Non esiste riscaldamento globale. Anzi, forse esiste ma non ci farà niente: ne abbiamo già visti altri, ad esempio i tre secoli di “POM”… Girano online questa e altre amenità per minimizzare il dato del riscaldamento globale (e poter quindi nicchiare sulle responsabilità antropiche). Degli studiosi di medioevo hanno simpaticamente illustrato una dettagliata smentita, che ci sembra fare bene il paio con una importante pagina del Magistero del Papa.
Ormai ventuno giorni fa ponevo su Facebook uno scherzoso dilemma in forma di sondaggio:
Con una certa sorpresa ho registrato che il 77% dei votanti ha professato devozione incondizionata al perlopiù ignoto brevettatore dei sistemi di climatizzazione; il 23% invece gli si è rivoltato contro.
Ora io credo che sia giusto precisarlo: non solo non nutro alcun astio verso Lewis Latimer, ma anzi la mia ammirazione per il suo genio (al quale dobbiamo tutti parecchie cose) e per la sua storia personale gratta effettivamente dal basso il tetto della venerazione. Se qualcuno aveva avvertito nelle mie parole un tantino di astio nei suoi confronti (costui avrebbe avuto ragione), esso si dovrà più correttamente riferire alla sua invenzione, che farà tanto bene ai cardiopatici e agli anziani, nonché ai degenti in ospedale e a tante altre categorie di persone… ma personalmente mi fa l’effetto che a Superman fa la kryptoninte. Tornavo su quel sondaggio appunto perché scrissi il post dopo tre giorni di un violento raffreddamento dovuto all’uso scellerato dei condizionatori sui treni italiani ed europei: insomma sono più di tre settimane e ancora non riesco a riavermi del tutto…

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Latimer non c’entra niente, si capisce, e anche le Ferrovie dello Stato avranno sicuramente le loro ragioni, per tenere l’escursione termica tra dentro e fuori oscillante tra i 15 e i 20 °C. Di certo anche i negozi avranno ottime motivazioni per mantenere la temperatura degli ambienti sotto i 22 °C (con i portoni spalancati, ovvio!)… solo che a me sfugge. Anzi ho l’impressione che l’uso spudorato dell’aria condizionata si collochi a metà tra lo status symbol e lo stravizio consumistico: facendo i bagagli per il mare ci preoccupiamo di avere in valigia almeno un foulard (ma meglio se un pullover o direttamente uno smanicato imbottito) per proteggerci dal getto di aria fredda; se poi aumenta il tempo di esposizione crollano anche le speranze di scamparla da un brutto raffreddamento. Proprio quello che è capitato a me. E pazienza se ormai sono tre settimane che non mi riprendo da quel raffreddamento: la cosa interessante, secondo me, è che fatichiamo a mettere serenamente in discussione la qualità dell’uso che si fa del condizionatore. Proprio l’altro ieri in un B&B dove con la mia famiglia ho sostato sono stato piacevolmente sorpreso da un cartello, che ci invitava appunto a usare con moderazione il condizionatore, in quanto «un’escursione termica eccessiva [lì stimavano eccessivi 7° rispetto alla temperatura esterna, N.d.R.] non è sostenibile e fa male alla salute».
Due verità indiscutibili e anche belle nella loro connessione: specie alla mia intelligenza di cristiano fa vero piacere scoprire che ciò che fa male alla mia salute fa male anche all’ecosistema. Dice della sensatezza del creato, che nel suo complesso non sta di fronte all’uomo in un rapporto di “mors tua vita mea” (come sembrano intendere alcuni “ecologisti” con degli inconfessati problemi di misantropia). Dice anche, di conseguenza, della responsabilità dei cristiani nel portare una buona notizia a questo vecchio bislacco mondo: è vero che l’uomo deve trarre il proprio sostentamento dalla terra «col sudore della fronte» (Gen 3, 19), ma è pur vero che il peccato e le sue conseguenze non hanno cancellato la benedizione originaria, il dono e la chiamata di Dio che volevano l’uomo “custode del giardino” (Gen 2, 15). Che meraviglioso senso mistico, dietro al qui pro quo della mattina di Pasqua, quando la Maddalena scambia Gesù per il giardiniere (Gv 20, 15). Certo: l’uomo nuovo, il Risorto, è davvero e in pienezza il custode del giardino.

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Donde il fatto che la missione evangelizzatrice sia diretta anche al mondo nella sua componente ambientale, anche all’ecosistema in quanto tale: un messaggio di redenzione e di sensatezza vi si indirizza nella rinnovata e rifondata responsabilità di chi «è risorto con Cristo» e quindi «pensa alle cose di lassù» (cf. Col 3, 1), cioè guarda il mondo con gli occhi di Dio.
Per questo trovo strano ai limiti dell’incomprensibile il senso di estraneità, che talvolta diventa quasi senso di avversione, di tanti cristiani nei confronti delle tematiche ambientali. Curiosamente in Italia si tratta di un’attitudine generalizzata, talvolta sostenuta col pretesto che non sarebbe da cristiani sostenere le cause degli ambientalisti. Il che è ridicolo per due ragioni:
- anzitutto le buone cause sono buone e basta, a prescindere da chi le sostenga (e se un “avversario” politico o culturale sostenesse qualcosa di buono al limite comprenderei il proposito di “intestarsi la battaglia”, non di disertarla);
- in secondo luogo, spesso nel nostro contesto gli ambientalisti non hanno una concezione olistica del loro impegno. Questo esige che come cristiani:
- cerchiamo di correggere il loro errore (nei casi in cui abbiamo a che fare con un ambientalismo misantropico – grazie a Dio non sono casi comunissimi);
- annunciamo agli “uomini di buona volontà” che condividono l’istanza ecologica le ragioni teologiche che la sostengono e la collegano alla nostra esistenza (che non si può ridurre a una “religione civile dell’ambientalismo” – per citare Paola Belletti, «oltre alla differenziata c’è di più»).
Una simile attitudine si trova pure in contesti WASP, specie in Nord America. È stato un piacere invece notare che essa non sia generalizzata in Francia, laddove da una penna di punta del servizio politico del Figaro (celeberrimo giornale conservatore nazionale) ho ricevuto segnalazione di un thread Twitter sul riscaldamento climatico. Eugénie Bastié è, oltre che una conservatrice di ferro, anche una cattolica qualificata di “integralismo” dai suoi avversari politici… e un’ambientalista.