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Cos’è la riparazione, e perché è la risposta migliore che possiamo dare al male?

WOMAN,ROSARY

Fischer Twins | CC0

Nicholas Senz - pubblicato il 28/08/18

La parola risale al termine latino per indicare il “rendere pronti di nuovo”. È il modo in cui rendiamo noi stessi e il nostro mondo pronti per la guarigione

Di fronte a mali terribili ci sentiamo spesso impotenti. “Cosa posso fare? Come posso aiutare?” La cosa forse più tremenda che possiamo fare è facile da dimenticare, perché non possiamo vederne i risultati con i nostri cinque sensi: compiere atti spirituali di riparazione per questi peccati. Ore sante, un Rosario extra, il digiuno – sono tutti modi in cui possiamo aiutare a guarire le ferite provocate al Corpo di Cristo da crimini terribili.

“Riparazione” deriva dal termine latino “reparare”, che significa “rendere pronti di nuovo”. Quando compiamo una riparazione nei confronti di Dio, stiamo rendendo le nostre anime, e il mondo, nuovamente pronte a ricevere la sua grazia. È come coltivare il terreno.

Ma come funziona esattamente? Come posso fare qualcosa per riparare al male compiuto da qualcun altro? E nell’affrontare i mali del mondo, cosa possiamo fare che Cristo non ha fatto?

Le risposte a entrambe le domande si ritrovano nella definizione che avete probabilmente trascurato nel primo paragrafo: il Corpo di Cristo.

Mediante il nostro Battesimo, i cristiani rinascono come nuove creature in Cristo e diventano parte di Lui – Egli vive in noi, e noi viviamo in Lui. Egli è il nostro capo e noi siamo il suo corpo, come afferma splendidamente San Paolo nella sua Lettera agli Efesini.

E allora, visto che siamo tutti uniti nel corpo mistico, le nostre azioni influiscono sugli altri a livello spirituale, nel bene e nel male. I miei peccati feriscono non solo me stesso, ma l’intero corpo. Il sacerdote, agendo nella persona di Cristo e come rappresentante di tutta la Chiesa, mi riconcilia in questo sia con Dio che con la Chiesa stessa.

Gesù ci ha guadagnato la salvezza, e noi assumiamo l’effetto di questa espiazione mediante il Battesimo e la Riconciliazione, in cui la grazia ottenuta dalla Croce è resa a noi disponibile. Il Battesimo ci permette anche di cooperare alla nostra santificazione, al nostro essere costruiti nella santità – e non solo per noi stessi, ma per tutta la Chiesa e per il mondo intero – unendo le nostre azioni al sacrificio di Cristo.

Possiamo compiere i nostri sacrifici personali, i nostri atti per riparare alle ferite provocate dal peccato nel mondo, e in virtù dell’essere cristiani, e unendo le nostre azioni a quelle di Cristo, i nostri atti diventano realmente efficaci. Da soli non possiamo fare nulla, ma possiamo tutto in Cristo, perché agiamo mediante la sua forza (cfr. Filippesi 4, 13).

Questo ci aiuta a capire uno dei passi più complicati del Nuovo Testamento. In Colossesi 1, 24, San Paolo scrive: “Ora sono lieto di soffrire per voi; e quel che manca alle afflizioni di Cristo lo compio nella mia carne a favore del suo corpo che è la chiesa”. Cosa poteva mancare nell’opera di Gesù? La nostra partecipazione! San Paolo unisce la propria sofferenza a quella di Cristo e la offre per la Chiesa.

San Tommaso d’Aquino ha commentato in modo splendido questo passo: “Completo, ovvero aggiungo la mia parte, e lo faccio nella mia carne, ovvero sono io a soffrire. Potremmo dire che Paolo stesse completando le sofferenze che mancavano nella propria carne, perché ciò che mancava era che, come Cristo aveva sofferto nel proprio corpo, così doveva anche soffrire in Paolo, suo membro, e in modo simile negli altri. E Paolo lo fa per il bene del suo corpo, che è la Chiesa che doveva essere redenta da Cristo”.

Nella sua omelia su questo passo, San Giovanni Crisostomo nota che offrendo la sua sofferenza San Paolo “dimostra quanto sia profondamente innamorato”, nato con Cristo, il capo, e la Chiesa, il Suo Corpo. È agire con l’amore di Dio, l’agape, per assumere la sofferenza per il bene di un altro. Come Cristo ha offerto per amore le sue sofferenze per il nostro bene, così per amore e uniti a Cristo anche noi possiamo offrire le nostre sofferenze per il bene degli altri.

E allora, quando vediamo soffrire la nostra Chiesa il nostro amore per Cristo e per la Sua Sposa ci spinge a soffrire per suo conto, a offrire le nostre prove e tribolazioni per il suo bene. Ci sono tante cose che possiamo fare, dal partecipare all’adorazione o recitare il Rosario a digiunare o a chiedere intenzioni per la Messa a questo proposito. Quando uniamo le nostre azioni all’opera salvifica di Cristo, diventano non solo nostre, ma Sue, e quindi efficaci.

Quando ci sentiamo impotenti di fronte al male, dobbiamo comunque fare ciò che è in nostro potere e ricordare quanto possa essere efficace.

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