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Gli USA alle prese con la mortalità infantile

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Paul De Maeyer - pubblicato il 14/08/18

Dai dati dell’Agenzia federale per il controllo e la prevenzione delle malattie emerge anche un divario razziale che “dice molto”

Gli Stati Uniti vantano alcuni dei più famosi centri medici di eccellenza al mondo. Molto conosciuti sono ad esempio la Mayo Clinic a Rochester, nel Minnesota, e il Johns Hopkins Hospital a Baltimora, nel Maryland. Altrettanto famose sono anche alcune strutture pediatriche, come il Children’s Hospital a Boston, Massachusetts, e il Children’s Hospital Medical Center a Cincinnati, Ohio.

Ciononostante, nella prima economia mondiale il tasso di mortalità infantile [1] è superiore a Paesi come Australia, Canada, Cuba, Francia, Germania, Giappone, Nuova Zelanda o Regno Unito. Infatti, per quanto riguarda l’anno 2015 — con 5,90 decessi per ogni 1.000 bambini nati vivi — il tasso è negli USA circa il doppio rispetto all’Italia (approssimativamente 3 per ogni 1.000 nati vivi).

Anche se il tasso è sceso del 14% rispetto al 2005 (6,86), a sorprendere (e preoccupare) sono sia la grande disparità tra i singoli Stati dell’Unione e inoltre il divario razziale emersi dai dati relativi al periodo 2013-2015 resi pubblici nel gennaio scorso dai Centers for Disease Control and Prevention(CDC), ossia l’agenzia federale per il controllo e la prevenzione delle malattie.

La disparità tra gli Stati

Infatti in 21 Stati su 50, ossia quasi la metà, la mortalità infantile supera la media nazionale di 5,90 (5,89 per la precisione). Si tratta in particolare di Stati situati nel Sud ma anche nel Centro-nord. Il tasso è del resto anche sorprendentemente alto nel Distretto di Columbia (DC), cioè nel distretto federale della capitale Washington: 7,65.

Lo Stato con il tasso più alto in assoluto è il Mississippi: 9,08. Seguono poi in ordine decrescente: Alabama (8,52), Louisiana (7,92), Arkansas (7,63), Georgia (7,44), Delaware (7,43), Oklahoma (7,42), Virginia Occidentale (7,22), Indiana (7,21), Carolina del Nord (7,16) e Ohio (7,13).

Dall’altro lato della classifica troviamo il Massachusetts, dove il tasso di mortalità infantile è del 4,28, cioè persino meno della metà del Mississippi. Gli altri Stati con un tasso basso sono (in ordine crescente): Iowa (4,41), California (4,50), Vermont (idem), New Jersey (4,53), Washington (4,63), New Hampshire (4,69), New York (4,72) e Colorado (4,85). Gli Stati in cui il tasso si avvicina di più alla media nazionale sono quelli della Virginia (5,91) e del Wisconsin (5,92).

Come osserva Natalie Rahhal sul Daily Mail, che cita i dati del World Fact Book della CIA, con il suo tasso di 9,08 lo Stato del Mississippi si posiziona tra il Bahrein (8,90) e la Thailandia (9,20). Fanno meglio del Mississippi anche Paesi come lo Sri Lanka (8,40), l’Ucraina (7,80) e il Libano (7,40). I Paesi o Stati più virtuosi in assoluto sono il Principato di Monaco (1,80), il Giappone (2,0) e l’Islanda (2,10).

Il divario razziale

Dai dati dei CDC emerge inoltre che il più alto tasso di mortalità per bambini nati da madri bianche non ispaniche era di 7,04 per ogni mille bambini nati vivi nello Stato dell’Arkansas, mentre quello più basso è stato registrato nel Distretto di Columbia: appena 2,52.

In altri nove Stati la mortalità tra bambini di donne bianche non ispaniche era “in modo significativo” inferiore rispetto alla media nazionale (4,95), tra cui New Jersey (3,15), Massachusetts (3,44), Connecticut (3,53), California (3,75), New York (3,81), Colorado (4,13) e Iowa (4,15).

Oltre all’Arkansas, in altri tredici Stati dell’Unione questo tasso era invece “in modo significativo” più alto rispetto alla media nazionale, come ad esempio nella Virginia Occidentale (7,02), in Mississippi (6,91), Oklahoma (6,86) e Maine (6,66).

Per quanto riguarda i bambini nati da donne ispaniche, il tasso più alto è stato registrato nello Stato del Michigan (7,28), vale a dire quasi il doppio rispetto al tasso più basso di 3,94 per ogni mille bambini nati vivi registrato in Iowa. Solo quattro gli altri Stati dove il tasso era “significativamente” più basso della media nazionale di 4,99: in Florida (4,23), California (4,43), New Jersey (4,52) e New York (4,62).

Oltre al Michigan, sono invece sette gli Stati in cui il tasso era “significativamente” più alto della media nazionale, ad esempio in Ohio (6,92), Connecticut (6,91), Mississippi (6,87) e Alabama (6,50).

La situazione più drammatica si registra tra i bambini nati da donne nere non ispaniche. Infatti per quanto riguarda questo sottogruppo demografico il più alto tasso di mortalità è stato registrato nel Wisconsin: ben 14,28 decessi per ogni mille nati vivi. Questo tasso, così sottolinea l’agenzia federale, è 1,7 volte più alto rispetto a quello più basso di 8,27 nel Massachusetts.

Mentre la media nazionale per questo gruppo è di 11,10, sono sette gli Stati oltre a quello del Massachusetts in cui il tasso era “in modo significativo” più basso, tra cui Iowa (8,46), Washington (8,55), New York (8,77) e Colorado (8,87). Il tasso era invece “significativamente” più elevato in altri sei Stati (oltre al Wisconsin), ad esempio in quello dell’Ohio (13,46), Alabama (13,40) e Indiana (13,26).

Differenza “molto eloquente”

Colpisce in particolare, così suggeriscono i CDC, il fatto che il tasso più basso di mortalità tra bambini di donne nere non ispaniche — 8,27 in Massachusetts — era comunque superiore a quello più alto registrato tra bambini di donne bianche non ispaniche (7,04 in Arkansas) e tra bambini di donne ispaniche (7,28 in Michigan).

Va osservato inoltre che il tasso medio nazionale di mortalità tra bambini di donne nere non ispaniche (11,10 per ogni mille nati vivi) è più del doppio rispetto a quello tra bambini di donne bianche non ispaniche (4,95) e tra quelli di donne ispaniche (4,99).

Come ha detto l’autore principale della ricerca, T.J. Mathews, demografo presso il National Center for Health Statistics dei CDC, citato dal sito Fatherly.com, “per le persone che non riflettono necessariamente su questo argomento, questo dice molto”.

L’eccezione californiana

Mentre la mortalità infantile è rimasta pressoché stabile nel periodo 2014-2016 negli USA, in uno Stato dell’Unione, ovvero la California, si registrano invece dei progressi incoraggianti. Nel Golden State, così suggerisce il Daily Mail del 9 agosto scorso, i medici hanno notato l’allarmante fenomeno già vent’anni fa e “da allora hanno lavorato metodicamente per migliorare le possibilità di vita dei neonati”.

Nello Stato, che non solo è il più popoloso di tutti gli USA grazie alla sua popolazione di circa 40 milioni di abitanti, ma anche quello nel quale nasce un bambino americano su otto (488.827 nel corso del 2016), la mortalità perinatale è diminuita infatti dell’8%, da 5,22 decessi ogni 1.000 nati vivi nel 2014 a 4,79 nel 2016.

A fare la differenza è un programma lanciato vent’anni fa su iniziativa del dottor Jeffrey Gould, neonatologo a San Francisco, e che oggi sotto il nome diCalifornia Perinatal Quality Care Collaborative (CPQCC) include 140 Unità di Terapia Intensiva Neonatale (NICU in sigla inglese) sparse per tutto il territorio dello Stato e la cui rete raccoglie dati provenienti dal 90% degli ospedali californiani. Il modello della CPQCC ha avuto seguito nella maggior parte degli Stati dell’Unione, in alcuni casi anche con il sostegno finanziario dei CDC.

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1] Con infant mortality o mortalità infantile si intendono i decessi di bambini entro il primo anno di vita. Riguardo ai bambini nati morti o deceduti nell’arco della prima settimana di vita si parla di mortalità perinatale o neonatale (in inglese perinatal o neonatal mortality).

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