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Il modello australiano sull’immigrazione clandestina (al di là dello slogan ‘No way’)

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©AFP PHOTO / SAFIN HAMED

A handout photo taken on April 7, 2014 and released on April 8 by Australian Defence shows a fast response craft manned by members of ADV Ocean Shield's crew and Navy personnel pass by the starboard side of the ship as the boat searches the ocean for debris from missing Malaysia Airlines Flight MH 370 in the southern Indian Ocean. The hunt for underwater signals from missing Flight MH370 is likely to continue for days before a robot submersible is deployed to comb the seabed, the Australian search chief said on April 8, 2014. AFP PHOTO/AUSTRALIAN DEFENCE/LSIS BRADLEY DARVILL ----EDITORS NOTE ----RESTRICTED TO EDITORIAL USE MANDATORY CREDIT "AFP PHOTO/AUSTRALIAN DEFENCE/LSIS BRADLEY DARVILL" NO MARKETING NO ADVERTISING CAMPAIGNS - DISTRIBUTED AS A SERVICE TO CLIENTS / AFP PHOTO / AUSTRALIAN DEFENCE / LSIS BRADLEY DARVILL

Agi - pubblicato il 25/08/18

Per il ministro dell'Interno Salvini è quello che dovrebbe fare anche l'Italia: come funziona la Pacific Solution

L’Australia ha una legislazione tra le più rigide al mondo riguardo agli immigrati e ai richiedenti asilo. Vige la cosiddetta “Pacific Solution”: tutti coloro (senza distinzione tra adulti e bambini) ai quali non viene riconosciuto lo status di rifugiato politico sono respinti o deportati. Entrare illegalmente in Australia è impossibile, chi ci prova è arrestato e trasferito nei centri di detenzione delle isole di Manu, in Papa Nuova Guinea e nello Stato australiano di Nauru.

Nonostante siano in pieno ocesano Pacifico, in suolo offshore, le isole sono gestite dal governo di Canberra, che qui trasferisce e i richiedenti asilo e li trattiene in campi di detenzione in attesa di esaminare le loro domande. Due centri di detenzione che l’Onu e Amnesty International hanno più volte denunciato per le condizioni disumane in cui versano i migranti.

Nelle promesse del governo di Canberra, i centri di detenzione dovevano essere composti da case confortevoli. In realtà sono vere e proprie prigioni, nelle quali donne, uomini e bambini – per lo più provenienti da Iran, Iraq, Sri Lanka e Afghanistan – vivono in spazi ristretti e in condizioni difficili.

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Molte volte le Ong hanno cercato di documentare e denunciare quanto accade sulle due isole, ma inutilmente. L’ultimo appello delle Ong è di oggi, e parla di 119 bambini detenuti a Nauru e in condizioni di disagio psicologico che sfociano in atti di autolesionismo. Un dodicenne in sciopero della fame, secondo le ong, versa in gravi condizioni.

Situata nell’oceano Pacifico, a Nord-Est dell’Australia, Nauru è la più piccola Repubblica al mondo (21 chilometri quadrati) e ha all’incirca 10 mila abitanti. La si può considerare la “Guantanamo dell’Oceania”. Ospita due tendopoli recintate, Topside e Campside, entrambi nel distretto di Meneng, da anni al centro di polemiche per la situazione dei profughi.

Amnesty International ha più volte chiesto la chiusura dei campi e l’ex commissario dell’integrità Philip Moss rivelò nel 2015 le pessime condizioni di vita e gli abusi quotidiani. Nello studio si riferisce di aggressioni e stupri a donne e bambini, violenza sessuale in cambio di un accesso alle docce, ed episodi di autolesionismo. Nelle tendopoli, i rifugiati sono all’interno di tende in vinile che non garantiscono alcuna privacy.

Nelle giornate di sole le temperature al loro interno possono raggiungere i 40 gradi centigradi mentre in giorni di pioggia si allagano velocemente. L’economia della piccola isola di Nauru si basava principalmente sull’esportazione di fosfato, di cui era molto ricca. Le numerose miniere di superficie hanno però devastato il terreno, rendendo incoltivabile circa l’80 per cento.

Alla fine del ventesimo secolo le riserve del Paese erano quasi esaurite. Questa situazione portò il piccolo Stato a firmare l’accordo nel 2001 con l’allora premier australiano John Howard: Nauru accettava di ospitare un centro detenzioni per richiedenti asilo in Australia in cambio di aiuti economici.

L’iter burocratico per i richiedenti asilo può durare anche 18 mesi ma, nonostante venga riconosciuto lo status di rifugiato, nella maggior parte dei casi il titolare non può lasciare l’isola e si trova a vivere insieme alla comunità locale senza alcun diritto e quindi emarginato.

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