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Si capisce il cielo solo guardandolo con gli occhi di un bambino

BAMBINI, PRATO, SORRISI

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don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 14/08/18

Gli adulti perdono tempo con progetti e lamenti, i bambini invece? Si stupiscono, si lasciano portare sulle spalle, accettano il perdono ... hanno il cuore semplice

In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?».
Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:
«In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.
Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.
Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta?
Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.
Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli». (Mt 18,1-5.10.12-14)

Oggi la Liturgia ci fa fare memoria di San Massimiliano Kolbe, un discepolo della famiglia di San Francesco, cioè di colui che amava definirsi l’infinitamente piccolo. A ragione allora il Vangelo di oggi ci spiega che cosa bisogna intendere per “piccolo”: “In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?”. Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli”.

Il cielo lo si capisce solo se lo si guarda con gli occhi di un bambino. Perché un bambino solitamente usa lo stupore non il possesso. Gli adulti cercano sempre un utile nelle cose, i bambini invece godono delle cose punto e basta. Gli adulti perdono tanto tempo a commentare le proprie cadute, i bambini invece si rialzano. Gli adulti cercano rassicurazioni prima di fare qualcosa, i bambini invece sono ostinati e rischiano. Questo significa farsi piccoli. Ma farsi piccoli significa anche accettare di perdersi e di essere ritrovati. Accettare di sbagliare e lasciarsi portare sulle spalle dalla misericordia. Farsi piccoli significa accettare di perdonarsi. Magari Dio ci perdona ma siamo noi a non accettare di aver sbagliato. Un bambino non ragionerebbe mai così, per questo vive meglio. Tutto questo si traduce nella semplicità del cuore.

Un cuore semplice è un cuore che non complica le cose. È un cuore capace di andare all’essenziale. È un cuore capace di difendere quell’essenziale contro ogni superbia che ci spinge spesso alla complicanza. Il cuore semplice è il cuore di San Massimiliano Kolbe che rinchiuso in un campo di concentramento, vedendo un giovane padre condannato a morte, prese il suo posto per salvargli la vita. Qualcuno potrebbe quindi pensare che il cuore semplice è un cuore incosciente, ma in realtà così non è. I piccoli non sono quasi mai ingenui, sono lungimiranti. (Mt 18,1-5.10.12-14)

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