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La rete e la democrazia

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L'Osservatore Romano - pubblicato il 18/08/18
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Come la tecnologia sfida la politicadi Cristian Martini Grimaldi

 

O la politica farà sentire la propria autorità sul mondo digitale o nei prossimi anni le tecnologie distruggeranno la democrazia e l’ordine sociale così come li conosciamo. È questa la chiara e drastica tesi del libro di Jamie Bartlett The People vs Tech: how the Internet is killing Democracy and how to save it («Il popolo contro la tecnologia: come internet sta uccidendo la democrazia e come salvarla», Ebury Press, 2018). Se infatti le tecnologie digitali mettono a disposizione di chiunque archivi di informazioni sterminati e offrono a gruppi altrimenti inascoltati un modo per farsi sentire, piattaforme come i social impediscono di sviluppare un pensiero maturo su temi controversi. Per timore di una valutazione pubblica negativa permanente si sviluppa una “singolarità morale”, secondo la quale nessuno ha davvero opinioni proprie, mentre il ragionamento morale e politico viene delegato alle macchine.

Secondo l’autore la rete incoraggia il “tribalismo” in quanto chiunque può facilmente trovare gruppi di opinione o di protesta con cui identificarsi. I social e la rete faciliterebbero quindi il pensiero cosiddetto veloce, istintivo ed emotivo, piuttosto che processi lenti, animati da logica e razionalità. In altre parole, sono i contenuti emotivi, viscerali, e talvolta falsi, a venire rapidamente condivisi. E coloro che più traggono vantaggio da questo tipo di comunicazione sono, secondo Bartlett, i leader populisti e autocratici.

L’autore riconosce che le componenti negative fanno parte di tratti psicologici connaturati all’essere umano e non sono certo creati dalle tecnologie digitali, ma sostiene che le grandi aziende tecnologiche hanno reso queste debolezze umane una caratteristica strutturale del loro guadagno. Bartlett, come altri prima di lui, prende come esempio il percorso di manipolazione dell’opinione pubblica attivato attraverso i social che ha avuto un ruolo drammatico nelle ultime elezioni statunitensi. Le tecniche, talvolta illegali, della raccolta di dati in rete, come è stato dimostrato con il caso della Cambridge Analytica, hanno svolto un ruolo centrale nel rivolgersi agli elettori con contenuti mirati. Così, la preoccupazione principale è che la pubblicità personalizzata rimuova la possibilità di un discorso comune nelle elezioni politiche, visto che ogni individuo riceve il messaggio pubblicitario adatto al proprio profilo di utente.

Bartlett affronta anche il tema della disuguaglianza sociale, discutendo l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro. La sua intuizione è che l’intelligenza artificiale rischi di svuotare i lavori che si basano su una “routine cognitiva” e riguardano principalmente la classe media. Dato che le macchine non richiedono una quota di profitto, il conseguente calo del potere sindacale e la crescita dei guadagni dei proprietari di capitali rischiano di aumentare molto le disuguaglianze. E il timore è che una società con maggiori disuguaglianze incoraggi le persone a non fidarsi, portando a ridurre innovazione e imprenditorialità.

Analizzando poi il settore della cripto-valuta l’autore ne evidenzia le potenziali implicazioni politiche. Per esempio, la cripto-anarchia è un movimento di pensiero che si sta rapidamente diffondendo e promette di liberare l’individuo dai governi democraticamente eletti e di fornire maggiore spazio di libertà ai singoli. Bartlett mostra come questa tendenza pericolosa sia in realtà una rinuncia alle responsabilità sociali fondamentali verso gli altri, sottolineando che a volte la coercizione statale è necessaria per mettere in atto leggi che esprimano la volontà delle persone e proteggano i diritti fondamentali. The People vs Tech contribuisce insomma al necessario dibattito sul modo in cui la tecnologia influenza oggi la società e la politica.

È chiaro il punto di vista dell’autore, critico nei confronti del comportamento monopolistico delle grandi aziende tecnologiche, ma delude che non approfondisca il quadro politico che consente al capitalismo di prosperare promuovendo tali comportamenti di ricerca del profitto. Tra l’altro, l’uso dei dati privati da parte delle aziende digitali è un punto centrale che meriterebbe un’analisi a parte, mentre il libro non affronta la questione se sia giusto o sbagliato che i governi ne tentino una regolamentazione. In un testo che ha il vantaggio di consentire anche a un lettore senza esperienza in campo tecnologico di comprendere rapidamente le problematiche più complesse e le sfide politiche poste dall’attualità tecnologica.

 

QUI L’ORIGINALE