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Il business dei bimbi “ricollocati”. La nuova (e perversa) frontiera delle adozioni 

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 20/08/18

Negli Usa la pratica è già molto diffusa. I figli si possono prenotare su internet. Intanto anche in Italia i numeri attestano il crollo delle adozioni

E’ in corso un calo generalizzato delle adozioni che ha riguardato tutti i Paesi occidentali e ha determinato una “perdita” di quasi 100mila bambini negli ultimi 15 anni.

Ci sono diversi fattori di difficoltà che sfiduciano l’adozione: l’elevata burocrazia, gli altri costi, ma negli ultimi tempisempre più determinante nello sfiduciare i potenziali genitori, è il tipo di minore che si vuole adottare.

Le “difficoltà aggiuntive”

Non solo è aumentata in modo costante l’età media dei minori considerati adottabili, sono cresciute in modo esponenziale le cosiddette difficoltà aggiuntive. Da Paesi come India o Cina per esempio arrivano ormai quasi soltanto bambini dagli 8-10 anni in su, spesso affetti da piccole patologie psico-fisiche. La stessa tendenza che si registra ormai da anni da parte dei Paesi latinoamericani.


BAMBINI, PANCHINA, ATTESA

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Rinunce in aumento e adozioni in netto calo

Quanti casi del genere si registrano in Italia? Non esistono statistiche ufficiali. Tradizionalmente la percentuale delle situazioni così complicate da costringere i genitori ad alzare bandiera bianca era fino a pochi anni fa dell’uno per cento sul totale delle adozioni internazionali.

Ma considerando le segnalazioni che oggi arrivano dalle varie Procure per i minorenni si potrebbero valutare i fallimenti in un 2-3 per cento del totale. Considerando che nel 2017 in Italia le adozioni internazionali sono risultate 1.439, secondo i dati ufficiali diffusi dalla Cai, Commissione adozioni internazionali – erano state 4.130 nel 2010 – i fallimenti potrebbero essere una quarantina l’anno. Ma ripetiamo, si tratta di stime che attendono una conferma.

Il fallimento di un minore “complesso”

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Cortesia Terry Gragera

Non sembrano numeri imponenti, eppure ciascuna di quelle rinunce porta con sé un carico di dolore e una sensazione di fallimento che dal minore e dalla sua famiglia si allarga all’intero sistema delle adozioni.

Per rispondere al fallimento si dovrebbe puntare su un’altra famiglia più attrezzata? È una strada che non viene mai tralasciata. Ma le coppie con “professionalità” educative adeguate per quasi casi complessi non sono infinite. Oppure si cerca l’aiuto di una casa famiglia o di un centro professionale. Ma per il ragazzo “rifiutato” si apre un percorso tutto in salita, pesantemente gravato da un fallimento di cui si sente totalmente colpevole (Avvenire, 17 agosto).




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Il caso assurdo degli Stati Uniti

Negli Stati Uniti, invece, il mercato delle adozioni sta diventando perverso: quasi un bambino su cinque viene cacciato dagli adulti che l’hanno legalmente fatto diventare loro figlio. Sono le cosiddette “seconde adozioni”.

Succede dalle 25mila alle 30mila volte l’anno stando al governo americano, che stima che fra «il 10 e il 25 percento delle adozioni falliscono». Una percentuale che sale al 30 per cento per quelle internazionali. Le ragioni citate dalle agenzie governative sono sempre le stesse. E per lo più banali. Mamma e papà non si erano resi conto delle difficoltà di farsi carico di un bambino con un passato difficile. Oppure mettono al mondo un paio di figli biologici e all’improvviso si accorgono che quel bambino “non loro” è di troppo. O semplicemente, «qualcosa non funziona fra di noi».




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In vendita su internet!

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Shutterstock

Per molti di loro, la soluzione è semplice: liberarsi del problema, con un annuncio su internet o presso una delle dieci agenzie statunitensi che si spartiscono il mercato del bambino d’occasione. Un fiume di transazioni umane che fino a una decina di anni fa era del tutto sotterraneo ma che è emerso grazie alle reti sociali. A rendere questi scambi di minori possibile non sono le leggi americane, quanto una mancanza di regolamentazioni e la frammentazione del panorama legale fra Stato e Stato.

Il trucco della “procura”

Se le adozioni ufficialmente devono essere gestite dai tribunali e l’idoneità dei futuri genitori va verificata dai servizi sociali, esistono modi per aggirare i controlli. I bambini possono essere inviati rapidamente a una nuova famiglia semplicemente con la firma di una “procura”, una dichiarazione autenticata che dichiara il bambino come affidato alle cure di un altro adulto.

Questa flessibilità era stata pensata per permettere ai genitori che hanno difficoltà temporanee di mandare i propri figli a vivere per qualche tempo presso un parente di fiducia. Ma è una scappatoia che mette le famiglie in condizione di trovare estranei disposti a togliere loro di torno dei figli non più desiderati.




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Noralyn “usa e getta”

Con una procura, i nuovi tutori sono in grado di iscrivere un bambino a scuola o di ottenere sussidi statali, senza l’intrusione delle autorità di assistenza ai minori. Facebook e molti gruppi Yahoo hanno reso la cessione di bambini adottivi – che speso comporta un passaggio di denaro – ancora più facile e veloce. Su un sito di rehoming (“ricollocamento”), ad esempio, si trova Noralyn. Ha 13 anni ed era stata adottata da una famiglia che aveva già due figli.

“Non faceva per noi”

FRUSTRATION
Shutterstock

I genitori sono avanti con gli anni e lei, si legge nell’annuncio, se ne prende cura, così come dei suoi fratelli. Noralyn, prosegue il suo dossier è «pragmatica e compassionevole. Sa cucinare, è in grado di preparare piccoli piatti da sola. È gentile, dolce e sa aiutare gli anziani e i disabili. Fa di tutto per rendersi utile e farsi voler bene. Non è timida ed è brava in disegno. È sana e in forma. Ha una buona igiene personale».

Perché improvvisamente è di troppo? «Non ci siamo trovati bene, non faceva per noi, non è colpa di nessuno», spiegano brevemente mamma e papà, contattati via email (Avvenire, 13 agosto).




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La battaglia di Melanie

Un argine contro questa prassi del “ricollocamento” sta provando a costruirlo Melanie Hoyt, neo-mamma americana di due fratellini (Art e Jake) che erano stati presi e poi non più voluti, che collabora con uno studio di avvocati dell’Illinois, Mevorah, per portare il fenomeno all’attenzione dell’autorità

“Perché liberarsi di quelle creature?”

Melanie racconta così i casi di cui in questi anni è stata testimone diretta: «Alcuni genitori, i quali avevano deciso di liberarsi del nuovo membro della famiglia, trovavano online una nuova famiglia per i figli che non volevano più. Ripensando al processo rigoroso al quale io e mio marito ci siamo dovuti sottoporre prima di accogliere Art e Jake, nella mia mente sorgevano immagini di bambini inviati a persone impreparate o, peggio, a pedofili. E il mio cuore si riempiva di collera per i genitori. Come potevano abbandonare delle creature alle quali avevano promesso di dedicarsi per sempre?».




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Le aspettative di “adorazione”

Melanie ha al suo fianco anche un’amica psicologa, Miriam Klevan, che mette in contatto con le famiglie adottive a corto di risorse affinché le aiuti a trovare una soluzione.

«La maggior parte dei genitori vuole essere amata – spiega Klevan –. Ma se vuoi essere il genitore di un bambino traumatizzato, non puoi avere questo tipo di attese. Devi superare le aspettative di adorazione ed essere soddisfatto se riesci a insegnare a questo essere umano a crescere emotivamente e a essere indipendente. Purtroppo molti genitori adottivi non riescono a rinunciare al sogno della famiglia idilliaca. È un problema sociale, oltre che legale, che mi sono impegnata a rettificare».


LORENZO FONTANA

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Lo “Stop” di un giudice a New York

Altre persone conducono sforzi simili in tutto il Paese. Edward McCarty, un giudice della contea di Nassau (New York), ad esempio, ha impedito più di un caso di rehoming, sebbene la pratica non sia esplicitamente proibita nello Stato di New York, e ha segnalato i minori coinvolti ai servizi sociali. Più volte ha, inoltre, implorato l’Assemblea legislativa statale di chiudere la scappatoia legale che attualmente consente le riadozione di un minore (Avvenire, 15 agosto).

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