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Ci sono tra noi maestri sublimi. Siedono sulla cattedra della croce

MANO, RAGAZZA, AIUTO

Rémi Walle | Unsplash

don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 05/09/18

I sofferenti devono essere la nostra priorità perché sono loro la carne viva di Cristo e in loro splende misteriosamente anche la Sua gloria. Aiutiamo chi soffre, serviamo il Signore!
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea. (Dal Vangelo di Luca 4,38-44)

“In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagòga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva”. Come si può entrare in una casa e rimanere indifferenti alla sofferenza che vi è dentro? Come ci si può sedere a tavola di una famiglia e ignorare che nella stanza accanto c’è a letto una persona che soffre? Eppure molte volte il nostro modo di essere Chiesa è davvero molto miope. Ci prendiamo sempre la parte migliore e vincente della società, dimenticando che la nostra priorità devono averla i sofferenti. A tutti piace un gruppo giovani, ma a pochi piace perdere tempo nelle case degli anziani. A tutti piacciono le famiglie felici, ma pochi si domandano cosa si potrebbe fare per tutte le ferite familiari che si consumano nel silenzio. A tutti piacciono i bambini vivaci che ti rallegrano la giornata, ma pochi sono disposti a prendersi a cuore bambini con disturbi o gravi forme di handicap. Eppure devo testimoniare che molte volte scherzando con qualche prete ci diciamo “possibile che tutti i casi più disperati vengono in parrocchia da noi?”. Ebbene sì, vengono da noi perché Gesù ci ha insegnato che c’è sempre posto per la “suocera di Pietro” nel nostro stare insieme come Chiesa. Dobbiamo come Gesù “chinarci”, ed essere Chiesa così. La guarigione non consiste per forza o prioritariamente nel togliere un problema, ma nel farlo smettere di essere una prigione. C’è un servizio che può scaturire anche dalla sofferenza. Un apostolato che può essere fatto solo da chi soffre, da chi si trova su una cattedra scomoda che è quella della croce. C’è un rimettersi in piedi che coincide con una ripresa di libertà che nella solitudine a volte si perde. La vicinanza di Gesù guarisce/libera quella donna. Non dovremmo essere anche noi cosi? Non dovremmo anche noi “chinarci”, prendere per mano, accompagnare chiunque si sente prigioniero di quella febbre che è l’infelicità? (Lc 4,38-44)

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