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“Sono diventato sacerdote contro tutti i progetti e i pronostici”. Una straordinaria testimonianza di vocazione

PRIEST,ROMAN,COLLAR
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Catholic Link - pubblicato il 13/09/18
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di Nory Camargo

Ho ormai perso il conto delle volte in cui ho chiesto a Dio “Cosa vuoi da me?”, “Cosa vuoi che faccia della mia vita?” Sicuramente molte persone si saranno poste queste stesse domande e non avranno ancora trovato una risposta.

Padre Alberto Hadad condivide in un intervento TED la sua esperienza di vita e il modo in cui ha finalmente scoperto qual era la sua vocazione. Le sue parole non sono altre che il riflesso di un cuore che ha incontrato la sua anima gemella.

Ecco alcuni dei punti che hanno attirato maggiormente la mia attenzione dopo aver ascoltato la sua testimonianza.

Tutti ci siamo chiesti qualche volta cosa fare della nostra vita

Tutti. Può essere che senza includere Dio ci siamo chiesti cosa fare una volta terminati gli studi o quando quel determinato lavoro ci ha stancati, cosa fare con quel vuoto costante che proviamo.

Padre Alberto dice che credeva di avere tutto: amici, fidanzata, famiglia, possibilità di viaggiare… Non è quello a cui puntiamo tutti? A volte la pena dell’altro allevia la nostra, e con questo non mi riferisco al fatto di gioire per la sofferenza altrui, ma di condividere una certa dose di dolore.

Ci è successo innumerevoli volte man mano che crescevamo. Quando eravamo a scuola e non avevamo fatto i compiti ci preoccupavamo, è ovvio, ma se ci rendevamo conto che non li aveva fatti neanche un nostro amico ci sentivamo sollevati, la preoccupazione diminuiva e la pena era condivisa.

Quando soffriamo per amore e uno dei nostri amici vive la stessa situzione e ha il cuore spezzato pensiamo “Ok, non sono l’unico”. Ci sentiamo sempre meglio quando condividiamo un’esperienza sia gioiosa che dolorosa con qualcuno. L’intervento di padre Alberto è proprio questo, un sollievo, un balsamo non solo per chi come lui è stato chiamato a questa vocazione, ma per tutti noi che cerchiamo costantemente delle risposte.

I miei progetti possono essere meravigliosi, ma quali sono quelli di Dio?

La maggior parte della gente pensa che i sacerdoti siano noiosi, uomini seri e disoccupati a cui è andato male qualcosa e hanno quindi deciso di isolarsi per condurre una vita “strana”, ma la vocazione al sacerdozio dev’essere rispettata, ammirata e valorizzata come quella al matrimonio o qualsiasi altra.

I progetti di padre Alberto erano simili a quelli di molti – studiare, diventare un bravo professionista, avere e successo e, perché no?, formarsi una famiglia.

Molti di noi cercano di raggiungere un certo stile di vita, fanno grandi progetti dettagliati e si sentono bene pensando che queste cose si possano realizzare, ma siamo sicuri che Dio stia assentendo con la testa mentre divaghiamo nei nostri piani? Si burlerà forse della nostra ignoranza? O forse ha messo sul nostro cammino molti segnali che non abbiamo voluto vedere?

È un tema delicato, frustrante, ma tutto funziona meglio quando ci arrendiamo e ricorriamo a Lui con l’anima stanca e assetata. Il timore di alcuni è immaginare che i progetti di Dio possano essere noiosi e quindi sia meglio fare orecchie da mercante, andare avanti come se nulla fosse, a modo nostro.

E anche se tra ascoltare e obbedire c’è un abisso, quanto è bella la vita quando ci lasciamo guidare da Dio! Quanto diventa leggero il peso! Mi sono sempre chiesta se la gente che assicura di essere assolutamente felice senza Dio si senta davvero così. Quando va a letto la sera non sente proprio che le manchi qualcosa?

Ho sentito anch’io quel vuoto di cui parla padre Alberto, moltissime volte, e credo che anche se ciascuno ha un ritmo diverso nella fede capiti a tutti in qualche momento. È come quando all’asilo l’insegnante dice “Ogni bambino è diverso, tutti avanzano a un ritmo distinto”. Dio ci vede così, come bambini piccoli che vogliono avere tutto ma che hanno bisogno di qualcuno che li porti per mano.

Perché pur avendo tutto mi sento solo?

Il 90% della gente potrebbe non ammetterlo, a nessuno piace far sapere agli altri che si sente solo quando apparentemente non gli manca niente. Forse alcuni muoiono senza arrivare ad accettare che quel vuoto, quel non so che si agitava nel loro cuore, era Dio.

Apparentemente può andare tutto bene, le feste del sabato sera possono rendermi felice per qualche ora, l’alcool o le droghe possono far dimenticare la tristezza, ma fino a quando si riesce ad anestetizzare i sentimenti?

Padre Alberto dice una cosa che mi sembra fantastica: “Non c’è dubbio sul fatto che Dio ci parli”. Lo fa non scendendo dal cielo indossando un abito bianco splendente, ma attraverso le persone che ci circondano – ci parla quando nostra madre ci consiglia con amore, quando nostro padre ci conforta, quando un amico ci abbraccia, quando il partner ci dice “Ti amo” o quando l’affamato ci chiede del cibo.

Dio si manifesta nella quotidianità dei nostri giorni e noi siamo ciechi e sordi. Descrivere perché siamo venuti al mondo sembra un compito impossibile, e bisogna accettare che alcuni sono nati con una missione chiara mentre altri vanno alla ricerca, cadendo e risollevandosi, e per altri ancora non è arrivato il momento di saperlo. La sicurezza con cui padre Alberto parla del suo incontro con Dio può servire a tutti noi come stimolo a trovare la nostra vocazione.

“Non mi pento neanche per un attimo della mia scelta, non mi pento del fatto che mi abbiano detto che ero pazzo o di non essere il figlio che volevano i miei genitori”.

Se viviamo nel dilemma esistenziale di non sapere che strada prendere, ricordiamo che non siamo stati noi a scegliere Dio, ma è Lui che sceglie noi. Non ci deve importare che gli altri ci considerino pazzi o ci raccomandino di fare un salto dallo psichiatra. Le parole del padre del sacerdote sono state sicuramente le più sagge: “Non ti capisco, non sono d’accordo, ma ti sosterrò”.

“Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Giovanni 15, 16).

Condividete questo post con tutti quegli amici e familiari a cui manca una buona dose di motivazione, forse non per diventare sacerdoti ma per ripianificare il loro rapporto con Dio.

 

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