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“Raggiungere la Gerusalemme celeste” – la vera storia dei labirinti medievali

SAINT QUENTIN LABYRINTH

© Rectorat de la cathédrale de Chartres

Axelle Partaix - pubblicato il 16/08/18

Recenti ricerche sui labirinti di chiese hanno permesso di rivelare il loro vero significato e di mettere in luce stupefacenti pratiche dell’epoca medievale.

Affascinanti, misteriosi, attraenti, i labirinti suscitano da qualche anno un crescente interesse, che per molti proviene dagli insegnamenti dello sviluppo personale. Una delle più antiche vestigia di labirinto cristiano (in Algeria) data al 380, ma è soprattutto a partire dal XII secolo, in pieno periodo di crociate, che i labirinti delle chiese conoscono un considerevole sviluppo in Europa. In Francia Saint-Omer, Arras, Saint-Quentin, Chartres, Amiens, Reims e ancora Auxerre hanno integrato nei loro pavimenti un’alternanza di pietre nere e bianche che disegna dei meandri. Spesso ci vuole più di un’ora per seguirne tutte le sinuosità, e si dice che l’aspirante pellegrino, il quale era impossibilitato ad andare in Terra Santa, seguisse il percorso del labirinto in ginocchio e recitando preghiere, in quanto tale esercizio era ritenuto comparabile a un viaggio reale. È il “cammino di Gerusalemme”, che era ritenuto sufficiente a lucrare indulgenze.


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Una spiegazione seducente, già oggetto di numerosi articoli… Ma per Gilles Fresson, storico e responsabile del coordinamento con la cattedrale di Chartres presso il rettore, la teoria non regge del tutto:

La pratica del pellegrinaggio surrogato ha potuto darsi, ma molto più tardi dell’epoca medievale e come devozione privata. Si tratta infatti di un’interpretazione tardiva che rimonta al XIX secolo, una sorta di ricostruzione storico-romantica, di quelle che talvolta sapevano produrre gli appassionati del gotico, e che è servita da base per tutti gli articoli scritti in seguito.

Esistono in effetti pochissime fonti autentiche e utili alla bisogna di spiegare le origini dei labirinti delle chiese, e tra i numerosi articoli scritti sull’argomenti pochi si fondano realmente su testi medievali. Ora, spiega Gilles Fresson,

comprendere la ragion d’essere del labirinto significa interrogare la fede cristiana e porre in questione il pensiero dell’epoca.

La danza di Pasqua, stupefacente coreografia della resurrezione

E sono proprio due testi risalenti al Medioevo (Ordinatio de pila faccenda – fine del XIV secolo – redatto per iniziativa del capitolo della cattedrale di Auxerre; e Rationale Divinorum Officiorum, XII secolo, Jean Beleth) che gettano una luce assolutamente nuova sulle pratiche del labirinto.

Questi testi evocano una stupefacente celebrazione che aveva luogo durante la sera del giorno di Pasqua – rivela Gilles Fresson –. Al suono di un canto gregoriano che proclamava la risurrezione di Cristo, il decano dei preti percorreva solennemente con passo ritmato i meandri del labirinto, mentre i fedeli gli giravano attorno. Il decano recava stretta al petto una grossa palla gialla, e una volta giunto al centro la lanciava a tutti i partecipanti, che subito glie la rimandavano, scatenando una danza animata e festosa.

La simbolica era estremamente forte, perché dietro l’impressione di un gioco veniva in realtà rappresentata una delle verità essenziali della fede cristiana: il Cristo risorto. La danza di Pasqua rappresenta una vera coreografia della risurrezione. La palla ricorda il gomitolo di Arianna che Teseo utilizzò per uscire dal labirinto costruito da Dedalo dopo aver ucciso il Minotauro. Simbolicamente Cristo (Teseo) attraversa gli inferi (il labirinto), affronta Satana (il Minotauro), trionfa delle potenze della morte e offre la luce (il colore giallo) a tutti quelli che sono pronti a riceverla: ciò significa un cammino sicuro (la palla) verso la vita eterna (il centro del labirinto). Il labirinto perde dunque il proprio versante per oscillare in àmbito positivo negativo grazie al filo di Arianna, perché il cammino che propone è quello della redenzione cristica.

Chartes Cathedral – Labyrinth
© By C.garciadelucas [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], from Wikimedia Commons
Labyrinthe de Chartres.

Tale “danza di Pasqua” – lungamente contrastata da una parte del clero, che vi scorgeva una recrudescenza di pratiche pagane pregne di sensualità e prive di senso del sacro – avrebbe finito per essere proibita. Alla fine il rito sarebbe stato abbandonato e poi largamente coperto di discredito nel corso dei secoli XVII e XVIII. In seguito, in Francia numerosi labirinti sono stati distrutti per ordine del clero, col pretesto che i bambini sarebbero entrati in chiesa a giocarci come col gioco della campana, facendo un sacco di baccano. Nel dettaglio, la cosa è attestata in tal modo ad Auxerre, a Sens, a Reims (il cui disegno è oggi diventato il logo dei Monumenti Storici francesi) o ancora ad Amiens (lì il labirinto sarebbe stato ripristinato un settant’anni più tardi). Oggi quello di Chartres è il solo, dei grandi labirinti del XIII secolo, a sussistere: la riscoperta del senso originale dei labirinti si addensa tutta attorno a quell’esemplare.




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Aprirsi a Cristo

Il labirinto è terribilmente rispondente allo spirito dei nostri tempi – esclama Gilles Fresson –. Percorrerlo conduce a una vera meditazione, vissuta insieme nel corpo e nello spirito.

Dal 2013 tutti i venerdì dall’inizio della Quaresima e fino a Tutti i Santi (eccetto il solo Venerdì Santo), i 262 metri in cui si sviluppa il labirinto di Chartres vengono sgomberati dai banchi che di solito li coprono e vengono lasciati aperti al percorso meditativo.

Accogliamo persone molto differenti: gente di chiesa anzitutto, ma anche persone non credenti che scoprono qualcosa di appassionante e complicato. E poi ci sono le persone provenienti da movimenti esoterici – cosa talvolta un po’ complicata da gestire al momento del solstizio d’estate, quando si presentano alcuni “illuminati”.

Per una persona guidata dalla fede, la sfida del labirinto è quella di aprirsi progressivamente a Cristo. Visto dall’alto, appaiono chiaramente le quattro braccia della croce. Il centro, punto fisso e immutabile, è la stazione divina per eccellenza, il Paradiso, la “Gerusalemme celeste”. In quel luogo l’uomo che si è avvicinato a Dio trova la quiete dopo aver attraversato le tumultuose difficoltà dell’esistenza.

Il percorso è per i credenti l’occasione di imparare a pregare in un modo differente, accordando all’aspetto corporeo tutta la sua importanza. È un percorso spirituale molto bello. Tante persone che lo seguono ci dicono di provare in seguito un sentimento di liberazione.

Un percorso di vita

Per tutti – credenti e non credenti – il percorso labirintico solleva numerose questioni. A differenza del labirinto di Dedalo, il labirinto di chiesa non imprigiona. Esso non propone che un solo cammino, senza vicoli ciechi o scelte multiple. Quando lo si comincia, si è sicuri di arrivare al centro, dopo aver percorso pazientemente i suoi tornanti sinuosi, rispettando il ritmo degli altri.

Alcune persone si fermano quasi a ogni passo per meditare, mentre altri – spesso i giovani – sono più frettolosi e vorrebbero arrivare dritti alla meta – constata Gilles Fresson –. E così nel labirinto di Chartres i primi passi ci conducono rapidamente vicini al centro in pochi passi, e così siamo incoraggiati dall’apparente prossimità, ma molto presto le linee si divaricano e il cammino ci allontana: veniamo schiacciati ai margini periferici del percorso, con la frustrazione di vedere il centro ma senza riuscire ad avvicinarci. In tal senso il percorso del labirinto è immagine dell’esistenza umana: lungo, esigente e irto di prove… La comparazione con il percorso della vita sbalordisce i giovani ma non le persone più avanti con l’età, le quali ben sanno che la vita non è un fiume tranquillo. Bisogna accettare le sue fasi, le sue virate, le sue complicazioni, l’impressione che ci si allontani dalla meta per poi avvicinarvisi definitivamente, perché non necessariamente il cambiamento di direzione è una cosa negativa. In una vita c’è spazio per tutto questo.

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© Ville de Saint-Quentin

Oggi il modello di Chartres è copiato un po’ dappertutto nel mondo e le sue applicazioni sono molteplici. In Germania e in Australia lo si utilizza negli ospedali per aiutare le persone in fin di vita a meditare sull’esistenza umana, sulla sua grandezza e bellezza. Negli Stati Uniti i detenuti delle case circondariali lo percorrono per imparare a porsi, ad accettare il fatto di dover seguire tutto il circuito senza attraversarlo. Sempre negli Stati Uniti, esso serve nei corsi pre-parto, e le associazioni sportive o di “personal training” organizzano delle grandi “serate labirinto”.




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E quindi, in conclusione, il labirinto rappresenta – sì – un pellegrinaggio, ma un pellegrinaggio interiore, un pellegrinaggio di vita. Lo scopo non è tanto quello di andare a Gerusalemme, ma il raggiungere la propria Gerusalemme, la Gerusalemme celeste, «orizzonte ultimo del cammino del credente», secondo le parole di Papa Francesco sul finire dell’agosto 2017.

[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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