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Nessun accordo con gli scafisti. Così sono cadute le inchieste contro le navi delle Ong 

Uchodźca, imigrant czy emigrant? Wyjaśniamy pojęcia i obalamy mity

AFP/EAST NEWS

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 15/08/18

Salvano le vite dei migranti che attraversano il Mediterraneo sui barconi, e non c'è alcuna prova di legami con i trafficanti libici di essere umani. Procura per procura, ecco come stanno le indagini

Associazioni a delinquere in combutta con i trafficanti di essere umani o ancore di salvezza per migliaia di migranti? Le navi delle Ong presenti nel Mediterraneo sono da un anno al centro di dibattiti velenosi che si sono ormai spostati da internet e tv alle aule di tribunali.

Erano quattro le inchieste a carico delle Ong che salvano i migranti nel canale di Sicilia. Tutte accusate di essere legate agli scafisti libici e condividere con loro un business sporco. Ma ad oggi di indagini ne sopravvivono due: una (Catania) si avvia all’archiviazione; l’altra (Trapani) ha derubricato l’associazione per delinquere all’ipotesi di irregolarità allo scopo di ‘commettere’ salvataggi.

Le procure di Palermo e Ragusa, invece, hanno già archiviato, concludendo che non ci sono stati reati. Avvenire (14 agosto) fa un’interessante ricostruzione delle inchieste in corso, Procura per Procura. Ecco come stanno le cose




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1) Catania

Il procuratore Carmelo Zuccaro ipotizzava a carico della Ong Open Arms il reato di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione illegale. Era il 13 agosto 2017 – da quando Il Fatto Quotidiano pubblicò la notizia che la procura di Catania indagava sul ruolo delle Ong nel Mediterraneo. Un anno dopo, per quanto risulta a Il Fatto (12 agosto), quel fascicolo sembra destinato inesorabilmente all’archiviazione. E per molti motivi.

Il più importante: non è stato trovato alcun riscontro alle accuse. O meglio: nel fascicolo non è potuto confluire nulla, di quel po’ che è stato riscontrato, che sia possibile sostenere in un processo.

Metodi “sperimentali”

Il punto, infatti, è che gli investigatori stanno utilizzando metodi di indagine “sperimentali” che non pare possibile produrre in giudizio: le intercettazioni via etere – avvenute con strumenti utilizzati in ambito militare – necessitano di essere ulteriormente “blindate” per poter certificare senza ombra di dubbio l’identità degli interlocutori. Se non bastasse, sono state realizzate in acque libiche.


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Difficile considerarle valide sotto il profilo probatorio: per quanto risulta al Fatto di questi (pochi) riscontri nel fascicolo non v’è traccia. La campagna del governo sulle Ong, il codice di condotta richiesto da Minniti, l’ulteriore indagine di Trapani e le polemiche di quei mesi, infine, ottengono l’effetto politico desiderato: gran parte delle Ong in quei mesi lascia il Mediterraneo a ridosso della Libia. Risultato: per la procura di Catania c’è poco da intercettare. Resta qualche indizio. Prove, zero.

2) Ragusa

Archiviata la vicenda Proactiva Open Arms, l’Ong spagnola finita al centro dell’attenzione a metà marzo, dopo la decisione della procura di Catania di porre sotto sequestro l’imbarcazione impegnata nel salvataggio di 218 migranti nel Mediterraneo. Decisione, quella del procuratore etneo, accompagnata dall’ipotesi di reato non solo di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ma anche di associazione a delinquere.

A distanza di quasi tre mesi la situazione è decisamente cambiata. Prima con l’accusa dei pm catanesi rigettata dal gip del tribunale di Catania e poi con la scelta dell’omologo ragusano – chiamato a pronunciarsi sulla questione, dato che lo sbarco incriminato si è verificato a Pozzallo (Ragusa) – di restituire la Open Arms all’organizzazione in quanto l’Ong, nell’essersi rifiutata di lasciare il soccorso dei migranti alle autorità libiche, avrebbe operato tenendo conto dell’assenza di porti sicuri nel paese nordafricano.

Sequestro “non giustificato”

A quest’ultimo convincimento, la procura di Ragusa ha opposto, a maggio, il ricorso al Riesame, ma anche in questo caso i giudici hanno sottolineato come nel comportamento degli spagnoli non ci siano elementi tali da giustificare il ripristino del sequestro (8 giugno, Meridionews).

Da parte loro, però, gli inquirenti continuano a pensare che nell’operato della Ong possano configurarsi reati: sono stati fatti sequestrare i telefonini del comandante della nave e del capo missione. Apparecchi su cui prossimamente verrà fatta una perizia, che sarà messa a disposizione di entrambe le procure.


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3) Trapani

Nell’inchiesta della Procura di Trapani sono stati adoperati infiltrati a bordo delle navi delle Ong. Lo scopo? Dimostrare un presunto patto tra scafisti e volontari per raccogliere i migranti in mare. Qualche tempo dopo si è scoperto che, prima di venire assunti per proteggere gli equipaggi, i bodyguard avevano avuto a che fare con i movimenti identitari protagonisti della campagna internazionale avversa le organizzazioni umanitarie anche a colpi di false notizie.

Intanto, scrive La Repubblica (10 luglio), nelle scorse settimane, la Procura ha disposto nuovi accertamenti tecnici su telefoni, computer e attrezzature di bordo e ha inviato avvisi di garanzia agli indagati, una ventina degli equipaggi di navi umanitarie utilizzate nel 2016 dalla Ong Jugend Rettet, da Medici Senza Frontiere e Save the children.

Nessun fine illecito

Ma fonti della stessa Procura trapanese precisano che dagli atti di indagine non emerge in alcun modo che l’operato delle navi umanitarie, che in più occasioni avrebbero soccorso i migranti in acque libiche e con modalità ancora da accertare, possa nascondere fini illeciti di qualsiasi natura. Se le Ong hanno violato le norme lo hanno fatto solo per fini umanitari dando precedenza assoluta alla salvezza delle vite umane.

«Ribadiamo la nostra piena collaborazione e siamo sicuri che questi accertamenti confermeranno quanto abbiamo sempre affermato, ovvero che siamo in mare, nel rispetto della legge, con l’obiettivo di salvare vite e non certo per favorire l’odioso lavoro dei trafficanti«, la replica di Msf.


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4) Palermo

Le indagini, condotte anche dagli investigatori che avevano segnalato anomalie, non hanno portato ad alcun risultato. Le inchieste, condotte dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri, avevano ad oggetto un procedimento avviato a maggio del 2017 dopo lo sbarco, a Lampedusa, di 220 migranti; l’altro aperto dopo una segnalazione della Guardia di Finanza che ipotizzava delle “incongruenze” nel comportamento della nave Sea Watch in occasione di un soccorso portato ad aprile del 2017.

I pubblici ministeri hanno chiesto e ottenuto dal gip l’archiviazione di entrambe le inchieste.

«Alla luce delle indagini svolte, non si ravvisano elementi concreti che portano a ritenere alcuna connessione tra i soggetti intervenuti nel corso delle operazioni di salvataggio a bordo delle navi delle Ong e i trafficanti operanti sul territorio libico – scrivono i pm –Le indagini svolte non hanno permesso di appurare la commissione di condotte penalmente rilevanti da parte del personale Ong. In particolare, non è emersa la prova che i soggetti che materialmente tranciarono i motori fuori dei gommoni con a bordo i migranti facevano parte della Ong», ribadiscono i magistrati (Sky tg24, 19 giugno)..




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