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La faccia sconosciuta e miracolosa dell’empatia

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Silvia Lucchetti - pubblicato il 06/08/18

Il ruolo essenziale di questa risorsa psicologica per spegnere il fuoco dell’aggressività e costruire un mondo più umano

Paolo Albiero e Giada Matricardi hanno affrontato per l’editore Carocci l’affascinante e complesso tema dell’empatia con il loro volume “Che cos’è l’empatia”. I semplici esempi che seguono sono appena capaci di trasmettere il senso della “magia” che l’empatia è in grado di creare nelle nostre relazioni con il prossimo. L’espressione preoccupata di una mamma che sentendo il suo bambino piangere diversamente dal solito capisce che si lamenta per qualcosa di serio. Telefonando ad un amico per un breve saluto, solo dal tono della sua voce intuiamo che è in grande difficoltà. Lo studente appena bocciato che viene abbracciato e rincuorato da un compagno presente all’esame. La gioia provata da molti di noi nell’assistere all’incontro di due persone che non si vedevano da anni. Il misto di felicità e compassione nel volto di un soccorritore che ha appena salvato dei migranti caduti in mare.




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Come possiamo definire concretamente l’empatia?

Il termine empatia, fino a qualche decennio fa quasi sconosciuto, è una delle parole più usate (e forse abusate) nei diversi contesti – professionali e non – in cui si dibatte e riflette in generale sui rapporti umani. Come possiamo darne una definizione che non suoni come una fredda etichetta scientifica? Potremmo affermare, parafrasando uno specifico passo del libro, che è la capacità di “mettersi nei panni degli altri”, comprendendone i punti di vista (la componente intellettuale dell’empatia) e condividendone lo stato emotivo (la componente affettiva dell’empatia), quindi provando un’emozione uguale o simile a quella della persona con cui stiamo interagendo, consapevoli che la causa del nostro vissuto risiede nell’emozione percepita in lei. L’empatia è una capacità fondamentale per godere relazioni positive con gli altri e stimolare comportamenti a favore del prossimo, facilita la cooperazione negli ambienti di lavoro e di studio, modula il flusso delle emozioni negative (rabbia, disgusto, noia, imbarazzo) spesso emergenti nei rapporti interpersonali. Tempera le reazioni aggressive che si attivano contenendo sia quelle dirette – fisiche o verbali – prevalenti nei bambini di entrambi i sessi e nei giovani maschi, sia quelle indirette, più tipiche delle giovani donne e degli adulti senza distinzione di genere.




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L’aggressività negli uomini e nelle donne

La maggior parte della attenzione scientifica e della sensibilità comune si è rivolta ad esplorare il rapporto fra empatia e comportamenti a favore degli altri, trascurando il suo ruolo nell’influenzare le condotte aggressive sia dei maschi che delle femmine. Gli autori giustamente sottolineano come per molto tempo si è erroneamente ritenuto che i maschi fossero più aggressivi dell’altra metà del mondo (per l’esattezza un po’ più della metà numericamente), a causa di una “lettura” riduttiva in senso fisico del termine aggressività che, invece, va inteso in senso ampio come comportamento orientato a ledere qualcuno sotto il profilo corporeo e/o psicologico, creandogli sofferenza e disagio. Vista sotto questa prospettiva l’aggressività non è quantitativamente diversa fra i due generi, bensì espressa con modalità differenti, privilegiando il cosiddetto sesso debole le forme indirette.




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Il rapporto fra empatia ed aggressività

Le ricerche effettuate a questo proposito evidenziano una relazione sostanzialmente inversa fra empatia ed aggressività nelle sue varie forme, compreso il crescente fenomeno del bullismo, oggi appannaggio anche di molte ragazze: ma in che modo avviene ciò? Come sottolineato dagli autori nel loro capitolo dedicato allo specifico tema, entrambe le componenti, intellettuale ed affettiva, dell’empatia giocano un ruolo essenziale. Se adottiamo la prospettiva di un’altra persona, specialmente quando coinvolti in un frangente conflittuale o potenzialmente tale, riusciamo ad avere una maggiore comprensione e tolleranza della sua posizione, rendendo così meno probabile l’emergere di un comportamento aggressivo, o moderandone la portata. Ad esempio riflettere che, quando il nostro collega ha una brutta giornata a casa risponde sgarbatamente a tutti sul lavoro, può evitare interpretazioni errate del suo comportamento scontroso tenuto con noi (mi ha risposto male per cui ce l’ha con me), e di conseguenza reazioni nei suoi confronti che porterebbero ad una pericolosa escalation. Osservare le conseguenze dolorose di un comportamento aggressivo dovrebbe far scattare angoscia in uno spettatore con sufficiente empatia, anche – e forse ancor di più – quando fosse egli stesso motivo della sofferenza altrui. Il genitori sufficientemente empatico che a ragione rimproverasse duramente suo figlio, e lo vedesse ferito dalle sue parole, si sentirebbe “stringere il cuore” e si scuserebbe (o almeno avrebbe l’intenzione di farlo) per aver ecceduto, ripromettendosi di essere più contenuto per il futuro. Vediamo la scena anche da un altro versante: se mentre questo genitore spiega animatamente al ragazzo perché ha sbagliato, costui si dimostrasse del tutto indifferente (magari ritenendo immotivata la reprimenda, ma dimostrando così scarsa empatia), è molto probabile che il rimprovero diventerebbe più aspro con conseguenze peggiori.




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Empatia e bullismo

Di fronte al dilagare dei fenomeni del bullismo nelle sue varie forme, viene da chiedersi come riesca un bullo a continuare ad umiliare e perseguitare la sua vittima pur osservandone la sofferenza e il danno che le provoca. Gli studi effettuati evidenziano come i bulli siano bambini o adolescenti con capacità empatiche ridotte rispetto al resto dei compagni. Essi pertanto quando vedono la loro “preda” impaurita e sofferente non ne condividono il dolore, per cui le loro condotte aggressive non vengono contenute, ma addirittura si rafforzano.

Si può educare all’empatia

Pur essendo l’empatia una caratteristica psicologica con basi genetiche e sviluppo all’interno del contesto familiare, nella auspicabile prospettiva di un ulteriore incremento successivo si avverte sempre di più l’esigenza di integrare i classici programmi scolastici con l’educazione affettiva (che non ha nulla a che vedere con la cosiddetta educazione sessuale) di cui l’empatia è una componente essenziale. Perché fra queste abilità l’empatia risulta centrale? Ci sono almeno due motivi fondamentali: essa è in grado di influenzare i comportamenti sociali sia incentivando gli atteggiamenti di aiuto che moderando le condotte aggressive; inoltre è in grado di contribuire ad accogliere favorevolmente persone di etnia e cultura diverse dalla nostra contrastando i pregiudizi. Molti sono i programmi scolastici proposti per incrementare l’empatia dove risultano comunque determinanti le qualità personali del formatore che li veicola. E’ appena il caso di sottolineare per i non credenti, ma può essere utile anche per chi si professa cristiano, che l’insuperabile Maestro di empatia è Gesù Cristo, rappresentando il Vangelo il più mirabile inno e “programma” di vita a mettersi nei panni del prossimo e sostenerlo nelle sue necessità, rispettandone in modo assoluto l’unicità.




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