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Se vivete con un malato di Alzheimer, non arrabbiatevi con lui

Opiekujesz się bliskim chorym na Alzheimera? Zadbaj także o siebie!

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Dolors Massot - pubblicato il 14/09/18

In base alla mia esperienza di figlia di un malato di Alzheimer, ecco qualche idea per chi deve combattere contro questa malattia, in prima persona o attraverso una persona cara

A mio padre è stato diagnosticato l’Alzheimer poco più di 11 anni fa. È accaduto per “caso”, perché chi andava alla visita era mia madre. Il medico, però, ha notato qualcosa di strano in mio padre e ha chiesto di rimanere solo con lui per un momento.
Quando è uscito, ci ha chiesto di portarlo urgentemente da uno specialista. È così che è iniziato tutto.

Mio padre e tutta la mia famiglia abbiamo vissuto l’Alzheimer per 7 anni. Dico che lo abbiamo vissuto perché è il malato che è affetto dalla malattia, ma la vita di chi gli sta accanto, se si vive in famiglia, viene influenzata in tutti i sensi.

Bisogna prendere decisioni, adattarsi ai cambiamenti, accettare le difficoltà, negoziare perché tutti collaborino per quanto vogliono e possono… Ma bisogna anche saper riconoscere i limiti.


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Il morbo di Alzheimer mostra la limitazione della natura umana, per quanto alcuni transumanisti parlino della “morte della morte”, ovvero dell’immortalità, nel 2050. Attuamente, quello che la mostra la scienza è che i nostri neuroni e l’organismo umano nel suo insieme invecchiano, e con l’Alzheimer lo fanno in modo irreparabile.

È importante ascoltare i medici ed essere aggiornati sulle novità che appaiono in Medicina, ma credo che sia anche essenziale, soprattutto nel caso di malattie degenerative come l’Alzheimer, IMPARARE A CONVIVERCI, perché è quello che dobbiamo fare nella vita pratica.

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Per questo motivo, mi permetto alcune riflessioni che sono semplicemente frutto dell’esperienza della mia famiglia. Ne ho parlato con persone che hanno vissuto o vivono la stessa situazione, e per questo credo che non si tratti di casi isolati né che si parli di eroismo. Anzi, direi che si tratta di “ricette casarecce”.

Eccole:

Se vivete con un malato di Alzheimer, non arrabbiatevi con lui.

Se si tratta di vostro padre o vostra madre e sapete che prima vi capiva quando gli/le spiegavate le cose e vedete che ora fa invece una faccia strana, non vi arrabbiate.

Se vi ha appena chiesto qualcosa, gli/le avete risposto e ve lo domanda di nuovo, non vi arrabbiate.

Se gli/le avete appena cambiato il pannolone perché non riesce più ad arrivare autonomamente al bagno e se l’è fatta sotto di nuovo, non vi arrabbiate.




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Se mentre stavate cambiando le lenzuola del suo letto, quando lo/la stavate muovendo come vi hanno insegnato a fare le infermiere, ha bagnato per terra e il coprimaterasso, non vi arrabbiate.

Se cercate da due ore le chiavi di casa o della macchina e lui/lei non ricorda dove le ha lasciate, non vi arrabbiate.

Se sono le tre del mattino, vi svegliate perché avete sentito un rumore ed è lui/lei che gira per casa come se fosse mezzogiorno, ha acceso il televisore e tutte le luci, non vi arrabbiate.

Se un giorno inizia a lasciarsi il cibo in bocca, tossisce, si soffoca e sputa tutto, non
arrabbiatevi.

Se vi guarda fisso, vi chiede chi siete, torna a guardavi e alla fine alza le spalle, non vi arrabbiate.

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Public Domain

Rendetevi conto che vi trovate di fronte a una persona malata che non ha scelto di far spegnere tutti i suoi neuroni.

Decidete di amare quella persona perché merita di essere amata: perché vi ha dato la vita, perché si è presa cura di voi, perché è la vostra famiglia…

Accettate che è la malattia a condurre, ma siete voi che potete far sì che questa ultima tappa della vita sia un inferno per il malato e per voi o un episodio di cui resta una gratitudine infinita da entrambe le parti.

Affrontate l’Alzheimer come una sfida. Anche se si parla di triathlon e mediaticamente i corridori sono più premiati, curare un malato di Alzheimer è cento volte più meritevole.




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Siate umili e lasciatevi aiutare quando è necessario. Imparate a riposare per potervi prendere cura della persona malata. Non è la corsa dei 100 metri – può essere la maratona o ancor di più. Cambiate l’ordine delle priorità che avevate prima della diagnosi di Alzheimer. Fare che ciò che decidete sia quello di cui in futuro sarete sempre orgogliosi. Non vi pentirete mai di aver amato.

Lavorate in squadra: genitori, fratelli, cugini, assistenti esterni, amici… La pena condivisa è meno pesante, la stanchezza e la fatica si possono distribuire un po’ e il sostegno psicologico e morale aiutano molto.

Non dite cose come “Non si può fare niente”. Ogni giorno ci sarà quello che vorrete che ci sia, a partire da ciò che detta la malattia: buonumore, cambio di piani… Dipende dal senso che date a ciò che state facendo (se siete credenti, vi aiuterà contare su Dio in ciascuna di queste giornate. Sono certa che tra non molto tempo verrà canonizzato qualcuno che si è preso cura di un malato di Alzheimer).

Se il malato di Alzheimer è credente, aiutatelo a inserire la malattia nel suo modo di intendere la vita e di praticare la fede: che possa ricevere i sacramenti, che ascolti dalla vostra bocca – quando non riesce più a esprimersi – le preghiere che recita… Noterete che ricorda le preghiere e le canzoni che recitava e cantava da piccolo.

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Shutterstock / Lighthunter

Usate l’intelligenze per imparare qualcosa sull’Azheimer: osservate la malattia come chi sta davanti a un microscopio. La vedete ogni giorno, ne constatate i progressi e le pause… Unitevi a un’associazione per far conoscere il vostro “know how”. Se potete, offritevi anche come volontario per qualche studio scientifico.

E prima che il malato di Alzheimer muoia, non dimenticate che il malato non siete voi ma lui. È lui che vive la parte peggiore, che nelle prime fasi della malattia si è reso conto che la memoria veniva meno e che non era più quello di prima, che temeva per il futuro. Aiutatelo a percorrere la strada della malattia come vorrebbe che faceste se fosse consapevole di ogni passo.




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Non vi arrabbiate con nessuno che soffre di Alzheimer. Al contrario, chiedetevi se fate tutto ciò che è in vostro potere per aiutarlo e per aiutare chi si prende cura di lui. Se ci pensate, forse potete fare più di quanto immaginate. E sicuramente prima o poi la gratitudine arriverà. Chiamatelo karma, se volte. Io la chiamo Provvidenza.

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