Un francese profondamente segnato dai rapporti con la sfera romana, e anzi con il massimo vertice della Curia Romana dell’epoca – Papa Montini.
Per quanto sia il Romano Pontefice, il Papa resta nondimeno un uomo, e quindi ha degli amici come chiunque. Paolo VI annoverava parecchi intellettuali francesi tra i suoi intimi, e fra questi primeggiava Jean Guitton.
«Amo il pensiero francese, il suo vigore, la sua chiarezza, la sua ricchezza, la sua espressione». Così diceva Paolo VI (1963-1968) secondo il cardinale Paul Poupard, che per lunghi anni ha lavorato accanto a lui. Fino al punto che nel 1969 il Santo Padre avrebbe derogato alla tradizione scegliendo non un italiano ma un francese, come Segretario di Stato Vaticano. Toccò infatti al cardinale Jean Villot essere designato da Paolo VI come suo braccio destro. Una scelta che fece dell’alto prelato «l’esempio del primato – ancora vantato dai francesi – del primo popolo cristiano», considerato un prete italiano specialista in cose di Vaticano.
Comunque, questa predilezione del successore di Pietro per il pensiero francese si ritrova ancora di più nelle sue amicizie con degli intellettuali francesi. In prima fila fra loro spicca il filosofo e scrittore Jean Guitton. I due uomini si incontrarono l’8 settembre 1950, parecchi anni prima dell’elezione al soglio pontificio di mons. Giovanni Battista Montini. Costui era allora sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, e desiderava congratularsi col francese per la sua opera La Vergine Maria, che pure era stata criticata da L’Osservatore Romano.
Immediatamente tra i due nacque un’amicizia. Jean Guitton ha raccontato quell’incontro nel 1996 al giornale L’Express:
Mi aveva chiesto di fargli la promessa di andare a trovarlo ogni anno l’otto settembre, per tutta la vita. Ho mantenuto la promessa per ventisette volte!
Senza contare le altre visite.
La “croce” di Paolo VI
Quest’amicizia avrebbe permesso a Jean Guitton di conoscere il capo della Chiesa cattolica nella sua intimità, nel suo interrogarsi. E così – spiegò nel 1988 nelle sue memorie – l’enciclica Humanæ vitæ, (1968), che proibiva la contraccezione, era stata un «dilaniamento di coscienza» per il Santo Padre. «Quel compito fu per lui una croce», disse ancora Guitton.
Piuttosto che la popolarità, a cui la sua natura «tanto avida d’essere amata era sensibile», Paolo VI
aveva scelto la soluzione più difficile, quella che consiste nel non abbassare la morale fino ai costumi, ma nel tentare di elevare i costumi all’altezza della morale.
Davanti al suo amico, il successore di Pietro non nascose il proprio turbamento, pur conservando la certezza di aver fatto un buon discernimento: «Ho dei rimpianti, non ho dei rimorsi», gli avrebbe dichiarato.
I numerosi scambi fra il Papa italiano e il filosofo francese sono stati trascritti da quest’ultimo in un’opera sobriamente intitolata Daloghi con Paolo VI. Lo pubblicò nel 1967, ma non prima di averlo fatto rileggere al Santo Padre: «L’ha sottoposto a cinque censure che non v’hanno trovato di che ridire», ha dichiarato divertito Jean Guitton a L’Express. «Nimis bene scripsisti de nobis» – hai parlato molto bene di Noi, gli disse il Papa.
Autore prolifico, Jean Guitton ha consacrato non meno di tre opere al suo amico pontificio. Lista a cui si aggiungono le numerose opere di ricordo o di riflessione e in cui veniva citato il pontificato. Segnato a vita da quest’amicizia, il Francese immaginava nel suo Testamento filosofico, del 1997, il racconto della propria morte. Umilmente descrisse una scena in cui Paolo VI era presente e tentava di fargli comprendere che l’importante non è «pensare, credere e sapere», bensì amare Dio.
[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]