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“Tribolazione” e “accanimento”: ecco perché il Papa ha deciso di non rispondere a chi lo accusa

pope francis wim wenders

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 05/09/18

Francesco si sta comportando da gesuita. La sua non è una posizione di debolezza. Ma mira a far uscire fuori la diabolicità di chi oggi prova a gettargli contro rabbia e rancore

La cronaca di questi giorni che ha visto intrighi, polemiche, veleni nei confronti di Papa Francesco sul tema degli abusi sessuali nel clero, ci riporta indietro di qualche mese.

Quella risposta di Bergoglio ai giornalisti per gli attacchi subiti da monsignor Carlo Maria Viganò, «Io non dirò una parola su questo», affonda le radici in una riflessione del Papa, pubblicata a maggio da “La Civiltà Cattolica” (quaderno 4029).

Silenzio di riflessione

La rivista dei gesuiti, in un momento rovente per lo scandalo dei preti e dei vescovi in Cile, rese pubblica la “Dottrina della Tribolazione” su cui trent’anni fa, Bergoglio propose alcune considerazioni molto interessanti e attuali.

Che spiegano perché Papa Francesco sta mantenendo una linea del “silenzio” rispetto ai violenti attacchi che gli vengono inflitti quasi quotidianamente. Il suo non è un silenzio assenso, né un silenzio che vuole ignorare le accuse: ma un silenzio che potremmo definire di “riflessione”.


CARLO MARIA VIGANÒ

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Tribolazione e accanimento

A quelle lettere di Bergoglio sulla Tribolazione di cui parleremo, Padre Diego Fares, sempre su “La Civiltà Cattolica“, allegava un saggio sul cosiddetto “Spirito di accanimento”.

Tribolazione e accanimento, infatti, sono due temi che si innestano l’uno con l’altro. Scriveva Fares:

«Lo spirito di accanimento è demoniaco, nel senso che è contrario alle leggi della natura: non soltanto distruttivo, ma autodistruttivo. È contagioso e genera effetti nocivi a livello sociale: abbandono, sentimenti di sconforto e spaesamento, confusione. E poiché si nasconde e si confonde all’interno di altri fenomeni, è necessario esporlo alla luce del discernimento spirituale per non sbagliarsi sul modo di resistergli: è possibile, per esempio, cadere nel contagio del suo dinamismo perverso, pur combattendone alcuni effetti».

Meno sangue

Un altro elemento da considerare è che, secondo Fares, «sebbene possa sembrare che la crudeltà umana sia sempre stata la stessa e che con la civiltà ormai certe cose non accadano più, in realtà è vero il contrario: man mano che la tecnologia diviene più sofisticata, lo spirito di accanimento si fa ogni giorno più crudele negli effetti e più “politicamente corretto” nelle modalità. Non è sintomatico il fatto che tendiamo a giudicare un missile telecomandato meno feroce di una cruenta lotta corpo a corpo?»

Il fatto che “si veda meno sangue” «non significa che lo spirito di ferocia sia inferiore; anzi, esso diventa più preciso, più sistematico e più disumano».




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La persecuzione mediatica

Legato allo spirito di accanimento, c’è il tema della “persecuzione mediatica”.

«Il fatto – dice Fares – che lo spirito di accanimento rimanga nell’ambito delle parole e che la violenza non giunga alle mani – ma, al massimo, si manifesti nel tono e in alcuni gesti – non significa che siamo usciti dalla sfera dell’accanimento e che ci troviamo su un piano di civiltà. Tutto il contrario! Proprio nella violenza verbale, nella menzogna, nella calunnia, nella diffamazione, nella detrazione e nel pettegolezzo lo spirito di accanimento si rintana, e da lì domina».

“Grovigli” e “nodi”: così si sciolgono

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Bergoglio, nelle “Lettere sulla Tribolazione” afferma: «In momenti di oscurità e grande tribolazione, quando i “grovigli” e i “nodi” non si possono sciogliere, e neppure le cose chiarirsi, allora bisogna tacere: la mansuetudine del silenzio ci mostrerà ancora più deboli, e allora sarà lo stesso Demonio che, facendosi baldanzoso, si manifesterà in piena luce, mostrerà le sue reali intenzioni, non più camuffato da angelo della luce, ma in modo palese».




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“Controsenso”

Accanirsi nel dialogo, secondo il Papa, «è un controsenso».

«[…] Se dietro l’apparenza del dialogo si mira esclusivamente a ottenere l’assenso e si vuole imporre il proprio punto di vista o si disprezza ciò che dice l’altro, il dialogo non c’è. L’accanimento non è frutto dell’istinto, ma è frutto di una logica, quella del «padre della menzogna» (Gv 8,44), e lo si combatte con un’altra logica, quella della verità, come Gesù la attesta nel Vangelo e lo Spirito Santo la discerne in ogni situazione. La logica dell’incarnazione è opposta alla logica dell’accanimento» (Aleteia, 8 maggio).

La via maestra

Dunque, quando si solleva un polverone di tribolazioni e dubbi, il Papa scandisce una “via maestra”.

Cioè scansare le tentazioni che passano per la testa di chi subisce un attacco violento (come ad esempio: perdersi in discussioni, non dare la debita importanza alle questioni, rimuginare la desolazione, fare la vittima, cercare una facile via d’uscita), fermarsi e chiedere «vergogna e confusione» per i propri peccati ed errori.

È così che, secondo Bergoglio, «ci si pone nella migliore disposizione per fare discernimento».


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L’inutilità dello scontro

Non è una posizione di debolezza, ma la chiave per uscire dalla palude dello scontro frontale.

«Una volta – racconta Francesco – un religioso, riferendosi a una situazione concreta particolarmente difficile, ha detto: “Mi sono reso conto che questa era una guerra tra Dio e il Diavolo. E se noi uomini imbracciamo le armi, siamo destinati alla distruzione”».

La volontà di Dio

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Quindi, «davanti alla gravità di quei tempi, all’ambiguità delle situazioni che si erano create, il gesuita doveva discernere – ammoniva Bergoglio – doveva ricomporsi nella sua appartenenza (..) Doveva “cercare per trovare” la Volontà di Dio, e non “cercare per avere” una via d’uscita che lo lasciasse tranquillo».

E la volontà di Dio non sarebbe mai stata quella di scatenare una guerra distruttiva scagliandosi reciprocamente fango, fino a distruggersi l’un l’altro.


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Mai entrare nella contrapposizione

Il segno di aver fatto un buon discernimento, concludeva Bergoglio, il gesuita «l’avrebbe avuto dalla pace (dono di Dio), e non dall’apparente tranquillità di un equilibrio umano o di una scelta in favore di uno degli elementi in contrapposizione» (Aleteia, 4 maggio).

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