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4 milioni di bambini rifugiati non vanno a scuola

VENEZUELANS

Antonio Cruz-Agência Brasil-(CC BY-NC 2.0)

Paul De Maeyer - pubblicato il 31/08/18

Rivelazioni dell’ultimo rapporto dell’agenzia ONU

Nel mondo, circa quattro milioni di bambini rifugiati non hanno accesso all’istruzione, un incremento di mezzo milione nell’arco di un solo anno. Senza calcolare i bambini profughi palestinesi, il numero rappresenta più della metà dei 7,4 milioni di rifugiati in età scolastica. A rivelare i dati è il nuovo rapportoTurn the Tide: Refugee Education in Crisis, reso pubblico mercoledì 29 agosto dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) [1].

Secondo le stime dell’agenzia ONU, a fine 2017 nel mondo c’erano 25,4 milioni di profughi, dei quali quasi 20 milioni (19,9 milioni) sotto il mandato dell’ACNUR. Poco più della metà, ossia il 52%, erano minorenni, di cui quindi 7,4 milioni in età scolare.

Anche se nel 2017 mezzo milione di bambini sono stati iscritti a scuola, le iscrizioni non riescono a tenere il passo con la popolazione di rifugiati “in rapida crescita”, e questo nonostante gli sforzi della comunità internazionale, così osserva il rapporto.


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Percorso scolastico

Il documento evidenzia inoltre che solo il 61% (vale a dire meno di due terzi) frequenta la scuola elementare, rispetto a ben il 92% dei bambini globalmente. Questo divario aumenta man mano che crescono i bambini.

Quasi due terzi dei bambini profughi non riescono a fare il passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria. Infatti, solo il 23% — quindi meno di un quarto — dei bambini rifugiati frequenta la scuola secondaria, rispetto all’84% dei bambini nel mondo, così rivela il rapporto.

Per quanto riguarda poi il terzo livello della formazione, questo divario diventa un vero e proprio “abisso”, così constata il documento dell’ACNUR (o UNHCR in sigla inglese). Mentre a livello globale il tasso di partecipazione nell’istruzione superiore è del 37%, tra i giovani rifugiati è fermo all’1%, una percentuale rimasta “invariata negli ultimi tre anni”, osserva il rapporto Turn the Tide.

Se in generale bambini rifugiati hanno quindi meno opportunità per studiare rispetto ai loro coetanei non profughi, questo vale in particolare per i Paesi a basso reddito, che sono affetti “in modo sproporzionato” dai flussi di rifugiati, continua il documento.

Secondo il rapporto, nel 2017 le regioni in via di sviluppo hanno ospitato ben il 92% dei rifugiati in età scolare. “Nei Paesi a basso reddito, meno della metà dei bambini rifugiati in età scolare primaria va a scuola”, così ricorda il documento ONU. “A livello secondario, solo l’11% ha la stessa opportunità.”

Le bambine rifugiate

Gli autori del rapporto si sono soffermati anche sulla situazione delle bambine o ragazze rifugiate, costrette ad affrontare “ancora maggiori ostacoli all’educazione”. In Kenya e in Etiopia, ci sono solo sette ragazze per ogni dieci ragazzi nell’educazione primaria e addirittura solo quattro ragazze su ogni dieci ragazzi in quella secondaria.

“Se ragazze rifugiate possono ottenere un’istruzione, le loro famiglie e comunità hanno maggiori probabilità di migliorare la loro posizione sociale ed economica”, così ricorda il rapporto. Del resto, un anno extra di educazione scolastica può far crescere anche del 20% le entrate di una donna, continua il documento.

Se tutte le donne ricevessero un’istruzione primaria, i decessi infantili per malattie come diarrea, malaria e polmonite diminuirebbero, spiegano gli autori del rapporto. Per quanto riguarda la diarrea, che costituisce la terza causa di mortalità infantile, i decessi scenderebbero dell’8% se tutte le madri completassero l’istruzione primaria e addirittura del 30% se avessero avuto accesso a quella secondaria.


SERENA DAMICO

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Esposti agli elementi

La realtà quotidiana dei bambini rifugiati che hanno la fortuna di poter andare a scuola spesso non è facile. Manca infatti un po’ di tutto, dai libri di testo alle aule scolastiche. “Quando piove si bagna tutto”, così osserva il 14enne Irahoze Diello, fuggito dal Burundi e che vive ora nel campo profughi Nduta, in Tanzania.

Irahoze è uno dei circa 200 bambini rifugiati della Furaha Primary School, dove l’insegnamento si svolge infatti semplicemente all’aperto. Nella scuola si registra anche un “preoccupante” gender gap o divario tra i sessi: infatti, per ogni bambina ci sono tre alunni maschi.

Ai bambini dei campi profughi o insediamenti informali a Cox’s Bazar, in Bangladesh, dove vivono in condizioni precarie più di 700.000 rohingya fuggiti dal vicino Myanmar (ex Birmania), tocca invece affrontare le spesso devastanti piogge monsoniche.

Ma i bambini, come la 12enne Minara, non si lasciano scoraggiare, perché la loro permanenza nell’insediamento di Kutupalong offre comunque un’opportunità: per la prima volta nella loro vita possono andare a scuola, anche se è solo improvvisata. I profughi in Bangladesh infatti non hanno accesso all’educazione formale, ricorda l’ACNUR.

DAFI, IKEA…

Nel suo rapporto, l’agenzia ONU sottolinea anche l’importanza delle partnership non solo con i governi o con le organizzazioni umanitarie e le ONG per lo sviluppo, ma anche con il settore privato.

Tra le varie iniziative, Turn the Tide menziona il programma tedesco DAFI (la sigla sta per Deutsche Akademische Flüchtlingsinitiative Albert Einstein), il quale eroga borse di studio a giovani riconosciuti come rifugiati per continuare gli studi superiori nei Paesi in cui hanno trovato asilo. Avviata nel 1992 in collaborazione con l’ACNUR, l’iniziativa ha accompagnato già più di 14.000 giovani, fra cui la somala Hawo Jehow Siyad.

Arrivata nel 2000 nel campo profughi Dadaab in Kenya, Hawo ha avuto l’opportunità di concludere la scuola primaria e quella secondaria nel campo. Grazie ad una borsa di studio della DAFI, si è laureata poi all’Università di Nairobi. Hawo è tornata nel suo Paese d’origine, dove oggi lavora come database officer.

Un altro esempio di partenariato è quello tra l’ACNUR e l’IKEA Foundation, che ha permesso nel 2012 l’avvio di un programma di microcredito per profughi nel woreda (distretto) di Dollo Ado, nella regione dei Somali, nell’Etiopia sud-orientale, vicino al confine con la Somalia.

Grazie all’accordo con la fondazione svedese, a fine 2017 andavano a scuola 47.000 bambini profughi, più del doppio rispetto al 2012. A inizio 2018 è stato inaugurato un centro di formazione per insegnanti, dove 200 studenti etiopi e 23 studenti rifugiati si preparano per diventare insegnanti. I primi dovrebbero prendere il diploma nel 2020.




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Le parole dell’Alto Commissario ONU per i Rifugiati

Nell’introduzione al documento, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, spiega che “l’educazione è un modo per aiutare i giovani a guarire, ma è anche il modo di far rivivere interi Paesi”. “Senza istruzione — così avverte il diplomatico italiano –, il futuro di questi bambini e delle loro comunità sarà irrimediabilmente danneggiato.”

Mentre ricorda che i profughi trascorrono ormai spesso vari anni e persino decenni in esilio, a volte anche l’intera infanzia e gioventù, “la scuola è il primo posto dopo mesi o addirittura anni nel quale i bambini rifugiati trovano una qualche normalità”, afferma Grandi. Anche se bambini sono “straordinariamente resilienti”, servono investimenti urgenti per evitare che centinaia di migliaia di minori diventino parte di “queste inquietanti statistiche”.

Nell’introduzione, l’Alto Commissario ONU lancia anche un appello alla comunità internazionale per includere i bambini profughi nei sistemi educativi nazionali dei Paesi ospitanti, poiché “l’educazione è uno dei modi più importanti per risolvere le crisi del mondo”, così dichiara.

*

1] Il nuovo rapporto è il terzo dedicato dall’ACNUR al tema dell’istruzione. Il primo, intitolato Missing Out, è stato pubblicato nel 2016. Il secondo era Left Behind ed è stato diffuso l’anno scorso.

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