Dal punto di vista clinico, gli organi collassati erano nove: il sistema nervoso, il fegato, il sangue e la coagulazione, la cute, gli apparati cardiovascolari, respiratorio, gastrointestinale, endocrino e urinario.
Le statistiche
«Era del tutto naturale ipotizzare che queste condizioni avrebbero determinato o il decesso o, nella migliore delle ipotesi, dei danni irreparabili agli organi nobili», ha sostenuto il nefrologo Pietro Gerardo Violi, dettagliando che «la letteratura internazionale, valutando la percentuale di mortalità dell’insufficienza multi organo, si ferma nella casistica all’interessamento di cinque organi, perché subito dopo, cioè a sei, non si è mai descritta la sopravvivenza di nessun paziente, proprio perché la mortalità è del cento per cento».
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21 gennaio, ore 11: l’ultimo tentativo
Erano le 11 di quel 21 gennaio 2000, quando dottor Del Gaudio tornò sui propri passi, su sollecitazione della dottoressa Rosa Salvatore che lo invitò a compiere un ultimo tentativo. A Matteo Pio furono iniettate in vena cinque fiale di adrenalina, una dose che non viene usualmente somministrata nemmeno ad un adulto, e nel bambino si manifestò qualche segno di ripresa.
Ma, come ha documentato un accurato studio del professor Violi, la terapia adottata durante l’intera degenza, compresa quella dose straordinaria di adrenalina «poteva agire sulla eziologia della meningite e di qualche altra patologia presente nel paziente, ma non poteva in alcun modo arrestare il processo che si era innescato».
Nessuna lesione permanente
Matteo venne mantenuto in coma farmacologico, anche se non sembravano esserci speranze. Poi, improvvisamente, nel corso di qualche giorno, le condizioni del bambino segnalarono costanti segni di miglioramento, sbalordendo i medici che avevano pronunciato la diagnosi infausta. Gli esami clinici accertarono che il prolungato arresto cardiaco e l’edema polmonare acuto non aveva causato lesioni permanenti, contrariamente a ogni previsione.