Se pensate che conti soprattutto memorizzare le preghiere e le risposte del Catechismo vi sbagliate di grossoÈ oggi diffusa un’accentuata preoccupazione di migliorare la preparazione alla Prima Comunione. È giusto e necessario, perché finora è stata piuttosto fragile. Il risultato è che centinaia di bambini fanno la Prima Comunione e chiudono lì la propria vita cristiana, quando quell’evento avrebbe dovuto esserne solo l’inizio.
In questo modo non diamo loro:
• una vera nozione della vita cristiana;
• il senso di Dio, per la cui gloria viviamo;
• la responsabilità dei doveri cristiani;
• una conoscenza viva delle vie da percorrere;
• l’iniziazione alle grandi abitudini cristiane;
• il desiderio dell’Eucaristia.
Non li prepariamo di modo che si possa avere qualche garanzia di perseveranza, senza la quale, dice Cristo, non è possibile la salvezza: “Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato” (Mt 10, 22).
Per questo, il rimedio è una buona preparazione, che bisogna impartire oggi più che mai per non portare avanti questi risultati scoraggianti, che raggiungono purtroppo proporzioni sempre maggiori.
La buona preparazione di un bambino alla Comunione non richiede di:
• conoscere a memoria molte risposte del Catechismo
• conoscere a memoria molte preghiere
• conoscere i nomi dei principali misteri della fede,
ma che il piccolo:
• conosca davvero (ovvero senza limitarsi a ripetere parole e frasi che non capisce) le principali verità della religione, in modo proporzionato alle sue capacità;
• sia iniziato consapevolmente alle grandi abitudini della vita cristiana:
• stato di grazia
• preghiere quotidiane
• Messa di precetto
• desiderio di rispettare i Comandamenti
• fede viva
• obbedienza alla Chiesa
• avere il senso di Dio e di Cristo;
• conoscere e desiderare l’Eucaristia;
• avere la disposizione a perseverare nella vita cristiana dopo la Prima Comunione.
La buona preparazione deve essere:
• preoccupata di formare il cristiano, più che di dargli nozioni;
• vitale, per infondere abitudini per tutta la vita cristiana;
• pratica, perché la dottrina appresa si traduca in azioni;
• lunga, perché queste azioni si consolidino diventando abitudini;
• orientata a un ideale che si estinguerà solo con la vita.
Solo così riusciremo a formare veri cristiani con la coscienza retta e sensibile, responsabili davanti a Dio, capaci di agire in modo personale e spontaneo; di riflettere e giudicare con criteri cristiani; di controllare le passioni; di orientare a Dio tutta la loro vita.
Una preparazione di questo tipo è stata sempre necessaria, e lo è ancor di più oggi che abbondano le influenze contro la fede e la vita cristiana e la stessa azione della famiglia contribuisce solo raramente a offrire al bambino l’ambiente di cui ha bisogno per la propria crescita soprannaturale.
Quando un bambino ha una famiglia cristiana e impara giorno dopo giorno ad essere cristiano nel modo più efficace possibile, alla luce dell’esempio dei genitori e dei fratelli, gettando radici profonde di vita spirituale, basterà una preparazione di due o tre mesi perché si ha la certezza che la formazione cristiana continuerà, garantendo così la perseveranza.
Quando, però, il bambino viene da una famiglia decristianizzata o da cristiani solo di nome, senza radici, senza senso cristiano, senza abitudini religiose, non vedo come sia possibile realizzare in meno di un anno una formazione che dia una speranza di iniziazione seria alla vita cristiana e di perseveranza in essa.
Visto che oggi, purtroppo, la norma non sono le famiglie di bravi cristiani, facciamo una formazione di due anni, più breve per le eccezioni, ovvero i figli di famiglie realmente cristiane, che grazie a Dio esistono.