Costruiva abbazie, collaborava con Carlo Magno, ma trovava il tempo di cucinare per i confratelli: perché chi comanda è al servizio
Benedetto di Aniane è un personaggio importante nella storia del monachesimo e, di riflesso, dell’Europa: è colui al quale Carlo Magno affida il compito di riformare i monasteri dell’Impero, stabilendo che la regola benedettina sia applicata a tutti. In una sua biografia che ne esalta, come si può immaginare, le virtù, leggiamo: «Egli ora collaborava con i confratelli intenti alla costruzione, ora cucinava il vitto per il loro nutrimento; contemporaneamente trovava il tempo di scrivere un libro di cucina.»

Che immagine: un uomo santo che costruiva abbazie, coordinava la riforma monastica, fidato collaboratore dell’imperatore Carlo Magno, e che trovava anche il tempo di cucinare per i confratelli e di scrivere ricettari: “contemporaneamente”, come scrive il suo agiografo. E poi noi moderni crediamo di avere inventato il multitasking. Ma la cosa più curiosa è che questo aspetto veniva considerato degno di essere segnalato ai posteri, in un libro scritto per l’edificazione dei lettori.
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In realtà, essere bravo nel lavoro in cucina è sintomo di precisione, disciplina, costanza e applicazione. La cucina ha le sue regole e devono essere rispettate. C’è una procedura, i gesti devono essere compiuti in un ordine ben preciso, le fasi devono essere rispettate. E poi bisogna coordinarsi con gli altri: i monasteri del medioevo avevano decine, a volte centinaia (non esagero) di monaci, poi c’erano i pellegrini, gli ospiti anche illustri. Potete immaginare quanto lavorava la cucina, quanti monaci vi erano impiegati: bisognava collaborare, organizzare la corvée, rispettare la tempistica del gruppo, ubbidire alla disciplina, avere pazienza con i novellini, spronare i pigri, insegnare ma anche saper sfruttare i talenti e accettare le novità.
La cucina è una palestra di vita, è generosa laboriosità applicata a vantaggio del prossimo, e ben lo sanno quei formatori aziendali che organizzano corsi di team building per manager proprio facendoli cucinare insieme. C’è chi organizza incontri formativi in cucina anche per fidanzati e coniugi.
In un certo senso, non si sono inventati nulla, già lo facevano secoli fa i monaci, che consideravano la cucina il luogo ideale per insegnare l’umiltà e il servizio, la disciplina e l’ordine, ma anche la creatività, l’innovazione, la voglia di fare gruppo e di condividere successi e crescita. Per questo San Benedetto aveva previsto che: «Nessuno sia dispensato dal servizio in cucina» (Regola XXXV). C’erano monaci agricoltori, amanuensi, scultori, architetti, farmacisti, teologi e letterati. Ma a tutti toccava, di tanto in tanto e per la durata di una settimana, la corvée in cucina.

E in famiglia? Da piccola avevo ricevuto in regalo il libro: “La piccola cuoca” di Lisa Biondi. Un bijou! Un libro pieno di illustrazioni e simpatiche ricette alla portata di una bambina. Con ogni tanto la dovuta raccomandazione: “In questo passaggio fatti aiutare dalla mamma”. Un modo per appassionare alla cucina la donnina di casa. Mi divertivo a guardare mia nonna che faceva le torte, la aiutavo a sbattere le uova e lo zucchero con il frullino (quello a mano!) , di nascosto mangiavo un po’ di pasta frolla cruda: era buonissima! Lei si arrabbiava, diceva che mi sarebbe venuto il mal di pancia, non so se fosse vero o se semplicemente si arrabbiasse perché le portavo via l’impasto di cui aveva bisogno per la crostata o la torta di ricotta. Mi sono lentamente appassionata alla cucina, era bello collaborare al risultato, c’era soddisfazione.
Oggi in alcune famiglie le mamme non cucinano, figuriamoci se invitano i figli a farlo. Meglio comprare cibi pronti, da scaldare al forno (o meglio al microonde, si fa prima), e consumare davanti alla TV.