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La confessione (e il suo segreto) sotto attacco

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© Götz Keller | CC (modified)

Paul De Maeyer - pubblicato il 16/08/18

Proposte e leggi contro il sacramento in India e Australia

In India, la presidente della Commissione Nazionale per le Donne (National Commission for Women o NCW), Rekha Sharma, ha chiesto di mettere al bando il sacramento della confessione. Come spiega UCA News in un articolo pubblicato a fine luglio, l’agenzia federale ha proposto inoltre di avviare un’inchiesta federale su due casi di stupro e di violenze sessuali, che vedono il coinvolgimento di membri del clero di due Chiese.

A suscitare la proposta, formulata dalla presidente della commissione in una lettera indirizzata al primo ministro Narendra Modi e ad altri membri del suo gabinetto,è la “bizzarra vicenda” — così viene definita da Avvenire — di intimidazioni e di ricatti nei confronti di una giovane donna del Kerala, costretta a subire degli abusi ripetuti e prolungati nel tempo da parte di alcuni sacerdoti della Chiesa ortodossa siro-malankarese [1].

“I sacerdoti spingono le donne a rivelare i loro segreti”, sostiene la presidente della commissione, che ha parlato di “solo la punta dell’iceberg” e ha raccomandato inoltre un’inchiesta federale sulle accuse di stupro mosse da una suora cattolica 48enne nei confronti del vescovo della diocesi di Jalandhar (o Jullundur), nello Stato del Punjab, Franco Mulakkal. Il presule è stato interrogato nel frattempo dalla polizia e il suo arresto sarebbe imminente, così almeno sostengono fonti locali.

La reazione dell’episcopato

Non si è fatta attendere la reazione da parte della Chiesa in India. In un comunicato stampa pubblicato sul sito della Conferenza dei Vescovi Cattolici dell’India (Catholic Bishops’ Conference of India o CBCI), il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai (o Bombay) e presidente dell’organismo, ha dichiarato di essere “rimasto scioccato” nel leggere sulla stampa la richiesta da parte della NCW.

“Questa richiesta della Commissione – dichiara il porporato – tradisce una totale mancanza di comprensione della natura, significato, sacralità e importanza di questo sacramento per il nostro popolo, e anche un’ignoranza delle rigide leggi della Chiesa per prevenire qualsiasi abuso.”

Secondo il card. Gracias, che fa parte del Consiglio dei Cardinali – meglio noto con la sigla “C9” – istituito da papa Francesco per assisterlo nella riforma della Curia, un tale bando costituirebbe “una diretta violazione della nostra libertà religiosa garantita dalla Costituzione”.

“Milioni di persone in tutto il mondo, nell’arco dei secoli, hanno dato testimonianza del beneficio spirituale di questo sacramento e della grazia, perdono e pace che hanno sperimentato come risultato di ricevere questo Sacramento”, ha aggiunto Gracias, che ha definito “assurda” la richiesta della commissione, la quale “non capisce nulla” di questioni religiose.

“Non sono affari loro interferire con le questioni religiose dei cristiani”, ha detto a sua volta il segretario-generale della CBCI, monsignor Theodore Mascarenhas, citato da UCA News. “Generalizzare e stigmatizzare un’intera comunità per i presunti misfatti di alcune persone è completamente ingiusto”, così ha dichiarato il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Ranchi, nello Stato del Jharkhand.


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Accusa di traffico di bambini

La richiesta di mettere al bando la confessione non è l’unico tema a provocare tensioni tra le autorità indiane e la Chiesa locale. Dopo una denuncia formale del partito nazionalista indù BJP (Bharatiya Janata Party), la polizia del Jharkhand ha arrestato il 4 luglio scorso una dipendente di una casa per ragazze madri gestita dalle Missionarie della Carità a Ranchi, con l’accusa di aver venduto un neonato ad una coppia. Mentre è stata arrestata anche una suora, accusata “di complicità”, le autorità indiane hanno ordinato indagini a tappeto su tutte le case per bambini gestite dalla congregazione.

Sul caso è intervenuta la superiore generale della congregazione, suor Mary Prema Pierick, che in una dichiarazione ripresa dall’agenzia AsiaNews ha condannato “in modo inequivocabile” le azioni individuali, “che non hanno nulla a che fare con la congregazione delle Missionarie della Carità”.

Mentre offre un racconto preciso di quanto è “effettivamente” accaduto, la religiosa 65enne di origini tedesche punta il dito contro i “molti miti diffusi, informazioni distorte e notizie false che vengono diffuse, insieme a allusioni infondate che vengono lanciate riguardo alle suore di Madre Teresa”. Sr. Prema definisce del resto “penoso” il modus operandi delle autorità indiane, ricordando che “solo due settimane prima” avevano descritto come “eccellente” l’ambiente offerto dalle suore ai bambini.

A denunciare la strumentalizzazione del caso – Narendra Modi, del BJP, cercherà nelle elezioni politiche del 2019 un rinnovo del suo mandato – è anche l’attivista cattolico John Dayal, ex presidente della All India Catholic Union. “I sostenitori nazional-religiosi del governo e i gruppi indù non perdono occasione per accusare le Missionarie della Carità, e attraverso loro tutta la Chiesa d’India, di conversioni forzate al cristianesimo, di massicci traffici di bambini e di altri crimini”, spiega il co-fondatore dell’All India Christian Council. “Il governo indiano, incitato dal nazionalismo religioso indù, ha deciso di dare una lezione alla comunità cristiana”, aggiunge Dayal, citato da Avvenire. Per il quotidiano si tratta del resto di uno scandalo “gonfiato” ad arte.

Attacco al segreto del sacramento in Australia

Senza precedenti. Con queste parole è stata qualificata la legge varata il 7 giugno scorso dall’Australian Capital Territory (ACT), cioè il Territorio della capitale federale Canberra, che obbliga i sacerdoti venuti a conoscenza di casi di pedofilia attraverso il sacramento della confessione di denunciare i fatti alle autorità competenti, anche se questo implica violare il segreto confessionale. Oltre all’ACT, sono tre gli Stati che hanno annunciato simili legislazioni: l’Australia Meridionale, l’Australia Occidentale e la Tasmania.

La norma, che segue le raccomandazioni contenute in un rapporto della Royal Commission into Institutional Responses to Child Abuse, pubblicato nel dicembre scorso, è stata da subito criticata dalla Chiesa australiana, perché mina un principio chiave della fede cattolica, cioè la confidenzialità del confessionale, tutelata dal can. 983 del Codice di Diritto Canonico[2] e confermata dal Catechismo della Chiesa Cattolica [3].

In una reazione pubblicata sul Canberra Times, l’arcivescovo di Canberra e Goulburn, Christopher Prowse, osserva che “rompere il sacro sigillo di confessione non impedirà gli abusi e non aiuterà i nostri sforzi in corso per migliorare la sicurezza dei bambini nelle istituzioni cattoliche”.

Mentre afferma di appoggiare in pieno il programma del governo per segnalare tutte le accuse relative ad abusi sui minori al difensore civico dell’ACT, il presule dichiara di non poter sostenere il piano governativo “di rompere il sigillo della confessione religiosa”.




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Anzi, così chiede l’arcivescovo, quale molestatore sessuale si confesserebbe da un prete sapendo che potrebbe essere denunciato? “Se il segreto viene rimosso, la remota possibilità che queste persone si confessino e in questo modo possano essere consigliate a denunciarsi [presso le autorità] se ne va”, scrive Prowse, il quale aggiunge che i “pedofili commettono atti criminali malvagi e indicibili” e “nascondono i loro crimini”, ma “non si autodenunciano”.

Del resto, suggerisce l’arcivescovo, la confessione è anonima e niente garantisce che un sacerdote conosca l’identità del penitente, anche per il fatto che potrebbe esserci uno schermo nel confessionale, che impedisce la vista al confessore.

Nonostante il rischio di una multa di 10.000 dollari australiani, un gruppo di 600 sacerdoti ha già annunciato che manterrà il segreto confessionale. “Ogni sacerdote degno del suo nome farebbe tutto il necessario per proteggere i bambini, ma senza violare il sigillo della confessione”, ha detto il presidente dell’Australian Confraternity of Catholic Clergy (ACCC), don Scot Anthony Armstrong, citato da Sky TG24. “Non è solo questione di diritto canonico ma di diritto divino, da cui la Chiesa non ha il potere di dispensare”, ricorda il sacerdote in una dichiarazione pubblicata sul sito dell’organismo.

***

1] La Chiesa ortodossa siro-malankarese, nota anche come Chiesa ortodossa giacobita siro-malankarese, fa parte della Chiesa ortodossa siriaca e ricade sotto la giurisdizione del Patriarcato di Antiochia.

2] Cfr. Can. 983 – §1: “Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa.”

3] Cfr. n° 1467: “Data la delicatezza e la grandezza di questo ministero e il rispetto dovuto alle persone, la Chiesa dichiara che ogni sacerdote che ascolta le confessioni è obbligato, sotto pene molto severe, a mantenere un segreto assoluto riguardo ai peccati che i suoi penitenti gli hanno confessato. Non gli è lecito parlare neppure di quanto viene a conoscere, attraverso la confessione, della vita dei penitenti. Questo segreto, che non ammette eccezioni, si chiama il « sigillo sacramentale », poiché ciò che il penitente ha manifestato al sacerdote rimane « sigillato » dal sacramento.”

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