genitorialità che rende i bambini oggetto dei diritti dei genitori. Tutto ciò potrebbe avere delle conseguenze imprevedibili, trasformando il significato stesso della genitorialità che da ‘dono al figlio’ diventa ‘diritto individuale al figlio’. Non solo: questo disegno di legge rischia di obbligare i bambini ad accettare la convivenza con famiglie allargate e unioni diverse, nonché, imponendo modelli genitoriali rigidi, danneggia il coniuge vulnerabile che ha deciso di investire la sua vita nella famiglia. In particolare, la maternità rischia di perdere tutele importanti. Le disposizioni proposte tolgono così al giudice ogni discrezionalità di giudizio e impongono a coppie che già sono in difficoltà per ragioni diversissime tra loro, un percorso pressoché obbligato e univoco, non tenendo conto dell’unicità che contraddistingue la relazione tra coniugi. Inoltre, il testo non elimina le incertezze nell’applicazione della legge che hanno vanificato l’efficacia della legge del 2006” (Forum delle Famiglie).

Per il Forum, la nuova legge rischia di squalificare anche il ruolo dei giudici impossibilitati a scegliere per il maggior vantaggio del bambino, invece che a tutela del diritto del genitore. Non tutte le situazioni sono uguali del resto. E fanno alcune proposte migliorative:

Per cominciare – prosegue la nota – si potrebbe partire da due spunti del DDL al fine di responsabilizzare i genitori nei riguardi del vero ‘anello debole’ della questione, il bambino: l’elaborazione di un piano genitoriale concordato, che permetta al magistrato di conoscere i figli e le loro modalità di vita; la valorizzazione del genitore disponibile a stare molto tempo con il figlio. Il nostro auspicio è che i proponenti comprendano l’importanza della posta in gioco, iniziando a condividere l’iter legislativo su un tema tanto delicato.

Ad esempio, a preoccupare il Coordinamento a tutela dell’infanzia sono, l’obbligo di mediazione familiare, la netta divisione a metà del tempo da trascorrere con un genitore e con l’altro (come se non sia innanzi tutto una questione di qualità del tempo passato insieme a fare la differenza nella crescita, e non di quantità) e la previsione di sanzioni a un genitore nel caso in cui il figlio si rifiuti di vedere l’altro genitore:

pur sapendo che situazioni di manipolazione dei minori da parte di un genitore esistono, appare altamente lesivo dei diritti del minore supporre che il suo rifiuto di incontrare un genitore sia comunque da imputare al condizionamento dell’altro, non considerando invece il diritto del minore di rifiutarsi di mantenere un rapporto con un genitore che sia in vario modo inadeguato sul piano genitoriale o che lo abbia esposto a situazioni di violenza domestica” (Quotidiano Sanità).

Nuovo spazio per i padri?

Tuttavia non mancano anche aspetti e punti di vista interessanti come ha spiegato lo stesso Pillon a La Stampache «il piano genitoriale tiene conto del tenore di vita cui è abituato il figlio. Chi ha più mezzi contribuisce di più», specificando poi che la legge riconosce anche il valore del lavoro domestico: nella ripartizione delle spese, quindi, sarà considerato il valore economico del lavoro casalingo. Ogni genitore manterrà il figlio nel periodo che gli spetta: ciò comporterà, nella pratica, che il minore debba dividersi tra la casa del padre e quella della madre per un numero di giorni stabilito dal Tribunale.

Di fatto, è la direzione contraria rispetto a quella intrapresa negli ultimi decenni, che preferiva mantenere un’unica casa per non sottoporre il minore a ulteriore stress emotivo. «Non possiamo sacrificare un genitore sull’altare dell’habitat del figlio», spiega Pillon, che dimostra così di raccogliere le istanze delle più agguerrite associazioni di padri divorziati e/o separati (Donna Moderna).

Stefano Ciccone dell’associazione Maschile Plurale puntualizza: «Credo che si debba ascoltare il disagio dei padri separati, e dargli una risposta diversa, mentre qui si utilizza una sofferenza reale, il desiderio maschile di paternità, per strumentalizzarlo politicamente», e proprio per questo però non ritiene che il ddl Pillon vada nella giusta direzione, ed è per questo che assieme ad altre associazioni contro la violenza sulle donne si è mobilitato per fermare la legge.

Ha spiegato Lella Palladino, presidente di Di.Re, a La Stampa: «Ogni giorno vediamo quanto sia difficile denunciare per le donne vittime di violenza se ci sono dei figli. Con le norme del ddl Pillon la situazione non può che peggiorare: perché sono pensate per un Paese che non esiste, dove le donne sono uguali agli uomini per potere e retribuzione. L’elevato tasso di disoccupazione femminile è invece un dato di realtà».

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